SOCIETÀ

L’Italia, laboratorio dei movimenti sociali

Pubblichiamo uno sintesi della lezione magistrale del professor Sidney Tarrow, tenutasi a Padova il 19 giugno 2013 in occasione del conferimento della laurea ad honorem in diritto, istituzioni e politiche dell’integrazione europea.

 

I movimenti sociali non hanno sempre avuto la reputazione che hanno oggi nelle scienze sociali italiane. Robert Michels, che ha scritto gran parte del suo lavoro migliore sui movimenti sociali all'università di Torino, sosteneva che i movimenti si trasformano inesorabilmente in oligarchie. Il fascismo e il post-fascismo hanno inoltre contribuito alla reputazione negativa dei movimenti sociali. Durante il dopoguerra, sia dalla sinistra che dal mondo cattolico, i movimenti tendevano a essere visti come organizzazioni fiancheggiatrici dei partiti.

Furono i movimenti degli anni Sessanta e Settanta che generarono una nuova scuola di studio dei movimenti sociali. C'è tuttavia un aspetto negativo dell'espansione del concetto di “movimenti sociali” nel discorso pubblico italiano: molte forme di politica conflittuale, dalle singole proteste alle ondate di scioperi e alle rivolte, dal terrorismo alle rivoluzioni, erano tutte designate come "movimenti".

Usare il termine "movimento" per identificare tutte queste forme di conflitto presenta tre rischi. Primo, oscura la specificità di ciascuna di queste forme di conflitto; secondo, oscura la relazione fra particolari forme di azione all'interno di fenomeni più ampi, come il ruolo del terrorismo nelle rivoluzioni, o degli scioperi nelle ribellioni; terzo, rende impossibile la comprensione delle dinamiche del conflitto e in particolare della possibilità che i movimenti si trasformino in partiti politici.

C'è però un pericolo più serio, e cioè quello di generare l'illusione che la partecipazione diretta possa sostituire la politica rappresentativa. I movimenti sociali, infatti, sono agenzie di partecipazione – non di rappresentanza: primo, da sempre, i partiti si sono presi la responsabilità di governare e di conseguenza hanno ceduto alle tentazioni del potere; i movimenti non lo hanno fatto; secondo, i partiti hanno dovuto cercare il sostegno di una larga fascia della popolazione; i movimenti invece non lo hanno dovuto fare; terzo, i partiti hanno dovuto costruire delle organizzazioni gerarchiche per mobilizzare i loro elettori e reclutare dei quadri per governare. I movimenti non hanno fatto neanche questo: anzi; con la diffusione di Internet, nei movimenti la comunicazione ha spesso soppiantato l'organizzazione.

Il risultato è che i movimenti sono rimasti “leggeri”: sono cioè riusciti a diffondersi con livelli minimi di organizzazione e di coerenza. Viceversa, i partiti si sono “appesantiti”: ed è proprio questa pesantezza ha creato la "partitocrazia", la loro caratteristica più negativa.

Ci furono tuttavia anche degli aspetti positivi nel sistema dei partiti italiano. Si ricordi l'esperienza che l'Italia si stava lasciando alle spalle nel 1945: una dittatura di un singolo partito che sostituì uno stato liberale esso stesso appena democratico. Inoltre, nello stesso periodo, gli elettori si confrontarono con autentiche scelte ideologiche; i leader - almeno alcuni di loro - avevano visto le possibili conseguenze delle pulsioni autoritarie, e per la più parte lavorarono per evitarle; crearono la costituzione repubblicana - una delle più democratiche in Europa, un testo grazie al quale l'Italia fu il solo paese dell'Europa meridionale a restare sempre democratico. E soprattutto, nel primo dopoguerra ci fu un cospicuo strato di cittadini che partecipò attivamente alla vita politica, un fenomeno che è ormai in gran parte scomparso.

Non è necessario esaltare un sistema dei partiti che era burocratico e al tempo stesso personalistico. Ma l'alienazione dalla politica dei partiti che caratterizza la società italiana contemporanea (e che ha aiutato a dare al termine "movimento" un fascino non sempre meritato) non giova alla qualità della democrazia.

Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale la politica era vituperata con forza per l'assenza di coerenza e di coraggio nel difendere la democrazia. Il fascismo, come Emilio Gentile ha scritto con eloquenza, fu un "movimento" anti-partiti che salì al potere in un'atmosfera di disprezzo per la politica parlamentare e per la classe politica. L'Italia corra oggi il pericolo di una svolta autoritaria; ma i movimenti anti-partiti, quando si combinano con l'alienazione dalla politica rappresentativa, rischiano sempre di finire col voler fare del tutto a meno della democrazia.

