
Sono stati anni difficili, tra lockdown, morte e paura. Come spesso accade, però, anche dalle esperienze peggiori può svilupparsi qualcosa di buono, e così è successo anche con SARS-CoV-2, il virus più studiato di sempre con 150.000 articoli e 17 milioni di sequenze genomiche, che mentre portava le persone allo stremo dava nel contempo nuovo impulso alla ricerca scientifica e alla medicina.
Un recente articolo pubblicato su Nature ha analizzato le principali lezioni che la scienza ha tratto dalla pandemia, tra cui la rapidità di mutazione del virus, l'importanza del sequenziamento genomico e le sfide nella comunicazione scientifica. Ma queste conoscenze verranno applicate alle future emergenze? E soprattutto, la società ha realmente compreso il valore della divulgazione scientifica?
Un bilancio, cinque anni dopo
L’esperienza della pandemia da Covid19 ha evidenziato la fragilità e la resilienza dei sistemi sanitari globali, la velocità con cui un virus può diffondersi e mutare e l'importanza di una risposta coordinata tra ricerca scientifica, politica e società civile. In questo senso possiamo dire che quello che abbiamo passato ha rivoluzionato la virologia, offrendo dati in tempo reale che hanno permesso di monitorare l’evoluzione del virus, mentre la ricerca ha portato a sviluppare vaccini in tempi record. La pandemia, però, ha anche mostrato le crepe del rapporto tra scienza e cittadinanza. Anche se la fiducia negli scienziati è risultata molto più alta di quanto potremmo percepire scrollando post sui social, è anche vero che le posizioni e i dubbi di pochi possono mettere a rischio il benessere e la salute di intere comunità.
Un virus velocissimo
All’inizio della pandemia, molti scienziati pensavano che SARS-CoV-2 sarebbe mutato lentamente, come l’influenza. Invece, varianti come Alpha e Delta hanno dimostrato che il virus poteva evolvere rapidamente per aumentare la trasmissibilità e l’aggressività. L’arrivo di Omicron nel 2021 ha segnato un ulteriore punto di svolta: non solo il virus era diventato più contagioso, ma aveva anche cambiato il modo in cui infettava le cellule, preferendo le alte vie respiratorie. Questo è stato uno degli aspetti che ha sorpreso gli addetti ai lavori, e il fenomeno ha richiesto aggiornamenti costanti nelle strategie di contenimento e poi di vaccinazione.
Allo stesso tempo, la pandemia ha accelerato la digitalizzazione della sanità spingendo la scienza verso un modello più rapido e collaborativo. I laboratori di tutto il mondo hanno condiviso dati in tempo reale, accelerando lo sviluppo di vaccini e terapie, usando big data per tracciare l’andamento dei contagi. Anche la collaborazione internazionale tra istituti di ricerca e aziende farmaceutiche è stata senza precedenti, e ha portato a un rapido progresso nelle conoscenze virologiche e immunologiche.
Il ruolo della comunicazione scientifica durante l’emergenza
Se da un lato la scienza ha risposto in modo straordinario alla sfida posta dalla pandemia, dall’altro la comunicazione di questi risultati è stata spesso problematica. La pandemia ha mostrato quanto sia difficile bilanciare la necessità di fornire informazioni tempestive con l’incertezza insita nella ricerca scientifica in evoluzione: nel momento in cui gli scienziati più onesti rispondevano a molte domande con un laconico “non lo sappiamo ancora”, quelli che avevano più successo erano invece i venditori di certezze, che non si facevano problemi a dare informazioni senza prove (o con dati provvisori) e a smentirle pochi giorni dopo, contribuendo a spaventare le persone, che non sapevano più cosa aspettarsi ma soprattutto di chi fidarsi.
La proliferazione di informazioni sui social media, ma anche in alcuni programmi televisivi, ha reso difficile distinguere le fonti affidabili da quelle meno attendibili. La disinformazione ha quindi giocato un ruolo importante nel diffondere paure ingiustificate e teorie complottiste, contribuendo a una polarizzazione del dibattito pubblico.
Di questi argomenti abbiamo parlato con Roberta Villa, medica e giornalista scientifica, che durante la pandemia è stata una delle voci più autorevoli nella comunicazione sui vaccini e sulla gestione dell’emergenza.
Servizio e montaggio di Anna Cortelazzo
La sfida della divulgazione
Durante la pandemia, la scienza ha raggiunto traguardi straordinari, ma la comunicazione di questi successi non è sempre stata delle migliori. Un esempio emblematico riguarda la rapidità di sviluppo dei vaccini a mRNA. "La velocità con cui sono stati realizzati ha sollevato sospetti nella popolazione, alimentando paure infondate sulla loro sicurezza; – afferma Villa – in realtà, i vaccini sono stati sviluppati in tempi record non perché si siano saltati passaggi di sicurezza, ma grazie a una serie di innovazioni nel metodo di produzione e a un coordinamento senza precedenti tra enti regolatori e case farmaceutiche. Bisognava spiegare meglio fin dall'inizio che questi vaccini erano il risultato di decenni di ricerca sull'RNA messaggero, non un esperimento improvvisato”.
