SOCIETÀ

I media e la medicina: roba da stregoni

Si crede ai ciarlatani, alle cure miracolose, alle pozioni magiche che vende la rete: di fronte alla malattia il paziente oggi è disorientato. Lo dimostra la cronaca più recente e lo confermano i sondaggi.

Secondo un recente rapporto Istat, nel 2013 circa il 50% degli italiani è ricorso alla rete alla ricerca di informazioni mediche, un numero in aumento di 4,5 punti percentuali rispetto al 2011, con una tendenza maggiore da parte delle donne (55%). Oltreconfine la situazione non è molto diversa. Negli Stati Uniti ad esempio, stando all’indagine Health online 2013, dei 3.014 individui intervistati, l’81% usa internet, il 59% cerca online notizie di ambito sanitario, il 35% si informa sulla propria salute o su quella dei familiari, in cerca di una diagnosi in rete che viene confermata dal medico in meno della metà dei casi (41%). Li chiamano online diagnosers e, in un caso su tre, dopo aver consultato internet non si rivolgono a un professionista per approfondire il problema. I “luoghi” più frequentati sono Google, Bing e Yahoo (77%), mentre solo il 13% si rivolge a siti web specializzati.

“Ciò che emerge – sottolinea Daniela Minerva, giornalista e autrice, tra gli altri, del volume Il bagnino e il samurai (Codice edizioni, 2013) –  è lo smarrimento della gente di fronte alla malattia dovuto principalmente alle carenze della medicina di base. Esistono grandi ospedali, ben strutturati ma mancano medici di base con cui confrontarsi, a cui esporre le proprie preoccupazioni e da cui ottenere, e pretendere, risposte competenti”. La conseguenza è che il paziente non sa a chi rivolgersi e la rete appare come una possibile fonte di informazione, anche se si trovano notizie di ogni tipo. E non sempre le persone possiedono gli strumenti per accedere a risorse certificate, come possono essere il National Institute of Health (Nih) o il Center for Disease Control and Prevention (Cdc).

Anche i media, poi, fanno la loro parte. “Raccontano la medicina come se fosse priva di malati  – spiega Daniela Minerva – senza coglierne la complessità”. Si danno informazioni sullo stato della ricerca scientifica o sulla commercializzazione di farmaci in modo asettico. D’altra parte, invece, i pazienti raccontano la propria storia personale come se fosse paradigmatica. “Ciò che è assente – continua la giornalista – è il percorso clinico: si parla, ad esempio, di cancro senza raccontare il percorso di un malato di cancro, il suo travaglio e la progressione della patologia che, soli, possono darci lo spessore degli eventi medici”. I media tendono a presentare, cioè, la soluzione più semplice senza tener conto di quanto possano incidere sull’opinione pubblica e, dunque, anche sulle scelte dei pazienti.

Prendiamo il caso Stamina. “Senza le Iene – continua – non ci sarebbe stato Vannoni. Il caso Stamina è un esempio di come sia mancata la comprensione della complessità, cioè di come si giunga al fatto medico, a una cura vera e propria da un’ipotesi scientifica”. I media hanno coltivato l’illusione che si possa rispondere al dramma della malattia con un sì o con un no, mentre la medicina non ha risposte secche, ma è un percorso graduale. Tutte ragioni per cui non devono mancare i punti di riferimento. “Quando si soffre ci si attacca a tutto: non possiamo chiedere ai pazienti di capire, ma dobbiamo fornire un’alternativa e cioè la fiducia nel sistema sanitario nazionale, che deve essere in grado di dare risposta ai problemi della gente. Per questo il caso Stamina è particolarmente grave, se si considera che la somministrazione delle staminali ha avuto luogo proprio in una struttura del sistema sanitario”.  

In questa situazione il primo a fare chiarezza, a mettere a tacere il rumore di fondo di internet dovrebbe essere il  ministero, rendendo disponibili in rete informazioni corrette e risorse attendibili come ad esempio quelle di Nih o Cdc. Risorse, del resto, che potrebbero tornare utili anche ai medici di base. “Ed è proprio da loro – conclude Daniela Minerva – dai medici di base, che si deve ricominciare, mettendoli alle strette se serve, per trovare le risposte che si cercano”.

Monica Panetto

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