SOCIETÀ
Insegnanti di Chicago: la lotta non è finita
Dopo dieci giorni lo sciopero degli insegnanti di Chicago è stato sospeso. La protesta aveva paralizzato il sistema scolastico dell’Illinois (il terzo più grande d’America con oltre 400.000 studenti) e attirato l’interesse dei media nazionali e internazionali. Il sindacato degli insegnanti ha accettato un compromesso con il governo della città, ma molte delle questioni sono ancora in discussione e non è escluso che nelle prossime settimane, quando gli iscritti ai sindacati dovranno ratificare l’accordo, le proteste ricomincino.
Gli insegnanti rimangono critici sui termini del nuovo contratto, contestandone gli intenti “precarizzanti”, l’aumento delle ore di lezione e il ruolo rilevante assegnato ai test di apprendimento degli studenti nella valutazione dei docenti. Viene poi criticato il potere assegnato ai manager scolastici nell’assunzione degli insegnanti stessi. Nell’idea del sindaco di Chicago Rahm Emanuel, già capo di gabinetto di Obama, il nuovo sistema dovrebbe premiare i docenti più meritevoli. Li fa lavorare di più e li obbliga a un contratto triennale, con opzione per un quarto anno. L’intento è quello di rendere più produttivo il sistema scolastico allungando di 75 minuti l’orario di lezioni giornaliero nelle scuole elementari (portandolo quindi a 7 ore) e di 30 minuti quello delle scuole superiori (incrementandolo quindi a 7 ore e mezza). Il piano prevede poi l’accorpamento di numerosi istituti, oltre 100 secondo i sindacati, meno della metà per le fonti governative locali. I docenti hanno ottenuto che i risultati della valutazione degli studenti non influiscano sugli aumenti di stipendio e che, a fronte dell’aumento delle ore di lezione, il salario dell’insegnante possa aumentare anche del 17%. E per ora le proteste sono rientrate.
Rispetto al passato i rappresentanti degli insegnanti hanno ormai accettato che i test nazionali di verifica dell’apprendimento dello studente siano utilizzati per determinare la conferma in ruolo o meno del docente. E hanno ottenuto garanzie che questi non siano preponderanti rispetto ad altri fattori di valutazione come il giudizio del manager scolastico e del collegio docenti della scuola stessa. Per ora l’accordo con l’amministrazione Emanuel è che essi contino per il 30% della valutazione generale (il sindaco aveva proposto il 45%).
Il timore degli insegnanti, ancora presente, è che la performance degli studenti sia influenzata dalla condizione sociale e culturale dell’allievo: la stragrande maggioranza proviene da famiglie povere. In altre parole, che il disagio familiare dello studente finisca per giocare un ruolo negativo sui suoi risultati scolastici e, per questa via, anche sulla carriera dell’insegnante. Per questo i docenti rifiutano di essere definiti come difensori di interessi corporativi. Molti di loro, infatti, hanno aderito allo sciopero per solidarizzare con i docenti che lavorano nelle scuole “di frontiera”, nelle aree più povere e disagiate, dove probabilmente i nuovi parametri valutativi mieterebbero numerose vittime tra gli insegnanti, portando poi a un probabile accorpamento di quelle scuole con altri istituti, nell’intento di creare nuovi maxi complessi scolastici, che, proporzionalmente, graverebbero di meno sulle casse statali.
Il sistema scolastico dell’Illinois è in forte deficit e il sindaco aveva addirittura minacciato l’assunzione di migliaia di insegnanti non sindacalizzati per permettere l’inizio dell’anno scolastico. Ma il timore per la chiusura delle scuole e gli effetti che i nuovi parametri valutativi avranno il prossimo anno sulla riconferma degli organici rimangono e rendono possibili nuovi scioperi futuri. Per Rahm Emanuel la partita sarebbe difficile: gli insegnanti delle scuole superiori e le organizzazioni sindacali sono considerati parte dell’elettorato democratico tradizionale. Se lo sciopero dovesse ricominciare e le proteste allargarsi, le conseguenze potrebbero arrivare a lambire la campagna elettorale del presidente Obama proprio nella sua città d’origine.
Marco Morini