SCIENZA E RICERCA

L’energia oscura che accelera l’universo

Se tiri un sasso in alto ti aspetti che ricada, più o meno velocemente. Se invece lo vedi allontanarsi verso l’alto allora significa che qualcosa lo spinge, anche se tu proprio non lo vedi. Il concetto, molto semplice, che sta alla base della scoperta di Brian Schmidt, astrofisico e premio Nobel nel 2011, è tutto qui. Fin dalla tesi di dottorato, svolta ad Harvard, Schmidt ha indagato un punto apparentemente ovvio: se l’universo si espande, come viene dall’evidenza delle osservazioni, quando cesserà quest’espansione, come e quanto sta rallentando? Ma il risultato trovato è esattamente l’opposto: nessun rallentamento nell’espansione, anzi, in passato addirittura iniziò un’accelerazione che sembra non dover terminare. La portata della scoperta è quella di una rivoluzione epocale, perché la domanda diventa ora “cosa accelera l’universo?”. La risposta è un’energia che ancora non conosciamo, un’energia “oscura”, come tutto ciò che aspetta di essere svelato. Nessun mistero o peggio magia.

A Padova in questi giorni, davanti a quasi 500 ragazzi e ragazze delle superiori, rapiti dal racconto che l’astrofisico ha fornito, Schmidt si è confermato non solo un ottimo scienziato, laureato con il Premio Nobel nel 2011 a neppure soli 43  anni, assieme a Saul Perlmutter e Brian Schmidt ma anche un comunicatore di sicuro mestiere e fascino. E a distanza di otto anni da quando gli è stato assegnato a Padova  assieme a Perlmutter il premio internazionale per la ricerca astronomica, è arrivata ora anche la cittadinanza onoraria.

Schmidt ha pagato subito il suo tributo alla città dove, lui stesso lo dice, è “nata” la scienza, il suo metodo, con l’urgenza tutta nuova e galileiana di provare quel che si dice e si pensa in teoria. Tutto comincia all’inizio del 1600 con una coppia, Copernico il teorico e Galileo il grande interprete della sperimentazione scientifica, sorta nello stesso periodo per una coincidenza quasi incredibile. Poi un salto di quattro secoli, al 1916, per vedere l’inizio della cosmologia moderna, che cerca di interpretare i dati sperimentali per costruire un modello di universo. I primi dati sono l’evidenza, trovata da Vesto Slipher, che le galassie più vicine a noi si allontanano dato che le radiazioni ci arrivano da loro spostate verso le frequenze più alte, come quelle della sirena di un’ambulanza che si allontana. Hubble perfeziona il ragionamento, misura le distanze di tante galassie anche molto più distanti e fornisce, nel 1929, la chiave di volta per comprendere l’intero scenario: più sono lontane e più sono “rosse” rispetto a quelle vicine e quindi più si allontanano velocemente. L’universo si espande.

Le conferme fioccano da allora e il lavoro dei supernovisti, come Schmidt, è fondamentale. Sono loro, le supernovae, il nostro ultimo e unico faro guida, immani esplosioni di stelle giunte alla fine della loro evoluzione o dovute a coppie di stelle vicinissime che si scambiano materia fino dare luogo al devastante fenomeno che in pochi attimi manda nello spazio tanta energia quanta ne emana il Sole in tutta la sua esistenza, che valutiamo sarà di nove miliardi di anni. Il punto è trovare la distanza delle galassie, e più lontano si va, a distanze di miliardi di anni luce, più la loro radiazione si affievolisce, diventa difficile studiare questi che ci appaiono come piccolissimi batuffolini di cotone, magari anche di pochi pixel in un’immagine elettronica. Misurando con grande precisione i fenomeni legati alle supernovae, luminosissime e visibili fino ai limiti dell’universo, Schmidt e il suo team hanno scoperto che l’espansione accelera, eccome, grazie a un’energia che deve costituire il 70% e oltre dell’universo stesso. Cosa sia quest’energia, come mai non riusciamo a vederla, a misurarla, è questa la sfida cui Schmidt, e tanti altri, incessantemente lavorano da quando si è capito che l’universo accelera. Perché non c’è domanda che tenga alla curiosità della scienza.

Leopoldo Benacchio

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