UNIVERSITÀ E SCUOLA

La generazione perduta in Gran Bretagna

Il sindacato dei docenti universitari britannici, University and College Union (Ucu), ha commissionato un sondaggio per indagare la dimensione psicologica dei giovani che non studiano né lavorano, i cosiddetti neet. La ricerca dell’Ucu ha coinvolto 1.000 persone tra i 18 e i 24 anni, dei quali la metà era neet da più di un anno e quasi un quarto del campione da oltre tre anni. 

Lo studio mette in luce la gravità delle condizioni di una generazione che più di tutte sta pagando il prezzo della crisi. Il 54% degli intervistati ritiene di aver sprecato per sempre il proprio potenziale e solo il 46% sente di avere ancora il “controllo” del proprio futuro e delle proprie aspirazioni. L’88% del campione vorrebbe lavorare e studiare ma ben il 36% è convinto che non riuscirà mai a trovare un lavoro. E l’ottimismo sembra quasi del tutto svanito se un intervistato su cinque arriva a dichiarare di “non sentirsi parte della società”.

Una condizione drammatica che emerge ancor più prepotentemente quando si considera che un terzo del campione dichiara stati di depressione e che il 39% ha iniziato a soffrire quotidianamente di disturbi legati a stress e ansia. Con un 37% degli intervistati che dichiara di uscire raramente di casa. Il fenomeno si verifica dopo appena un anno di mancanza di occupazione e rischia di avere ricadute gravi anche sulla salute futura. 

Ma quali sono i maggiori ostacoli nel trovare un lavoro o nel rientrare a scuola o all’università? Il 47% dei giovani ritiene di scontare una generica “mancanza di esperienza”, mentre il 25% attribuisce il problema alla “mancanza di fiducia”. Sul fronte università a finire sotto accusa sono proprio gli studi compiuti, con il 37% dei laureati che ritiene di non averne ricavato competenze qualificanti e soddisfacenti. Mentre quasi la metà dei diplomati non crede che iscrivendosi a un corso universitario ci sarebbe una possibilità di miglioramento della propria situazione.

L’idea di fondo è che stia prendendo forma una società a doppio binario: da una parte i più bravi o più fortunati, capaci di ottenere lavori sicuri e remunerativi in grado di soddisfare le loro aspirazioni personali e professionali; dall’altra i disillusi e demoralizzati. Persone che di fronte alla possibilità di subire un nuovo rifiuto non si mettono neppure alla ricerca di un lavoro. Una sorta di autodifesa dall’aggravamento della sensazione di marginalità che ulteriori sconfitte potrebbero provocare.

Se il rapporto dell’Ucu è riuscito a tradurre in esperienze e sensazioni un fenomeno che troppo spesso viene declinato in freddi dati numerici, va tenuto conto che le interviste riguardano la sola situazione britannica, dove il fenomeno appare più circoscritto se paragonato a quello dei paesi mediterranei. Nel Regno Unito, infatti, i giovani dai 18 ai 24 anni che non studiano e lavorano sono circa 909.000 (il 15% di quella fascia d’età), mentre in Italia sono quasi il 22%. Peggio ancora la Spagna e la Grecia, con cifre che superano il 30% (e una disoccupazione giovanile vicina al 60%).

Marco Morini

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