UNIVERSITÀ E SCUOLA

Il destino delle minoranze etniche si decide all’università

 La Corte suprema americana sta discutendo il caso di Abigail Fisher, che nel 2008 venne rifiutata dalla University of Texas di Austin. Immediatamente dopo la sua mancata ammissione, la studentessa denunciò l’università, sostenendo di essere stata esclusa perché bianca. Sebbene sempre sconfitta nei giudizi delle corti inferiori, la studentessa è riuscita ad arrivare fino alla Corte suprema, perché il suo caso solleva dubbi di costituzionalità sulle politiche di ammissione della maggior parte delle università statunitensi, che tengono conto (in vario modo) della razza dei candidati. 

L’Università del Texas, grazie a una legge statale, accetta automaticamente il miglior 10% di tutti i diplomati delle high school texane. Ma le domande restanti vengono vagliate una ad una, tenendo in considerazione anche fattori razziali, socioeconomici e il “potenziale di leadership” della futura matricola. La Fisher non riuscì a qualificarsi nel primo 10% e, sempre secondo la versione dell’università, venne esclusa sulla base di una serie di fattori tra cui anche quello razziale. La decisione dei giudici è molto attesa perché potrebbe avere conseguenze rilevanti che vanno molto al di là dei sistemi d’ammissione delle università. Il caso specifico pone infatti in dubbio la costituzionalità di pratiche connesse al principio dell’affirmative action, cioè quello strumento che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale, anche attraverso l’utilizzo di quote, per rimediare agli effetti delle passate discriminazioni. 

L’ultima volta che la Corte suprema dovette confrontarsi con l’argomento fu nel 2003, quando la controversa sentenza Grutter v. Bollinger bocciò il sistema di quote razziali ma lasciò discrezionalità alle scuole, dichiarando che la razza potesse essere un criterio da tenere in considerazione nella valutazione delle domande di ammissione degli studenti. La Grutter dà infatti facoltà alle università di tenere in considerazione l’origine etnica per promuovere la diversità e garantire l’accesso agli studi alle minoranze sotto-rappresentate. A testimonianza del fatto che la decisione possa essere carica di conseguenze politiche e sociali, ben 90 organizzazioni hanno chiesto di essere ascoltate dalla Corte. Diciassette in favore della Fisher e 73 a sostegno dell’università. Tra gli altri, per la Fisher e contro l’affirmative action si sono schierati il think-tank conservatore Cato Institute e il deputato repubblicano Allen West. In difesa dell’attuale sistema adottato dall’università del Texas sono scesi in campo il leader democratico al Senato Harry Reid e una lunga serie di associazioni tra cui l’American Psychological AssociationTeach for America

Il sistema adottato in Texas viene considerato come un modello dai sostenitori dell’affirmative action. In California, per esempio, il sistema ‘classico’ delle quote razziali venne abolito dal referendum sulla Proposition 209 nel 1996. Da allora però il numero di afroamericani e ispanici iscritti alle università è significativamente diminuito. Nel 1995, a Berkeley, cioè nell’università californiana pubblica più nota, gli studenti neri erano il 7,3%, mentre nel 1998 si erano ridotti al 3,2%. Nel 2011 la percentuale è risalita al 3,9%, ma è ancora lontana dalle cifre dei primi anni Novanta. Sebbene i repubblicani sostengano che le politiche di tutela delle minoranze non siano più necessarie, situazioni di “segregazione di fatto” e di disparità razziali sono continuamente segnalate da inchieste governative e indipendenti. Una recente ricerca di UCLA ha evidenziato come casi di “segregazione scolastica” siano ancora in atto e che gli studenti afroamericani e latinos siano più inclini ad abbandonare gli studi e a iscriversi a scuole di bassa qualità, meno costose.

L’importanza della sentenza Fisher v. University of Texas sta nel fatto che una sconfitta dell’università sul terreno dell’affirmative action automaticamente creerebbe un precedente valido in altri campi, in particolare per quanto riguarda le assunzioni nel settore pubblico, danneggiando fortemente le possibilità di afroamericani e ispanici di migliorare le loro condizioni di lavoro.

 

Marco Morini

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012