
L’esplorazione spaziale comporta notevoli sfide non solo dal punto di vista scientifico e tecnologico, ma anche filosofico. Ci costringe, infatti, ad affrontare una serie di interrogativi etici, tra cui: perché andare nello spazio? Con quali obiettivi, a quale prezzo, e con quali conseguenze? Domande centrali per chi si occupa di space ethics, un ambito della filosofia morale applicato all’esplorazione dello spazio e finalizzato non solo alla speculazione teorica, ma anche alla definizione di regolamenti, protocolli e linee guida che orientino le attività delle agenzie spaziali.
“L’etica dello spazio rappresenta un ambito di ricerca interdisciplinare che si è consolidato e costituito in maniera esplicita negli ultimi anni, ma le sue radici non sono affatto nuove: da sempre, infatti, i progressi tecnologici sono stati accompagnati da riflessioni critiche sul loro significato e sul loro impatto”, spiega Simone Grigoletto, professore al Dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata all’università di Padova e coordinatore di una summer school in space ethics. “Possiamo citare, ad esempio, il saggio Man’s conquest of space, di Hannah Arendt, pubblicato nel 1963 (quindi, sei anni prima dell’arrivo di Louis Armstrong sulla luna), che si apre con questa domanda: La conquista dello spazio da parte dell’uomo ha aumentato o diminuito la sua levatura?
In altre parole, Arendt si chiede se la corsa allo spazio ci abbia resi migliori e se abbia senso, quindi, proseguirla; la risposta a questa domanda dipende però a sua volta da diverse questioni di natura sia antropologica – riguardanti la nostra concezione di ‘essere umano’ – sia politica”.
“ Has man's conquest of space increased or diminished his stature? Hannah Arendt, Man’s conquest of space, 1963
“L’etica dello spazio attinge di fatto a un dibattito ormai millenario sull’etica normativa, applicandolo a un contesto specifico”, prosegue Grigoletto. “Questo naturalmente richiede competenze che non possono e non devono essere solo quelle filosofiche. Credo che la ricerca scientifica, oggi come un tempo, sia un contesto privilegiato per queste operazioni di definizione di senso.
Chiaro, di strada ne abbiamo fatta da quel 1963 in cui prendeva la parola Arendt; oggi, infatti, si trovano considerazioni specificamente etiche nei documenti redatti dalle maggiori agenzie spaziali mondiali. Per fare qualche esempio concreto, nell’aprile del 2023 la NASA ha organizzato un workshop di riflessione etica sul programma Artemis, che ha lo scopo di riportare l’essere umano sulla Luna. L’ESA, invece, pubblica annualmente un report ambientale per cercare di rispettare lo Zero Debris Approach, l’impegno a condurre entro il 2030 missioni spaziali che non comportino l’inquinamento delle orbite terrestri.
Insomma, le risposte sono sempre più concrete, ma il punto di domanda di partenza resta quello evidenziato da Arendt: la possibilità di alterare così tanto il mondo attraverso l’avanzamento tecnologico ci induce inevitabilmente a interrogarci sulla condizione umana”.

Ascolta l'intervista al professor Simone Grigoletto
Rischi e benefici
Sono diversi gli interrogativi teorici e gli obiettivi pratici che animano l’interesse per l’esplorazione spaziale: desiderio di conoscenza, ricerca scientifica, scopi commerciali, protezione interplanetaria, turismo.
Eppure, ogni impresa spaziale comporta ingenti costi (economici, ambientali, tecnologici) e svariati rischi, specialmente quando la finalità è quella di portare in orbita esseri umani. Questo, conferma Grigoletto, ci spinge a domandarci se gli obiettivi di una missione – e i relativi benefici attesi – siano sufficientemente validi da giustificare i pericoli in questione.
“La questione del rischio (e, conseguentemente, dell’opportunità o meno dei costi) è certamente centrale”, commenta il professore. “È interessante ricordare qui che l’etimologia del termine “rischio”, sebbene ancora incerta, sembra derivare proprio dall’ambito dell’esplorazione (in questo caso, però, si tratta di quella marittima). Il termine, infatti, (che pur trova un’occorrenza latina in «periculum-i») deriva con buona probabilità dal greco antico «τὸ ριζικό» (sorte, destino) che ne fa un uso specifico all’ambito marinaresco, come testimoniato dal veneziano «risego», che riferisce al greco «ἡ ρίζα» (scoglio).
Queste riflessioni etimologiche possono aiutarci a mettere in luce il carattere ineliminabile del rischio, nel contesto dell’esplorazione. Viviamo in un’epoca in cui (almeno nel mondo occidentale, ndr) libertà e autonomia vengono considerati valori fondamentali. Ma più crescono queste libertà, più aumentano anche i rischi che siamo disposti ad affrontare – un legame che emerge con particolare evidenza quando si parla di esplorazione spaziale”.
Detto questo, come sottolinea Grigoletto, la valutazione del rischio e, di conseguenza, le considerazioni etiche, variano a seconda dei diversi scopi delle operazioni spaziali. Il professore propone un parallelismo con quanto accaduto nel giugno 2023, quando il sottomarino turistico Titan, gestito da Ocean Gate Expeditions, implose durante un’immersione verso il relitto del Titanic, causando la morte istantanea dei cinque occupanti. “La missione non aveva una finalità scientifica, eppure le persone a bordo si sono assunte un enorme rischio”, ricorda Grigoletto. “Ma a quale scopo?
