SCIENZA E RICERCA
Spazio alle donne. I volti delle eroine della Luna tra storie e pregiudizi
È il 20 luglio 1969. Il mondo intero è incollato agli schermi, alle radio e sfoglia impaziente le pagine di quotidiani e riviste. Tutti stanno aspettando l’evento del secolo, anzi, l’evento che da lì a poco sarebbe diventata una delle più grandi tappe nella storia dell’umanità: lo sbarco sulla Luna. Alle 20:17 ci fu l’allunaggio e appena sei ore più tardi Neil Armstrong fu il primo uomo a mettere piede sul nostro satellite naturale, la Luna appunto.
In questi giorni festeggiamo i 50 anni di quell’incredibile impresa, di quel “piccolo passo per l’uomo ma un grande passo per l’umanità”, come la racconta lo stesso Armstrong.
Al centro delle celebrazioni c’è un’epopea al maschile, una narrazione di gesta eroiche al maschile i cui protagonisti sono tre: Neil Armostrong e i suoi compagni d’avventura Buzz Aldrin e Michael Collins. Non poteva che essere così vista l’importanza e l’impatto di quell’avventura. Ed è proprio per l’importanza che lo sbarco sulla Luna ha nel progresso dell’esplorazione spaziale e della conoscenza dell’uomo che, in un’occasione come il cinquantesimo anniversario, possiamo andare oltre le figure degli eroi in primo piano e mettere in luce altri protagonisti dell’avventura lunare (circa trecento mila persone solo alla NASA, in totale furono molte di più). Ogni grande passo nella storia della scienza non è mai frutto di un eroe soltanto: ci sono tantissime figure che hanno lavorato per anni e anni, se non secoli. Talvolta ci sono persone che restano a lungo nell'ombra, di molte figure veniamo a sapere molto tardi, ed è proprio di loro che è importante parlare. È il caso delle “eroine della Luna” o le “lunatiche” come le chiama Valeria Palumbo, autrice del libro L’epopea delle lunatiche pubblicato nel 2018 nella collana Microscopi di Hoepli Editore, con cui abbiamo parlato approfondendo il contesto storico e culturale di quegli anni per portare alla luce anche il ruolo che le donne hanno avuto nel programma dell’allunaggio.
“Una prima cosa che possiamo sottolineare – racconta Valeria – è che nella grande impresa dell’allunaggio si sono incarnati tutti i valori dell’eroe maschio e, anche dov'era evidente, la presenza femminile è stata rimossa. Proprio nello stesso periodo l’unione sovietica fece un’operazione completamente diversa. Seppur dentro una dittatura con tutti i suoi limiti, all’inizio alle donne è stato dato uno spazio e un ruolo completamente diverso rispetto a quello che succedeva negli Stati Uniti d'America.”
Ben diverse, infatti, sono ad esempio le storie dalla cosmonauta russa Valentina Tereškova, la prima donna in assoluto ad essere andata nello spazio, in confronto alle statunitensi passate alla storia come “ragazze del Mercury 13” che lavorarono al progetto Mercury, attivo tra il 1958 e il 1963.
Da un lato abbiamo Valentina, che effettuò quarantanove orbite terrestri, divenne comandante di una navicella spaziale e un vero mito nazionale. Ed era il 1963, appena due anni dopo il volo del russo Jurij Gagarin, il primo uomo ad andare nello spazio.
Dall’altro lato, invece, abbiamo un gruppo di donne che superò i test a cui la NASA sottoponeva gli astronauti ma a cui non fu permesso di diventare astronauti. "I test erano stati loro somministrati da un medico, William Lovelace, ingaggiato come consulente dalla NASA nel 1958. – come scrive Valeria nel suo libro - L’idea era sua e sostenuta da ottime ragioni: le donne, fra le altre qualità, sono in genere più piccole e leggere degli uomini e quindi sarebbero state più adatte a entrare nelle minuscole capsule Mercury. In più, il loro apparato cardio-circolatorio sembrava più adatto allo stress dello spazio. Ma, appunto, l’idea era di Lovelace e la NASA non l’aveva neanche presa in considerazione, a differenza di quanto si è raccontato in seguito. I difensori dell’ente spaziale dicono che il motivo è semplice: la NASA aveva stabilito che potevano essere astronauti solo piloti militari con una laurea in ingegneria. Quindi non avrebbero potuto esserci donne finché le ragazze non fossero state ammesse nelle accademie militari e non fosse stata incoraggiata la loro iscrizione alla facoltà di ingegneria.”
