SOCIETÀ
Il mondo “piccolissimo” dei social network
Nell’era dei social network siamo tutti più vicini: pochi passaggi separano ognuno di noi da un buon contatto dall’altra parte del mondo e da una potenziale nuova esperienza. Quanto sei lontano, dunque, da ciò che renderà la tua vita (professionale) più interessante? Già nel 1929, nel racconto Catene, lo scrittore ungherese Frigyes Karinthy parlò di gradi separazione, introducendo per primo l’idea che gli intermediari tra una qualunque persona e chiunque altro nel mondo fossero al massimo cinque. “L’operaio conosce il capo officina che conosce mister Ford in persona, il quale ha buoni rapporti con il direttore generale dell’impero editoriale Hearst che ha avuto modo di conoscere il signor Pasztor che è un mio ottimo amico”. Nel 1967, quasi quarant'anni dopo, il ricercatore di Harvard Stanley Milgram ritornò su quella prima riflessione elaborando la “teoria del mondo piccolo”. Selezionò 160 persone residenti in Nebraska e chiese a ciascuno di loro di inviare un pacco a un estraneo del Massachusetts, a molti chilometri di distanza. Ogni mittente conosceva nome, occupazione e zona di residenza del destinatario, ma non l'indirizzo. Fu quindi chiesto a ciascun partecipante di individuare una strategia per far recapitare il pacchetto attraverso una serie di passaggi, inviandolo dapprima a una persona conosciuta e facendolo arrivare a destinazione ricorrendo al minor numero possibile di intermediari. Una catena che mostrò risultati sorprendenti: il pacco giungeva a destinazione dopo soli cinque o, al massimo, sette passaggi. L’esperimento venne riproposto nel 2001 su internet da Duncan Watts, che utilizzò una email al posto del pacchetto e coinvolse 48.000 persone di 157 stati, per raggiungere 19 destinatari. Stesso risultato: la media degli intermediari risultò sei. Nel 2011 il Laboratorio di algoritmica per il web dell’università di Milano, prendendo in esame 721 milioni di utenti di Facebook, ha ridotto ulteriormente il numero dei passaggi, arrivando a meno di quattro: 3,74, per la precisione. Solo tre se ci trova nella stessa nazione. Secondo uno studio della National Chiao Tung university of Taiwan del 2013, infine, basterebbero in media due intermediari e tre interazioni.
Da sei gradi di separazione a tre, addirittura due e mezzo. Della teoria del mondo (sempre più) piccolo e della sua evoluzione virtuale, con relativa riduzione delle distanze in tempi di social network, si è occupata Domitilla Ferrari, digital strategist (insegna Social network e comunicazione digitale nel master in comunicazione delle scienze dell’università di Padova), nel libro Due gradi e mezzo di separazione. Come il networking facilita la circolazione delle idee (e fa girare l’economia) (Sperling & Kupfer). Partendo proprio dai “gradi di separazione”, Ferrari ha analizzato caratteristiche e vantaggi del networking. Ecco allora che, nel libro, viene tracciato il profilo del “perfetto networker” con tanto di regole di buon comportamento. “Quasi tutto ciò di cui potresti avere bisogno è disponibile e probabilmente più vicino a te di quanto pensi: puoi accedervi quando e come vuoi, purché tu sappia cosa ti serve e come parlarne agli altri. Quella parte di mondo che non ha accesso a internet ha minori possibilità e opportunità”. A tal proposito è necessario tenere a mente (almeno) una questione fondamentale: le relazioni pubbliche non sono networking, non si deve cercare vantaggio per se stessi, ma creane per gli altri. Solo così si crea movimento e vantaggio per tutti. “Il concetto di networking è comunemente frainteso anche perché il termine viene usato e abusato per indicare chi promuove se stesso, come se fosse un lavoro”. Per la precisione, “comunicare fa parte del networking ma il motore che ti spinge deve essere il desiderio di contribuire a mettere in contatto gli altri, per far sì che ognuno trovi ciò di cui ha bisogno”.
Dare prima di ricevere, mettersi a disposizione, considerando che, come scrisse John Helliwell, in una ricerca della university of British Columbia, pubblicata sul Journal of happiness studies, “l’essere ben disposti nei confronti degli altri aumenta il livello di felicità e aiuta a combattere la crisi economica”. Un concetto, questo, ribadito anche da Luca Stanca, economista dell’università Bicocca di Milano, che ha paragonato “la sensazione che prova chi dona il proprio tempo agli altri con un’azione disinteressata alla soddisfazione data da un aumento di stipendio”. Principi che valgono sia quando si è connessi che quando si è lontani dal pc. E che possono portare ottimi frutti se si pensa che “la diffusione dei social network – spiega Ferrari - ha permesso la nascita, o la riscoperta, di un’economia della condivisione” e il miglioramento del capitale sociale nei network in cui prevale la fiducia: “Io metto a disposizione degli altri quello che ho, e tu? Il mio network mi ripaga in continuazione facendo crescere il valore del mio capitale sociale”.
Internet non è solo uno strumento, è diventato un luogo abitato. La vita online non è poi così diversa da quella offline (“l’unica differenza – si legge nel libro – è che in rete è più facile creare collegamenti e vedere in che modo si sviluppa il network”). Una cosa è certa: il tempo che dedichi agli altri, incontrandoli di persona, è sempre ben speso, ma le relazioni vere possono essere favorite anche dal 2.0? Il virtuale, e in particolare il social network, non uccide la vita vera. Smettiamola, dunque, di considerare Facebook, Twitter, Foursquare, LinkedIn, Google+, Pinterest o Instagram armi diaboliche capaci di annientare i rapporti reali: la verità è che, prima i blog e le community, ora, più che mai, i social network favoriscono lo scambio di idee, progetti, informazioni e immagini (Instagram, nato nel 2010, oggi conta oltre 16 miliardi di foto condivise). Accorciano le distanze, permettono la comunicazione veloce con persone diverse, la gestione dei contatti con amici lontani e con utenti con i tuoi stessi interessi, sfruttando anche "la forza dei legami deboli", molto utili quando si cerca lavoro, ovvero le semplici conoscenze (che differiscono dai legami forti con parenti e amici), di cui scriveva già nel 1973 il sociologo Mark Granovetter. Nulla di diabolico, quindi, quel che conta è saperne fare buon uso. “La paura delle nuove tecnologie è come la paura del cambiamento… Ma non rifiutarti di essere online. Ci sei già”. Condividere, mettere a disposizione conoscenze, sapendo che “più collegamenti crei, più aumentano le tue opportunità di crearne di nuovi e più sono interessanti questi collegamenti, più saranno interessanti quelli che verranno”, facendo però sempre una doverosa selezione per puntare alla qualità e non alla quantità. Insomma, comportandosi da snob. Anche in Rete.
Francesca Boccaletto