SOCIETÀ

Il ragionevole dubbio del doping

Leggere Olimpiade e pensare doping. Anche a Londra 2012, i Giochi con i maggiori controlli, il doping è lì, presente tra atleti conniventi e poi pentiti. Con oltre 4.000 verifiche a sorpresa organizzate dall’agenzia mondiale anti-doping, la Wada, il numero di agonisti pizzicati positivi prima dell’inizio dei Giochi è cresciuto rispetto a quattro anni fa, a Pechino. Ma resta da chiedersi quale sia la quota di sportivi che sfugge alle maglie dei controlli. Quanti siano quelli che sono un passo avanti rispetto alla ricerca contro le “droghe dello sport”. Tralasciando il caso del campione olimpico, quell’Alex Schwazer, oro a Pechino nei 50 chilometri di marcia e cacciato dal Coni per positività all’Epo, ha dato da pensare (male) anche la 16enne cinese che ha sbaragliato gli avversari nelle gare femminili di nuoto. Ye Shiwen, venuta dal nulla, è riuscita a percorrere 50 metri di vasca a una velocità superiore a quella dei campioni maschili americani Ryan Lochte e Michael Phelps. Record e medaglie pulite? Lo dirà la Wada, c’è chi però, negli Usa, ha già parlato di doping genetico: ultima frontiera (futuribile) della manipolazione del corpo per migliorare le prestazioni sportive.

Magari non si è ancora arrivati a questo punto e le accuse sono prive di fondamento, ma quel che è certo è che la ricerca sul doping per trovare nuovi farmaci più “performanti” è spesso più avanti rispetto a quella che combatte il fenomeno. “È verosimile”. A dirlo è Jacopo Tognon, professore all’università di Padova e avvocato, giudice italiano per il Tas (il tribunale arbitrale dello sport, con sede a Losanna, istituito dal Comitato olimpico internazionale nel 1984). “La forbice tra il doping e il suo contrasto si sta assottigliando - dice Tognon - Negli ultimi cinque anni il numero di positivi è diminuito ma, gioco forza, gli ‘stregoni’ hanno più spazio per lavorare”. E sono gli esempi a rendere concreto lo sforzo della Wada per contrastare le sostanze proibite: “Il ciclista Rebellin era risultato negativo a un controllo del 2008 - prosegue l’avvocato - ma un anno dopo, ex post, si è appurato che era positivo all’Epo di III generazione”, la Cera, sostanza che aiuta a migliorare le prestazioni e la resistenza fisica sotto sforzo. Il farmaco, all’epoca di Pechino 2008, non era ancora conosciuto alla Wada che ha poi aggiornato l’elenco delle sostanze proibite. Elenco che è compreso all’interno del codice mondiale anti-doping, il “contratto” firmato dai comitati olimpici e dalle federazioni sportive che vi aderiscono, e che contiene il regolamento a cui gli atleti si devono attenere. Il Codice viene aggiornato periodicamente con l'inserimento di nuove sostanze ritenute dopanti. All’articolo 2 sono inserite le violazioni passibili di punizione (otto in tutto). Tra queste le più importanti sono la presenza di sostanza dopante, il suo uso o tentato uso, il rifiuto o l’omesso controllo, la manomissione di un campione d’analisi e il trafficking, lo spaccio di sostanze proibite. In caso di positività, per arrivare a un verdetto di condanna (sportivo e in alcuni casi, penale) si richiede un certo grado di prova: superiore a una semplice valutazione di probabilità, ma inferiore all’esclusione di ogni ragionevole dubbio. Si tratta di una forma comparabile a quanto richiesto in numerosi Paesi per i casi di negligenza professionale. L’atleta, quindi, per discolparsi e sostenere che ci si trova di fronte a un "falso positivo", deve dimostrare la verosimiglianza delle situazioni che hanno determinato il risultato delle analisi. “Esempio - argomenta Tognon – è il caso di un nuotatore di fondo (in mare aperto) che ha tentato di giustificarsi, spiegando che una puntura di medusa gli aveva causato un aumento endogeno dell’eritropoietina” (l’Epo, ormone in grado di aumentare la quantità di globuli rossi nel sangue per il trasporto dell’ossigeno). La giustificazione addotta dall’atleta, in questo caso, però non aveva basi scientifiche tanto solide da cambiare il verdetto dei giudici. Sul fronte della prevenzione al doping, la Wada ha da poco introdotto nuove norme che tuttavia non sono state ancora recepite da tutte le federazioni. Una di queste è il passaporto biologico: lo sportivo viene tracciato attraverso una sequenza di analisi del sangue. Se una di queste rileva dei valori ormonali alterati rispetto alle precedenti, si può risalire a una possibile causa esogena che potrebbe riportare a un evento di doping. 

Il numero dei positivi al doping però non dovrebbe far pensare in automatico alla vittoria dello sport “sporco” rispetto a quello pulito: “Tanti test positivi - conclude Tognon - non significano in automatico tanti dopati, ma parecchi controlli”, da verificare poi con le controanalisi in laboratorio e le testimonianze degli sportivi. C’è una considerazione d’ordine generale da fare: da una parte, i calendari di alcuni sport sono così serrati e duri da “poter indurre in tentazione un atleta” - dice Tognon, lontano però dal giustificare il doping. Il rischio è comunque quello di criminalizzare uno sport, sentito dall’opinione pubblica come un qualcosa che non ha più nulla di lecito al suo interno. Il caso del ciclismo è emblematico. D’altra parte, è allarmante il diffondersi delle sostanze dopanti non tra gli agonisti, ma tra gli amatori che spesso e volentieri si drogano per ottenere risultati in gare di poco o nullo rilievo, ancor meno sportivo.

 

Ma.S.

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