Sulla carta, quindi, nessun maschilismo, solo criteri di merito.
Valeria continua il racconto: “Le tredici ragazze non hanno taciuto. O meglio, una di loro, Jerrie Cobb, non si diede per vinta: scrisse al presidente John F. Kennedy e denunciò l’accaduto a un deputato democratico, Victor Anfuso. Il Congresso istituì allora una commissione d’inchiesta per valutare se la NASA avesse commesso un atto discriminatorio. La commissione decise di no: le tredici ragazze non erano militari né ingegneri. Tutto abbastanza coerente col fatto che la prima astronauta statunitense a partecipare a una missione la vediamo solo nel 1983. Era Sally Ride, di cui quasi nessuno ha mai sentito parlare."
A tutto questo si aggiunge che le Mercury 13 non solo non entrarono a far parte del programma degli astronauti della NASA e non volarono mai nello spazio, ma nemmeno si incontrarono mai collettivamente se non anni dopo, elemento fondamentale per entrare a far parte di una comunità scientifica riconosciuta.
“C’è da dire che nel secondo dopoguerra la mentalità statunitense era tutt’altro che femminista e fondava i suoi principi su una società maschilista da poco uscita vincitrice dal secondo conflitto mondiale. – aggiunge Valeria - E così è stato fino alle proteste femministe del ’68-‘69. Quindi non c’è da stupirsi troppo se alle donne non venissero riconosciuti ruoli di particolare rilievo. Ma la situazione qui si fa ancora più paradossale perché in realtà le donne c’erano, erano tante e svolgevano ruoli fondamentali nei programmi spaziali che hanno portato fino all’allunaggio.” Basti pensare alle “calcolatrici di Harvard” o alle “NASA computers”, appellativi dati alle donne addette ai calcoli manuali in assenza dei computer.
“ Le donne c’erano solo che poi sono scomparse: si trattava di rimozione ma anche di veri e propri divieti. Valeria Palumbo
Avvicinandoci all’Apollo 11, un grande lavoro di divulgazione delle figure di donne rimaste nascoste a lungo dietro il programma, è stato fatto da Hidden figures (tradotto in italiano con Il diritto di contare), film del 2016 che racconta la storia della matematica e fisica afroamericana Katherine Johnson e delle sue colleghe Dorothy Johnson Vaughan e Mary Jackson. Tutte e tre lavoravano come “calcolatrici” per la NASA al Langley Research Center di Hampton, sfidando razzismo e sessismo, tracciando le traiettorie per il programma Mercury, la missione Apollo 11 e poi anche Apollo 13.
Da ricordare è anche Poppy Northcutt, la “calcolatrice” della NASA addetta ai conti prima del programma Gemini, il predecessore dell’Apollo, e poi dell’Apollo. Poppy fece parte di uno staff che sarebbe intervenuto in caso di emergenza e viene ricordata come la donna che ha aiutato l’equipaggio dell’Apollo 11 a ritornare a terra sano e salvo, tant’è che in suo onore un cratere lunare è stato chiamato “Poppy”. Ci sono poi Margareth Hamilton, la direttrice del Software Engineering Division del MIT Instrumentation Laboratory, che sviluppò il software di bordo per il programma Apollo, e ancora Susan Finley che lavorò al sistema di comunicazione che consentì a Neil Armstrong di trasmettere informazioni alla Terra e molte altre ancora.
A lungo c’è stata una vera e propria rimozione del lavoro fatto dalle donne della NASA, alle donne veniva concesso il backstage, rimanendo nascoste, ed era loro preclusa la partecipazione ai viaggi spaziali.
Il messaggio era che non potevano essere pioniere ma potevano lavorare perché altri lo fossero.
Negli ultimi vent’anni sono stati fatti molti progressi. Ci sono molte ricercatrici astrofisiche, nelle recenti selezioni spaziali della NASA sono state selezionate diverse donne, le astronaute non mancano. “Certo si può fare ancora di più ma la situazione è sicuramente molto migliorata in ambito spaziale. Abbiamo avuto anche esempi italiani davvero importanti come Amalia Ercoli Finzi, Margherita Hack, Samantha Cristoforetti e Marica Branchesi, divenuti veri e propri simboli.” Ed è tanto importante parlare di tutti quei personaggi che possono diventare modelli per i giovani, quanto far emergere tutte quelle donne che, anche senza volare sulla Luna e senza metterci piede, hanno contribuito al progresso scientifico e della conoscenza dell’umanità.