Domande analoghe iniziano a emergere anche nel contesto dell’esplorazione spaziale, dove diventa sempre più urgente riflettere non solo sui costi, sui benefici e sui rischi immediati delle missioni, ma anche sui potenziali effetti a cascata a lungo termine”.
Da questo punto di vista, il professore cita un tema centrale nelle space ethics, quello riguardante il problema dei detriti spaziali, il cui progressivo aumento – dovuto alla moltiplicazione delle attività umane in orbita – rischia di compromettere a lungo termine le nostre possibilità di accedere allo spazio, intralciando quindi l’organizzazione di missioni di interesse potenzialmente globale. “Siamo arrivati a un punto in cui tecnologia e scienza non possono più fare a meno dell’etica”.
Ecologia spaziale
Lo stesso vale quando ci si interroga sulle questioni ecologiche legate all’esplorazione spaziale. Ci si chiede, ad esempio, che tipo di rispetto dovremmo avere per ambienti diversi da quello della Terra e che valore dovremmo attribuire alla sopravvivenza di ipotetiche forme di vita non umane che potremmo (forse) un giorno incontrare.
“La questione ecologica è complessa e solleva una serie di questioni rilevanti dal punto di vista etico”, riflette Grigoletto. “Bisogna innanzitutto distinguere tra i contesti in cui è presente la vita e quelli in cui, invece, la vita è assente. Nel primo caso, il dibattito ricalca quello sviluppatosi negli ultimi decenni sui temi ambientali terrestri, che vede due principali posizioni consolidate: da una parte quella antropocentrica, secondo la quale l’essere umano occupa una posizione privilegiata nella natura e può decidere, quindi, se sfruttarne le risorse a suo piacimento o salvaguardarle; dall’altro, l’approccio (ecocentrico, ndr) secondo il quale la natura e tutte le forme di vita sarebbero dotate di un valore intrinseco”. Perciò, quando ci si domanda se alcune risorse possano essere sacrificate incondizionatamente per il vantaggio di alcune specie, la risposta cambia a seconda dell’orientamento che si assume.
È nostra responsabilità, quindi, salvaguardare l’ambiente extraterrestre? La stessa domanda, prosegue Grigoletto, si pone anche per i contesti in cui non c’è vita. “Prendiamo l’esempio di Marte, dove al momento non sono state rilevate forme di vita vere e proprie. Eppure, il pianeta rosso è comunque dotato di caratteristiche geologiche uniche che potrebbero essere considerate oggetto di tutela. Credo sia quindi fondamentale interrogarci sulla prospettiva che intendiamo adottare e sul valore che riconosciamo a questi luoghi prima di iniziare ad esplorarli”.
Interessi privati e turismo spaziale
Negli ultimi anni, la nascita di agenzie spaziali private e l’organizzazione di missioni a scopo turistico (che mandano in orbita persone “comuni” e non più solo astronauti specializzati) ci obbligano a riconsiderare ulteriormente le potenzialità e i limiti dell’esplorazione spaziale, aprendo allo stesso tempo nuove questioni sull’impatto ambientale e sociale di queste imprese.
“Esistono forti criticità rispetto alla sostenibilità ecologica del turismo spaziale”, afferma Grigoletto. “Consideriamo il caso di Blue Origin, l’azienda aerospaziale di Jeff Besos, che afferma che i suoi voli non comportino emissioni di CO2, bensì solo di vapore acqueo. L’impatto ambientale è comunque significativo, perché anche l’immissione di vapore acqueo in atmosfera comporta effetti negativi e accertati sul riscaldamento terrestre.
Per quanto riguarda invece le ricadute dal punto sociale, c’è il rischio che la space economy diventi un ulteriore ambito in cui si esprime un privilegio per pochi. Basti vedere quanto successo il 14 aprile 2025, con la missione NS 31 organizzata proprio da Blue Origin. Non è stato reso pubblico il costo del biglietto pagato dalle cinque partecipanti, ma le stime si aggirano attorno ai 200-300 mila dollari”. Grigoletto cita inoltre il discusso caso della cantante Katy Perry, accusata di aver preso parte alla missione spaziale in questione solo allo scopo di promuovere la sua carriera e la sua immagine attraverso i social media. “Questo dimostra come ciò che avviene nello spazio (anche solo per pochi minuti), non riguarda mai solo lo spazio, ma ha delle ricadute sociali significative”.
Insomma, in un ambito in evoluzione come quello dell’esplorazione spaziale, dove gli interessi in gioco sono i più disparati, viene da riflettere sull’importanza di promuovere un dibattito pubblico sulle questioni più urgenti di etica dello spazio che sia plurale, scientificamente fondato e non guidato dalle pressioni economiche o dagli interessi commerciali privati.
“Le possibilità sono molte”, afferma Grigoletto. “La divulgazione scientifica è fondamentale per contribuire a questo obiettivo. Si potrebbe dire che, nel suo piccolo, anche interviste come questa possono aumentare la consapevolezza scientifica rispetto a questi temi”. Anche l’organizzazione della prima edizione della summer school in Space ethics dell’università di Padova va in questa direzione, dando l’occasione a un gruppo di studenti internazionali di ascoltare l’opinione di esperti di caratura mondiale su questi argomenti. Le università e le accademie, sostiene Grigoletto, possono davvero fare la differenza da questo punto di vista, rendendo il dibattito sulle space ethics “non solo democratico, ma anche accessibile e comprensibile a tutti e a tutte”.