Un'altra criticità nella comunicazione è stata la percezione degli effetti avversi. "Ogni farmaco ha un certo tasso di reazioni indesiderate, ma nel caso dei vaccini anti-Covid l’attenzione mediatica su questi eventi, pur rari, ha spesso amplificato le paure della popolazione. Per il futuro, sarebbe necessario un maggiore impegno nella trasparenza e nella spiegazione dei processi scientifici, anche e soprattutto in periodi non emergenziali, così da creare fiducia e consapevolezza nella popolazione”.
Il sequenziamento genomico: un'arma da non sottovalutare
Nel gennaio 2020, la prima sequenza genomica di SARS-CoV-2 è stata condivisa pubblicamente dal virologo Edward Holmes, inaugurando una corsa senza precedenti per tracciare il virus e le sue mutazioni. Paesi come Regno Unito e Stati Uniti hanno investito massicciamente nel sequenziamento, permettendo di individuare rapidamente nuove varianti. Rispetto a epidemie passate, come quella di Ebola, questa mole di dati ha consentito di studiare il virus in modo completamente diverso: "La capacità di documentare l'evoluzione del virus con un livello di dettaglio senza precedenti è stata importantissima” spiega Villa. “Grazie alla combinazione di tecnologie avanzate e reti internazionali di ricerca, è stato possibile tracciare le varianti e anticiparne l'impatto sulla salute pubblica: un esempio su tutti è stato il Sudafrica, dove gli scienziati hanno identificato per primi la variante Omicron, dando al resto del mondo un vantaggio nella preparazione alla sua diffusione. Per mantenere solida questa infrastruttura, però, è essenziale continuare a investire nel sequenziamento, anche nei Paesi a basso reddito, così da garantire una risposta globale più efficace alle prossime pandemie”.
La scienza sui social: opportunità e rischi
La pandemia ha anche portato molti scienziati sui social media per comunicare direttamente con il pubblico. Questo ha permesso di raggiungere milioni di persone in tempo reale, ma ha anche creato sfide legate all'‘autorevolezza e alla credibilità delle fonti.
"Da un lato – afferma Villa – è positivo vedere ricercatori e medici impegnarsi in prima persona nella divulgazione. Dall'altro, il sovraccarico di informazioni e la mancanza di filtri editoriali ha portato a una polarizzazione del dibattito, favorendo la diffusione di notizie errate”.
Un altro problema è stata la progressiva perdita di interesse una volta passata la fase critica dell'emergenza. Durante i momenti più difficili, la richiesta di informazione scientifica era altissima; oggi, invece, le risorse per la divulgazione sembrano diminuire. "Dobbiamo evitare che il valore della scienza venga riconosciuto solo nei momenti di crisi", avverte Villa. "Investire nella divulgazione scientifica in tempi di pace è essenziale per non dover correre ai ripari quando arriverà una nuova pandemia, in modo da trovare un equilibrio tra la negazione dell’emergenza e il panico, perché è proprio la consapevolezza del rischio che può farcelo affrontare meglio, perché sapremo come comportarci".
La lezione più importante
Una delle maggiori difficoltà nella comunicazione scientifica durante la pandemia è stata la tendenza del pubblico a cercare certezze assolute in un contesto in cui la scienza, per sua natura, procede per tentativi, errori e revisioni. Questa esigenza di risposte immediate e definitive ha spesso portato a una polarizzazione del dibattito: da un lato chi chiedeva alla scienza di offrire verità granitiche, dall’altro chi sfruttava ogni cambiamento di posizione per screditarne l’affidabilità. La realtà, invece, è che la conoscenza scientifica evolve, e ammettere l’incertezza non significa essere incompetenti, ma trasparenti.
Per il futuro, Villa suggerisce che una comunicazione chiara da parte delle istituzioni, capace di spiegare anche l'incertezza insita nella scienza, potrebbe ridurre la sfiducia e il rifiuto delle misure di prevenzione. Una criticità non da poco nel periodo della pandemia, infatti, sono stati quei momenti di scarsa collaborazione tra scienza e politica, per fortuna poi rientrati. "Abbiamo visto – ricorda Villa – che, quando la scienza e la politica collaborano, i risultati possono essere incredibili, ma perché questo accada, serve un rapporto di fiducia con il pubblico, che si costruisce nel tempo, e non durante un’emergenza”.
Investire nella ricerca, nella comunicazione e nella cooperazione internazionale diventa una necessità per affrontare al meglio le prossime sfide sanitarie e la cosa più sbagliata sarebbe aspettare la prossima pandemia per farlo.