SCIENZA E RICERCA

La forza della scienza sta nella sua non-perfezione

Un viaggio nell’evoluzione dell’idea della Terra nella cultura occidentale dal XVI secolo a oggi, ma anche una riflessione parallela e inevitabile sulla nascita e la natura del pensiero scientifico moderno. È Terra, storia di un’idea (Laterza 2013) di Marco Ciardi, finalista al premio Galileo 2014, protagonista del terzo degli incontri tra autori e pubblico, e fermamente convinto che ogni rivoluzione scientifica sia prima di tutto una lotta contro il senso comune. 

Se dovesse indicare tre nomi nella storia della scienza che più di altri hanno significato una svolta nel modo di concepire la Terra e la natura, quali potrebbero essere?

I nomi possono essere tanti e per motivi diversi, legati spesso al ruolo più generale che hanno avuto nell’evoluzione del pensiero e della cultura. Il primo che viene in mente è certamente Galileo, non solo e non tanto per le sue scoperte o per aver fondato il metodo scientifico, così come ci viene descritto sui manuali, quanto piuttosto per aver capito quale doveva essere il rapporto tra scienza e religione, per aver capito la dimensione pubblica della scienza e della circolazione delle idee, per aver rivendicato il ruolo della fantasia e della creatività nella scienza, grazie alla sua formazione umanistica.

Il secondo è ovviamente Darwin, teorico dell’evoluzione ma anche appassionato geologo che ci ha portato alla “scoperta del tempo”: è il superamento della cronologia biblica, e la scoperta che alle nostre spalle c’è una storia molto più lunga di quello che si immaginava. E soprattutto ha proposto un’idea di evoluzione che non corrisponde a un progetto già definito: l’evoluzione non ha una direzione ben precisa, e anche questo è stato un grande passo avanti.

Il terzo potrebbe sicuramente essere Newton, figura molto più complessa di come la studiamo a scuola. Ma, per non restare sempre sui soliti noti, diciamo invece Alfred Wegener, colui che teorizzò per primo la deriva dei continenti. Può sembrare una teoria molto “tecnica” ma è ad esempio quello che ha aperto la strada alla nostra conoscenza dei terremoti, e ha infranto definitivamente l ’idea che la nostra Terra sia eterna e immutabile.

Cronologia biblica, universo antropocentrico, l’idea che anche l’evoluzione corrispondesse a un progetto definito: un tempo si tendeva a far rientrare fenomeni celesti e naturali in un “ordine” prestabilito e precostituito. Quanto e come la cultura ha influenzato e influenza la scienza?

La scienza è sempre sottoposta a influenze culturali, politiche, religiose, economiche. Ma non vuol dire che la scienza sia solo e soltanto frutto del suo contesto. Galileo era religioso – come tutti gli scienziati prima del Novecento – ma è comunque riuscito a marcare una differenza tra interpretazione scientifica e interpretazione del testo biblico. Newton si occupava di alchimia, ma questo non gli ha impedito di scoprire alcune leggi fisiche fondamentali. E le leggi fisiche restano oltre il contesto culturale che ha portato il singolo scienziato a scoprirle e a studiarle.

E la scienza ci ha condotto anche dalla convinzione di avere un mondo infinito a nostra disposizione alla scoperta della sua finitezza. Quando è nata questa consapevolezza del “limite”, del pianeta e nostro?

La consapevolezza è nata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: da un lato ci si rendeva conto, dopo la fine delle grandi esplorazioni geografiche, che ormai “non vi era roccia che non recasse una bandiera”, per dirla con Valéry, che nel 1931 affermava: “Comincia l’era del mondo finito”. Ma già poco dopo la rivoluzione industriale c’era chi si domandava cosa faremo un giorno, quando finirà tutta questa energia che stiamo consumando. Diciamo che intellettuali e scienziati forse hanno sempre avuto questa consapevolezza, ma prima che questa si divulgasse e arrivasse all’opinione pubblica si è arrivati alla seconda metà del Novecento. E anche in ambito politico rispetto a 40 anni fa sicuramente c’è una sensibilità maggiore, anche se questo poi non implica che ci siano sempre e subito azioni conseguenti.

Per passare dagli scienziati all’opinione pubblica, la conoscenza passa attraverso la scuola, che ci dà nozioni e idee che ci accompagnano poi per tutta la vita. È così? Attraverso l’insegnamento scientifico si forma anche la nostra visione del mondo?

Questo è un tema molto importante. Dobbiamo avere il coraggio di riflettere su come trasmettere la cultura scientifica, come trasmettere i valori della scienza e cogliere un senso più ampio del ruolo della scienza sulla società. Le nozioni si dimenticano, e anche la divulgazione scientifica dovrebbe aumentare non solo le nostre competenze ma anche la consapevolezza del valore della scienza. È la questione fondamentale del sapere pubblico e sapere privato. Che in ultima analisi è un tema legato alla democrazia.

Per finire: lei afferma che “la straordinaria forza della scienza sta nella sua non-perfezione”. Cosa vuol dire esattamente?

Vuol dire che la scienza non ci darà mai un sapere assoluto su temi ultimi. Come si dice spesso “la scienza è il dubbio”, è la rottura con la pretesa di avere una risposta perfetta e preconfezionata. È un elemento che ha a che fare con la verità, e contemporaneamente con l’incertezza, e occorre trovare sempre un equilibrio. È Newton che si sente come un ragazzo che gioca con le conchiglie in riva al mare, consapevole che “il grande oceano della verità si stende tutto da scoprire” davanti a lui.

Cristina Gottardi

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