Quanto durerà, dunque, questa nuova "politica dei movimenti"? Quando il Movimento 5 Stelle vinse un quarto del voto alle elezioni politiche di febbraio, il New York Timesscrisse: “Mr. Grillo typifies a new style of politician rising from the fires of the EU’s long-running economic crisis and voter discontent”. Lo stesso articolo enfatizza inoltre la violenza della retorica anti-politica di Grillo e il suo uso dei media per mobilizzare i sostenitori. Ma tutto questo, in realtà, è già successo. Ogni volta che una nuova ondata di movimenti si è abbattuta sulle rive della politica italiana, gli osservatori sono sempre stati colpiti dalla sua originalità e dalla sua minacciosità per la stabilità politica: nel 1919, Benito Mussolini fondò i fasci di combattimento, approfittando della disillusione dei veterani della prima guerra mondiale, dell'antiparlamentarismo di una larga parte del sistema politico, e della minaccia percepita di un Ottobre Italiano. Come ancora ci ricorda Gentile, il Partito Nazionale Fascista fu un movimento anti-partiti prima di diventare esso stesso un partito; il 23 dicembre 1944 fu fondato a Roma il Fronte dell'Uomo Qualunque (UQ), un movimento sorto attorno all'omonimo giornale del commediografo e giornalista Guglielmo Giannini. Con il suo movimento, Giannini non attaccava solo il defunto stato fascista, ma anche i partiti politici che stavano emergendo dalla Resistenza: "Basta con i partiti!", esclamava, "Riprendiamoci il paese!". I movimenti come "Lotta continua" e "Potere operaio", che sferrarono un importante attacco allo stato italiano negli anni Settanta, nacquero in realtà nel decennio precedente, in cui erano movimenti che reclamavano autonomia dai partiti politici, e in particolare dal partito comunista.

Ciascuno di questi movimenti è diventato un partito politico e uno di essi divenne un partito-stato che distrusse la democrazia. Perché questa trasformazione? In parte, perché i movimenti allo stato emergente sono molto fluidi e contengono ogni sorta di conflitti latenti; senza una qualche forma di organizzazione gerarchica tendono a frammentarsi o a scomparire. Ma in parte è anche perché il "momento antipolitico" che li ha prodotti è arrivato non solo dal basso, ma anche dall'alto. L'estinzione del marxismo come ideologia dopo il 1989 e la secolarizzazione del cattolicesimo politico ha lasciato l'Italia in un "blackout di discorsi politici", per usare le parole di Alfio Mastropaolo: "Ma anche i protagonisti della politica ufficiale da tempo non risparmiano critiche alla politica, alimentando una rigogliosa antipolitica... dall’alto, alla quale concorrono i mass media, gli ambienti economici e la stessa società civile“.

Chi spera, o teme che il Movimento 5 Stelle rimanga un movimento sociale, probabilmente rimarrà deluso. Siccome la retorica anti-partiti viene in parte dall'alto, i movimenti si trasformano inevitabilmente in partiti. Il pericolo è che tali movimenti si fondano con sentimenti antipolitici provenienti dal basso, malumori di cui politici opportunistici possono approfittare. 

Certo, il 2013 non è il 1922 - né il 1945, o il 1968. Ma sarebbe un errore ignorare la ricorrente alienazione anti-partiti del pubblico italiano, oggi come ieri. Quello che tutti questi periodi hanno in comune è la coesistenza di "due anime" nell'immaginario politico italiano. Salvatore Lupo descrive queste due anime nel suo libro Partito e Antipartito: “Sul primo versante, il partito di massa quale migliore o unico strumento per gestire l'accesso alla vita pubblica dei profondi strati popolari, nonché per fornire una salda guida all'attività delle istituzioni rappresentative. Sul secondo versante il partito di massa è stato visto come il protagonista di un gioco truccato, il fulcro di dinamiche oligarchiche, la macchina spersonalizzante, corrotta e corruttrice, e quanto meno come il luogo di mediazioni infinite e paralizzanti”.

I movimenti possono giocare un ruolo creativo nella politica, imponendo nuovi argomenti di discussione e ringiovanendo un ordine politico ormai sclerotizzato. Si pensi ai movimenti degli anni Sessanta: hanno aiutato il rinnovamento della classe politica e dei sindacati e hanno iniettato nuova linfa nel sistema dei partiti di allora. Ma i movimenti diventano pericolosi quando i loro leader pretendono una delega assoluta da parte dei loro sostenitori e denigrano i compromessi e il pragmatismo che sono una parte essenziale di ogni florida democrazia politica.

Lunga vita ai movimenti sociali - ma teniamoli al loro posto!

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