
La Stazione spaziale internazionale è troppo pulita. O meglio: il suo microbioma è meno diversificato rispetto a quello della Terra e questo può implicare dei problemi per i suoi inquilini umani. Semplificando moltissimo, è questo uno dei risultati a cui arriva lo studio The International Space Station has a unique and extreme microbial and chemical environment driven by use patterns pubblicato sulla rivista scientifica Cell.
All’apparenza, studiare l’ambiente spaziale da un punto di vista microbico potrebbe sembrare una questione di poco conto, ma in realtà non è così: con l’avvicinarsi di una permanenza nello spazio sempre più lunga, studiare in modo approfondito l’ambiente garantirà condizioni di salute migliori in condizioni di vita decisamente ancora estreme. Rispetto agli inizi dell’esplorazione spaziale, quando la NASA era decisamente più preoccupata sulle eventuali contaminazioni di ritorno dallo spazio (e dalla Luna), ora il problema si è ribaltato e l’attenzione è sulla salubrità degli ambienti spaziali. Dopo tutto, il ritorno, a breve (senza ulteriori intoppi), sulla Luna, il desiderio – in prospettiva – di realizzare una base sul nostro satellite e – in un futuro ancora incerto – di arrivare su Marte pongono al centro la sicurezza degli equipaggi, non solo dal punto di vista tecnico-ingegneristico, ma anche da quello della salute.
Come si è svolta la ricerca
Lo studio, condotto durante la missione 64 della ISS, ha permesso la raccolta di oltre 800 campioni di superficie provenienti dai nove moduli che compongono il segmento statunitense della Stazione (lo USOS, United States Orbital Segment, utilizzato anche da altre agenzie). I tamponi hanno permesso di realizzare una vera e propria mappa microbica e chimica in tre dimensioni dell’area oggetto dell’esperimento. I campioni (congelati a una temperatura di -80 °C e poi rimandati sulla Terra) sono stati presi in tutti i diversi habitat presenti: dalle zone abitative fino a quelle per gli esperimenti scientifici e quelle adibite a moduli di lavoro).
Sono stati, poi, i laboratori dell’università della California, a San Diego, ad effettuare l’analisi. Due i rilievi effettuati: quello chimico per andare a identificare i residui delle sostanze che abitualmente vengono utilizzate per pulire l’ISS, quello genomico per scovare, invece, i ceppi batterici e la presenza di eventuali virus a bordo.

La stazione spaziale internazionale vista dalla capsula Crew Dragon in avvicinamento. Foto: NASA
Gli scienziati, con i risultati alla mano, hanno confrontato, innanzitutto, il microbioma “spaziale” con quello relativo ad ambienti terrestri. Si è notato subito che, rispetto alla Terra, le comunità microbiche della ISS erano molto meno differenziate rispetto ai campioni terrestri. I germi più presenti erano quelli che popolano la pelle umana, ma, sulle superfici, erano assenti i microbi ambientali che normalmente si trovano nell’acqua o nel terreno. I campioni erano più simili a quelli che si possono trovare in ambienti perlopiù caratterizzati da isolamento, come gli ospedali o habitat chiusi.
Secondariamente, lo studio ha portato alla luce come la diversità microbica variasse da modulo a modulo: le aree adibite alla preparazione dei pasti e al loro consumo era più satura di microbi associati agli alimenti, mentre quelle pensate per i servizi igienici erano, gioco forza, più cariche di germi associati alla defecazione e alla minzione.
Una caratteristica costante
Una caratteristica è rimasta costante nell’analisi di tutti gli spazi sottoposti ad analisi: la presenza di tracce chimiche associabili ai prodotti usati per l’igiene e la disinfezione.
Non si tratterebbe di un fattore di poco conto: con grande probabilità, una delle cause della mancata varietà microbica potrebbe stare proprio nell’uso eccessivo di elementi chimici per la disinfezione con concentrazioni più elevate rispetto ai corrispettivi ambienti terrestri.
Le conseguenze sono controintuitive: si è abituati ad associare l’igiene a una condizione di benessere salutare e così si sarebbe portati a considerare questo ragionamento valido anche per la Stazione spaziale internazionale. In realtà, un ambiente con poca variabilità microbica, e a maggior ragione sulla ISS, può comportare l’insorgenza di problemi di salute.
Ma serve un piccolo passo indietro: astronaute e astronauti sono soggette a diverse alterazioni psicofisiche nella loro permanenza nello spazio. Le più conosciute sono la perdita di massa ossea e di tono muscolare e problemi al sistema cardiocircolatorio. Ma ci sono altre insidie: sulla ISS spesso vengono sperimentate eruzioni cutanee, forme di infiammazione varie e diversi tipi di allergie. Sono patologie perlopiù riconducibili ad alterazioni o disfunzioni del sistema immunitario.
Ed è proprio qui che si inserisce lo studio pubblicato su Cell. Il gruppo di ricerca sostiene, infatti, che i problemi degli equipaggi derivino proprio dal fatto che l’ISS sia fin troppo pulita.
Sono già molti gli studi che suggeriscono come una più ampia esposizione a microbi diversi possa rafforzare il sistema immunitario. Cosa che – come si è visto – non può avvenire in orbita terrestre.
Lo studio, anche nella prospettiva di nuove e più impegnative missioni spaziali, suggerisce anche una serie di contromisure da poter applicare, proprio a partire dalla Stazione spaziale internazionale. La prima soluzione sarebbe quella di creare ambienti popolati da microbi abitualmente presenti in ambienti naturali come i giardini. La seconda prevederebbe di variare i prodotti utilizzati per la pulizia degli ambienti: al posto di elementi chimici, sanificare con sistemi basati su batteri “buoni” (i probiotici), sfruttando la competizione biologica tra batteri, riducendo la contaminazione di quelli potenzialmente patogeni.
Sono tutti elementi di stretta attualità: soluzioni di questo tipo potrebbero essere utilizzate per le future stazioni spaziali o per gli ambienti di un eventuale base lunare, fino a spingersi ai lunghi viaggi a cui saranno sottoposti gli equipaggi per andare e tornare da Marte.