SCIENZA E RICERCA

Cosa prenoti quest’anno? Un volo nello spazio

Il turismo spaziale non è più un miraggio: lo scorso 11 luglio l’imprenditore britannico Richard Branson con un equipaggio di due piloti, Dave Mackay e Michael Masucci, e tre dipendenti della Virgin Galactic (la compagnia da lui fondata), ha compiuto il primo volo suborbitale, superando gli 80 chilometri di altitudine a bordo del veicolo spaziale VSS Unity. Agganciato a WhiteKnightTwo, jet quadrimotore a doppia fusoliera, lo spazioplano è stato portato a un’altezza di circa 15 chilometri: qui, una volta sganciato, ha attivato i motori e ha raggiunto la quota stabilita. Ora l’obiettivo della Virgin Galactic è quello di realizzare 400 voli all’anno: 600 biglietti sono già stati venduti a un prezzo compreso tra i 200 e i 250.000 dollari a persone di una sessantina di Paesi diversi.

A distanza di pochi giorni dall’impresa di Branson, è ora la volta di Jeff Bezos: il 20 luglio – nel giorno del cinquantaduesimo anniversario dello storico sbarco dell'Apollo 11 sulla Luna – l’imprenditore statunitense presidente di Amazon, volerà nello spazio a bordo del New Shepard, un veicolo prodotto dalla compagnia spaziale Blue Origin da lui stesso fondata, dopo aver ricevuto l’autorizzazione al lancio dalla Federal Aviation Administration. Con lui il fratello Mark, l’aviatrice ultraottantenne Wally Funk, una delle 13 donne del programma Mercury della Nasa, e il diciottenne Oliver Daemen. Interessate all’iniziativa quasi 7.600 persone da 159 Paesi. L’esperienza durerà in tutto una decina di minuti: nel giro dei primi quattro il veicolo supererà i 100 chilometri di altitudine, dopodiché il razzo si separerà dalla capsula che ospita i passeggeri e tornerà autonomamente sulla Terra.

Il New Shepard infatti, twitta la Blue Origin, è stato progettato per volare sopra la linea di Kármán, dato che “per il 96% della popolazione mondiale, lo spazio inizia a 100 chilometri di altitudine, oltre la linea di Kármán riconosciuta a livello internazionale”. Regole diverse sono stabilite invece dall’Agenzia federale per l’aviazione degli Stati Uniti (Federal Aviation Administration), secondo cui lo spazio comincia oltre gli 80 chilometri, oltre cioè la linea di Armstrong. Ma dunque, pare quasi voler insinuare la Blue Origin, si può dire davvero che Branson abbia volato nello spazio? Finché i due si contendono il primato, intanto, anche la compagnia di Elon Musk, SpaceX, sta lavorando per inaugurare entro l’anno i suoi primi “viaggi turistici” tra le stelle.

Molto l’entusiasmo, dunque, per questa nuova prospettiva commerciale che vede i più ricchi del mondo investire nello spazio. Ma se guardare la Terra da molto lontano risulta allettante, ci sono aspetti di cui un “turista spaziale” dovrebbe tener conto prima di comprare il biglietto?

 

Microgravità e fisiologia del corpo umano

Si sa che le condizioni di volo aerospaziale influiscono sulla fisiologia del corpo umano, specie quando il periodo di permanenza nello spazio in condizioni di microgravità è prolungato (si pensi per esempio alle missioni nella Stazione spaziale internazionale). In questi casi, spiega Andrea Porzionato, professore di anatomia umana all’università di Padova, specialista in Medicina legale e direttore del corso di perfezionamento in Medicina aeronautica e spaziale, ci sono conseguenze sui muscoli che possono andare incontro ad atrofia o indebolimento, con perdita di massa muscolare, ma anche a problemi più complessi, si è visto negli ultimi anni. Si può avere, infatti, una vera e propria modificazione della tipologia dei muscoli, specie di quelli antigravitari, come i muscoli del polpaccio (il soleo per esempio): le fibre cosiddette lente di tipo I, cioè, tendono a trasformarsi in fibre veloci di tipo II. 

