SCIENZA E RICERCA

Inquinamento atmosferico: come i satelliti possono danneggiare l'ambiente

Bruciare i satelliti al termine della loro vita potrebbe causare seri danni all’atmosfera, incrementandone l’inquinamento. È quanto evidenzia un articolo, pubblicato su Science, che pone l’attenzione sugli effetti negativi di questi veicoli spaziali: essi possono diventare un problema soprattutto nel prossimo futuro, poiché la loro produzione sta aumentando vertiginosamente.

Infatti, le aziende private che puntano a mettere in orbita nuovi satelliti sono numerose: Space X, per esempio, produce i satelliti Starlink, che forniscono accesso a internet ad un vasto numero di clienti nel globo. Fino a oggi, l’azienda ne ha messi in orbita più di seimila – quasi i due terzi di tutti i satelliti attivi -, ed ha chiesto l’autorizzazione per lanciarne altri trentamila. Anche Amazon si sta muovendo per produrre un vasto numero di satelliti, e sta lavorando a renderne attivi 3200. Il 6 agosto, poi, è stato lanciato il primo lotto dei 12 mila satelliti della mega costellazione G60, che un’azienda cinese metterà in orbita con l’obiettivo, ancora una volta, di garantire e migliorare l’accesso a Internet, sfidando il progetto Starlink.

Questi numeri in crescita stanno allarmando gli studiosi: fino a qualche anno fa, la preoccupazione per lo smaltimento dei satelliti era ridotta, poiché il tasso di deorbita – ovvero la loro induzione a bruciare nell’atmosfera -, era basso, pari a poche centinaia di unità ogni anno; questo dato, confrontato con la vastità della stratosfera che si estende dai dieci ai cinquanta chilometri, era esiguo e non destava apprensione. Oggi si osserva che, se le aziende riuscissero a mettere in orbita tutti i satelliti che hanno previsto, gli operatori si ritroverebbero a doverne smaltire circa diecimila all’anno, considerando la durata media della loro vita, che si aggira intorno ai cinque anni.

Nel 2023, alcuni ricercatori del National and Atmospheric Administrations Chemical Sciences Laboratory, hanno fatto chiarezza sul modo in cui i satelliti agiscono sull’atmosfera, aumentandone l’inquinamento: gli studiosi hanno considerato i dati di un aereo Nasa WB-57, che ha volato dall’Alaska a circa 19 chilometri di altitudine. Per individuare con precisione i composti chimici, è stato impiegato uno spettrometro di massa laser, che consente di misurare le particelle dotate di carica elettrica. In questo modo, gli studiosi sono riusciti a individuare piccolissime goccioline di acido solforico contenenti venti elementi diversi che, probabilmente, provenivano da satelliti o razzi, in quanto erano presenti in rapporti che corrispondevano a quelli di questi strumenti spaziali. Tali particelle, possono provocare l’aumento dei livelli di alluminio, litio, rame e piombo nell’atmosfera. Gli studiosi sono allarmati soprattutto per l’alluminio, l’elemento più comune nei satelliti: se il metallo disintegrato diventa ossido o idrossido di alluminio, può reagire con l’acido cloridrico, producendo cloruro di alluminio, che viene scisso dalla luce e libera il cloro che può distruggere l’ozono.

Da questo studio, si possono dedurre gli effetti negativi che bruciare i satelliti nell’atmosfera potrebbero determinare. Di recente, un incidente spaziale ha riportato l’attenzione su questo problema: infatti, lo scorso 11 luglio il razzo Falcon 9 di Space X, che trasportava venti satelliti Starlink, ha riportato un guasto, e li ha posizionati in un’orbita troppo bassa; nel giro di un paio di giorni, essi sono caduti nell’atmosfera, bruciando come pioggia di meteoriti. L’azienda ha dato la colpa ad una carenza di ossigeno, e ha dichiarato che i controllori di bordo hanno tentato di spingere metà dei satelliti su un’orbita più alta, ma, trovandosi a 135 chilometri sopra la terra – meno della metà del previsto -, erano destinati inevitabilmente a bruciare.

Con l’aumento della loro produzione, fenomeni di questo tipo diventeranno più frequenti, non solo a causa di possibili guasti e malfunzionamenti, ma anche per lo smaltimento alla fine della loro vita.

Gli studi non sono ancora riusciti a spiegare tutti gli aspetti che riguardano il modo in cui i satelliti bruciati agiscono sul nostro ambiente, ma, recentemente, hanno chiarito alcuni punti fondamentali. Una ricerca della University of Southern California, per esempio, ha tentato di individuare i livelli comuni di alluminio di un oggetto che brucia al rientro: in base ai dati che gli studiosi hanno raccolto, un tipico satellite di 250 chilogrammi produrrebbe 30 chilogrammi di particelle di ossido di alluminio. Gli studiosi hanno considerato i duemila deorbiti del 2022, e hanno stimato che le particelle rilasciate in quel periodo equivalevano a circa 17 tonnellate, un aumento del 30% della quantità prodotta da meteore e fonti naturali. Tenendo conto che la produzione di megacostellazioni di satelliti artificiali è in aumento, si prevede che, con il tempo, si potrebbe arrivare a 360 tonnellate di emissioni nell’atmosfera ogni anno, con conseguente distruzione di una quantità sempre maggiore di ozono.

Gli studiosi affermano con forza che l’industria deve prendere coscienza del problema, e trovare sistemi alternativi per consentire il rientro dei satelliti senza danneggiare l’atmosfera. L’articolo di Science riporta le parole di Adam Mitchell, ingegnere dei materiali presso l’Agenzia spaziale europea, che afferma che soluzioni differenti sono possibili e devono essere messe in campo. Lo studioso ritiene fondamentale adottare un’economia circolare per lo spazio, abbandonando i deorbiti e mettendo in atto strategie alternative: rifornimenti, riparazioni o riciclaggi, e tutte le possibili modalità che consentano di allungare la vita dei satelliti e di evitare che finiscano bruciati troppo frequentemente.

A preoccupare i ricercatori non sono solo gli effetti dei satelliti, ma anche i problemi che possono provocare i razzi. In questo caso, però, Space X lavora da tempo a vettori completamente riutilizzabili: ciò significa che, dopo il rientro, potranno essere messi nuovamente in orbita per voli futuri. Un esempio è il già citato Falcon 9; c’è poi Starship, che dovrebbe consentire agli astronauti di arrivare su Marte e sulla Luna. Tuttavia,  proprio su Starship, che è ancora in fase di test e con un progetto in evoluzione, si concentrano discussioni sul grado di inquinamento che può generare: un gruppo di ambientalisti americani, infatti, ha fatto causa alla Federal Aviation Administration (Faa), che regolamenta la messa in orbita di veicoli spaziali, chiedendo analisi dettagliate sull’impatto ambientale di questi lanci, per evitare di danneggiare l’ambiente. La mobilitazione è iniziata dopo il lancio del primo razzo Starship dalla base di Boca Chica, in Texas, il 20 aprile 2022: il veicolo spaziale è stato fatto esplodere per motivi di sicurezza, con rumori fortissimi e luci intense e un’onda d’urto che ha disperso materiale inquinante a migliaia di metri dal sito, in una zona dove sono presenti parchi naturali ed una ricca biodiversità. Per questo, gli ambientalisti hanno chiesto cautela per ulteriori test.

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