SCIENZA E RICERCA

Siamo sicuri di cercare "ET" nel modo corretto?

Siamo gli unici abitanti dell’Universo? Questo interrogativo non ha ancora trovato risposta, ma gli studiosi continuano a indagare, cercando segnali e tracce di specie diverse su altri pianeti.

È l’astrobiologia – di cui si è parlato in più occasioni su Il Bo Live -, la scienza che si focalizza sulla ricerca di vita extraterrestre: si tratta di un ambito di indagine peculiare e complesso, perché non si conoscono le caratteristiche che potrebbero avere eventuali forme viventi su pianeti lontanissimi e talvolta inesplorati. Ciò rende difficile elaborare un metodo di indagine univoco e oggettivo, dunque gli studiosi continuano a cercare strade e percorsi alternativi per giungere a conclusioni certe.

Un recente studio, pubblicato su Nature Communication, descrive proprio una nuova strategia per individuare potenziale vita aliena, tenendo conto di un presupposto fondamentale: le specie che abitano altri pianeti potrebbero essere del tutto diverse da quelle che vivono sulla Terra, dunque gli elementi chimici che rendono possibile la vita come la conosciamo potrebbero differire altrove.

Perciò, la nuova ricerca propone di non partire dai presupposti della vita che conosciamo, sperando di rinvenirli su altri pianeti, ma da alcuni comportamenti comuni a tutti gli esseri viventi e che potrebbero riguardare anche specie ancora sconosciute: l’utilizzo di energia, l’interazione tra le specie, la competizione per le risorse e la formazione di ecosistemi.

“Questo studio – afferma a Il Bo Live Amedeo Balbi, docente di astronomia e astrofisica all’università di Roma Tor Vergata – è molto prezioso, in quanto ci aiuta ad essere più pronti a riconoscere forme di vita anche molto diverse da quelle terrestri”.

Questo nuovo approccio spinge a tenere la mente aperta a qualsiasi scoperta: i pianeti al di fuori del sistema solare non sono ancora stati esplorati, e non si può essere certi che attorno ad altre stelle la vita sia come quella che conosciamo e riconosciamo.

“Dobbiamo distinguere- dichiara infatti Balbi – la ricerca di vita nei pianeti all’interno del sistema solare e l’indagine in quelli intorno ad altre stelle. Nel primo caso possiamo inviare sonde automatiche per effettuare analisi dirette sul posto o, in teoria, riportare campioni sulla Terra per esaminarli in laboratorio. I pianeti extrasolari – che sono troppo lontani per essere raggiunti -, possono essere studiati solo a distanza cercando le cosiddette bio firme, cioè sostanze che, sulla Terra, sono prodotte dalla vita. Un esempio classico è l’ossigeno, generato dalle piante tramite la fotosintesi”.

Dunque, per cercare vita extraterrestre, gli studiosi partono da specie conosciute, ovvero quelle terrestri: ipotizzano, come afferma il docente, forme di vita che si basano sulla chimica del carbonio e utilizzano l’acqua come solvente, perché queste condizioni funzionano sul nostro pianeta: “Naturalmente, non possiamo escludere altre possibilità, forme di vita diverse, che presuppongono elementi e ambienti alternativi”.

Il punto di partenza che questa nuova ricerca individua è comunque ciò che si conosce, in quanto è sempre necessario iniziare da quello che si sa ed è evidente. Tuttavia, invece di andare in cerca di elementi come acqua o ossigeno, viene richiesto di indagare su alcune caratteristiche che la vita extraterrestre potrebbe condividere con le specie presenti sulla Terra: la capacità di replicarsi, l’evoluzione per selezione naturale, l’uso di energia per sostenere le proprie funzioni.

“Lo studio – spiega ancora Balbi – Ipotizza che, se la vita esiste altrove e se compete per le risorse, allora questa competizione dovrebbe lasciare tracce, riconoscibili nella distribuzione dell’energia: per esempio, una stratificazione delle risorse in base al loro contenuto energetico, come avviene in certi ecosistemi terrestri, sarebbe un segnale indiretto, ma potenzialmente indicativo”.

Le forme viventi scompongono prima i composti ad alta energia; così, gli organismi che consumano più risorse ricche di energia tenderanno a prevalere sugli altri, dando origine ad un particolare tipo di stratificazione, con i composti disposti in base a un contenuto energetico decrescente.

“Non importa che aspetto abbiano gli organismi – afferma Mikhail Tikhonov, uno degli autori dello studio, - finché si riscontrano autoreplicazione e competizione ecologica, ci aspettiamo che si formi questo schema”.

La tesi della ricerca è che, se ad esempio una roccia proveniente da Marte o da un qualsiasi altro pianeta mostrasse questa stessa forma di stratificazione, sarebbe molto probabile la presenza della vita.

Al di là di questo studio, la ricerca di forme di vita aliene si muove in diverse direzioni.

“Una delle linee di indagine oggi più promettenti – afferma Balbi – è l’analisi delle bio-firme atmosferiche nei pianeti extrasolari: cerchiamo tracce di molecole potenzialmente legate alla vita analizzando la luce delle stelle che filtra attraverso le loro atmosfere. È una sfida tecnologica notevole, ma stiamo facendo progressi; nei prossimi dieci anni, grazie a telescopi sempre più avanzati, potremmo ottenere indizi significativi e iniziare a rispondere, almeno in parte, alla domanda se siamo soli nell’Universo”.

L’astrobiologia è un ambito di indagine affascinante, perché studia ciò che non è ancora stato scoperto, ciò che è alieno, cioè diverso da noi, e che probabilmente non riusciamo neppure a immaginare. Perciò, è necessario non escludere alcuna strada, ed essere aperti a qualsiasi tipo di ipotesi o scoperta.

“Come teorico – afferma Tikonov – il mio compito è pensare a cos’altro sia possibile: e se su un pianeta lontano la vita operasse su una scala completamente diversa? Si potrebbe immaginare un essere vivente lungo un miglio che si muove in un’atmosfera lontana. Le possibilità sono tante, ed è per questo che è curioso pensarci”.

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