In maniera analoga anche l'osso, che ha un suo metabolismo ed è un tessuto vivo, risente della gravità: nelle condizioni di volo aerospaziale si assiste a una perdita di mineralizzazione. Gli effetti sono molteplici e alcuni di questi si sviluppano anche in tempi più rapidi rispetto a quanto avviene per il muscolo e per l'osso. Si pensi per esempio alla ridistribuzione dei fluidi corporei, e in particolare del sangue, che in condizioni di microgravità tendono a risalire verso i distretti più alti del corpo. Ciò spiega perché i tessuti del viso degli astronauti nella Stazione spaziale internazionale appaiano spesso un po’ edematosi. La risalita dei liquidi corporei influenza poi anche il loro volume complessivo. A livello della biforcazione dell’arteria carotide vi sono dei recettori, i cosiddetti barocettori, che avvertono l’aumento di pressione sanguigna dovuta alla risalita del sangue: il corpo reagisce a questa condizione con una risposta controregolatoria, tentando di ridurre il sangue e i fluidi corporei, attraverso la diuresi per esempio. Si possono avere conseguenze anche sul sistema nervoso centrale che pure è immerso in un liquido (detto cefalorachidiano), sensibile alle variazioni idroelettrolitiche e di ioni che interessano i liquidi stessi. Ancora, la microgravità può gravare sulla funzionalità dell’orecchio interno, sull’organo dell’equilibrio in particolare, e sull’occhio, oltre che su alcuni versanti endocrinologici.

Ipotizzando permanenze ancora più lunghe nello spazio – basti pensare alle future missioni su Marte a cui si lavora ormai da tempo – si dovrà tener conto anche delle conseguenze che possono derivare agli astronauti dall’esposizione alle radiazioni cosmiche ionizzanti, in grado di alterare i tessuti viventi a causa della loro alta energia, dunque potenzialmente cancerogene. Senza contare poi possibili effetti neurologici e psicologici, come per esempio problemi di depressione.  

 

Turismo spaziale: quali effetti sul corpo umano?

Se questi sono gli effetti delle condizioni di microgravità sul corpo umano quando i periodi di permanenza sono prolungati, sembra invece si possa stare (relativamente) più tranquilli quando i voli sono di minor durata, come quelli attualmente offerti dalle compagnie di Richard Branson e Jeff Bezos. “Per periodi brevi – sottolinea Andrea Porzionato –, dato che al momento si parla di viaggi spaziali che durano al massimo uno, due giorni, o addirittura ore in questi primi voli, gli effetti sul corpo umano sono minori, ma alcuni aspetti possono comunque essere importanti, come la ridistribuzione dei liquidi e i possibili effetti sul sistema cardiocircolatorio”. Il rischio per tempi così brevi, tuttavia, è relativamente contenuto, quindi non ci si aspettano per ora grossi problemi.

“Certamente – continua il docente – è da considerare l’aspetto certificativo, la necessità di una autorizzazione a partecipare che consenta a persone che non possiedono una preparazione specifica, né una sorveglianza sanitaria ultraspecialistica, di prendere parte a una missione di questo tipo. Possono emergere, infatti, implicazioni etiche o medico-legali, perché può sempre capitare un imprevisto, un evento medico e non è da escludere che si possa venire a creare un contenzioso. Ora potrebbe sembrare paradossale e assurdo, ma nulla può impedire che un turista spaziale, che in questo momento paga cifre molto importanti, possa andare incontro a qualche problematica sanitaria nel corso della missione, magari legata più o meno direttamente alla missione in sé.  Potrebbero per esempio emergere aspetti di non adeguata informazione, di non adeguate verifiche delle effettive condizioni fisiche e mediche, e dunque le implicazioni possono essere varie”. Allo stato attuale, secondo Porzionato, sembrano ipotesi difficili da verificarsi, che tuttavia non possono essere escluse in previsione di un ampliamento e di una estensione di queste tipologie di viaggio spaziale. Sono aspetti da considerare, insieme anche alle tutele assicurative.  

