SOCIETÀ

La democrazia del 50%

Il vistoso calo di partecipazione alle amministrative di domenica e lunedì (ha votato appena il 62,3% degli aventi diritto) non è una anomalia momentanea: si tratta piuttosto di un fenomeno di lungo periodo iniziato negli anni Ottanta e di un trend comune a quello di molti paesi europei. Fra il 1948 e il 1979, infatti, la partecipazione degli italiani al voto in occasione di elezioni politiche si era sempre mantenuta sopra il 90%; a partire dal 1983 inizia a scendere, prima fino a quota 80% (2008) e, nel febbraio 2013, al 75%. 

Nelle elezioni amministrative, si è sempre votato un po’ meno che alle politiche, percepite come un “momento decisivo” in cui candidati e partiti facevano il massimo sforzo per ottenere i consensi dei cittadini. Non a caso, le elezioni di ieri nei comuni dove si era votato nel 2008, in coincidenza con le politiche di quell’anno, hanno visto calare la partecipazione di 20,5 punti percentuali (dal 75% al 54,7%) mentre nei comuni dove si era votato in altra data la partecipazione è scesa “solo” dell’8,7%.

In queste amministrative si sono probabilmente sommati vari fattori di disaffezione: quelli politici ma anche quelli legati all’amministrazione locale. Il punto di partenza, nel ragionamento di molti elettori, è che l’impotenza dei governi, percepiti come meri esecutori delle direttive provenienti dalle istituzioni europee, si sia trasmessa agli enti locali, la cui vantata autonomia si è ridotta a zero con i vari provvedimenti di contenimento della spesa pubblica. Oggi si è giunti al paradosso per cui i comuni più “virtuosi” nell’amministrare sono stati maggiormente penalizzati dalla spending review del governo Monti, quindi i loro margini di azione sono ridottissimi: chiunque faccia il sindaco di Roma, di Imola o di Brescia troverà le casse vuote e infiniti vincoli nel governare.

Sempre sul piano locale, il Movimento 5 Stelle ha pagato la scarsa riconoscibilità dei suoi candidati e le incertezze dimostrate fin qui nella politica parlamentare: il 25,5% delle politiche, primo partito italiano, era in parte una richiesta urgente di aiuto per uscire dalla crisi, un modo dei cittadini per dire: “Fate qualcosa!” La costituzione del governo Pd-Pdl ha fatto percepire il voto al M5S come inutile a molti elettori. E poiché il governo Letta certamente non era lo sbocco a cui pensavano gli elettori di Bersani e di Berlusconi, anche molti di loro sono rimasti a casa.

Si tratta di un risultato in fondo prevedibile: qualche mese fa, alle elezioni per la Regione Sicilia (che ha un vero e proprio parlamento, non un semplice consiglio regionale) votò solo il 47%. L’Italia si avvicina a diventare una “democrazia senza cittadini” come scriveva Robert Entman a proposito degli Stati Uniti nel 1989? Alcuni scienziati politici hanno sostenuto in passato che una bassa partecipazione politica e un alto astensionismo elettorale fossero addirittutra fattori fisiologici, capaci di favorire la stabilità di democrazie avanzate come quella americana e, oggi, parecchie democrazie europee tra cui la Francia dove alle elezioni comunali del 2008 aveva votato solo il 65% degli iscritti alle liste, in realtà poco più del 50% degli adulti. In realtà l’Italia sembra voler usare l’astensionismo o il voto a partiti “antisistema” come il movimento 5 stelle per costringere la politica a dare risposte a un Paese stremato. Quanto queste armi siano efficaci lo vedremo solo nei prossimi mesi.

Fabrizio Tonello

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