La ricerca nel settore della medicina spaziale

Che si tratti dunque di “turismo spaziale”, caratterizzato (almeno per ora) da voli di breve durata o di missioni scientifiche a lungo termine nello spazio o su altri corpi celesti, considerare le conseguenze che questo tipo di esperienze può avere sulla fisiologia umana è di cruciale importanza per tutelare la salute degli astronauti e, ora, anche di privati cittadini. Per tale ragione, la ricerca in questo ambito continua e, proprio di recente, ha fornito risultati interessanti: un gruppo di ricercatori giapponesi, con uno studio pubblicato su Communications Biology, ha identificato una proteina che influenza proprio il modo in cui i muscoli rispondono alle condizioni di microgravità. Come si è visto, durante i voli spaziali si assiste a una modificazione della tipologia di fibre muscolari: ebbene, gli scienziati hanno indagato i processi molecolari e genetici che sottendono alla conversione da fibre lente di tipo I a fibre veloci di tipo II. Per esplorare questo aspetto, hanno eliminato nei topi il gene che codifica Nrf2 (fattore di trascrizione nucleare eritroide-2), che aiuta a controllare la risposta del corpo allo stress ossidativo. Gli animali sono stati poi inviati sulla Stazione spaziale internazionale per un mese e confrontati con un gruppo di controllo.

“Siamo stati sorpresi di scoprire che, in ambiente di microgravità, i topi Nrf2-knockout (senza lo specifico gene dunque, ndr) non hanno perso più massa muscolare dei topi di controllo – sottolinea Satoru Takahashi, autore dello studio –. Tuttavia, hanno mostrato un tasso significativamente accelerato di transizione da fibra di tipo lento a fibra di tipo veloce”. Oltre a questa modificazione nella composizione muscolare, ci sono stati anche notevoli cambiamenti nel modo in cui il tessuto muscolare ha utilizzato energia e nutrienti. “I nostri risultati – sottolinea Takahashi – suggeriscono che Nfr2 altera la composizione del muscolo scheletrico durante il volo spaziale, regolando le risposte ossidative e metaboliche”.

Intervista completa ad Andrea Porzionato. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Le ricadute della ricerca

Andrea Porzionato, con cui abbiamo discusso lo studio, pone l’accento dunque sull’effetto protettivo di Nfr2 sulle modificazioni muscolari che avvengono in condizioni di microgravità e mette in luce le ricadute che potrebbero avere questi risultati: “Rimanendo sul versante della medicina spaziale e quindi pensando all’utilità per gli astronauti, conoscere i meccanismi molecolari implicati può permettere di sviluppare approcci finalizzati a limitare l'atrofia muscolare o la modificazione di tipologie di fibre, aspetti che, se nei tempi brevi possono non essere così importanti, possono invece risultare particolarmente gravosi per gli astronauti nel corso di permanenze prolungate nello spazio, come potranno essere per esempio i viaggi su Marte”. Il docente osserva inoltre che, dato che il fattore di trascrizione nucleare eritroide-2 è implicato nelle funzioni antiossidanti, si potrebbero valutare degli approcci farmacologici o degli integratori con funzione antiossidante o in maniera specifica finalizzati ad una aumentata espressione di questo Nfr2 che potrebbero avere effetti positivi nel lungo termine per gli astronauti.  

Ricadute importanti, però, si possono avere anche per la vita sulla Terra. “Ci sono particolari situazioni cliniche – osserva il docente – che implicano atrofia muscolare o variazioni delle tipologia di fibre come l'età, la cachessia neoplastica, il disuso da varie patologie, come il diabete per esempio, quindi conoscere i meccanismi molecolari implicati, anche magari mediante questi approcci in ambito aerospaziale, può avere delle implicazioni in ambiti non direttamente aerospaziali”.

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