UNIVERSITÀ E SCUOLA

Laurea: serve sempre di più, ma non basta

La disoccupazione giovanile è da mesi al di sopra della soglia del 40%, e anche quando il lavoro c’è, questo spesso significa precariato diffuso e bassi livelli di retribuzione. Eppure paradossalmente le aziende hanno difficoltà a reperire sul mercato del lavoro diverse figure professionali. Colpa anche delle università, che non sanno indirizzare e formare adeguatamente i laureati?  Anche di questo si è occupato il workshop Cosa fanno il laureati, che ha cercato di porre le basi per mettere in rete le istituzioni che da anni si occupano di raccogliere dati sull’argomento come Istat, Almalaurea, ministero del Lavoro, Inps, Regioni e Camere di commercio

Un quadro tutt’altro che univoco e facile da leggere: “In realtà oggi è difficile sapere cosa facciano veramente i laureati, data la molteplicità di fonti spesso non omogenee – spiega Luigi Fabbris, docente di statistica e coordinatore dell’incontro - Sarà possibile rispondere a questa domanda se in futuro i vari enti inizieranno a parlare la stessa lingua”. I problemi fondamentali sono soprattutto l’armonizzazione nella raccolta di dati e la possibilità di conciliare quelli presenti nelle banche dati di tipo amministrativo con gli esiti delle indagini a campione. L’impressione generale, confermata più o meno da tutti, è comunque che la situazione per i giovani, compresi quelli che hanno compiuto studi universitari, sia oggi particolarmente difficile. Lo dice innanzitutto Almalaurea: nell’ultimo rilevamento del 2012, a un anno dall’ottenimento del titolo erano occupati appena il 66% dei laureati di primo di livello, contro l’82% del 2007. Una discesa, 16 punti percentuali in cinque anni, che assomiglia a un crollo, ma che non è il dato peggiore: se nello stesso periodo le lauree magistrali hanno mostrato un trend leggermente migliore (-11%), quelle magistrali a ciclo unico (ad esempio Medicina, Farmacia e Scienze della formazione primaria) hanno evidenziato addirittura un -23%. Anche sul fronte del reddito le notizie sono preoccupanti: sempre tra il 2007 e il 2012 le retribuzioni medie dei giovani laureati sono scese di oltre il 20%, con un perdita che supera i 250 euro al mese.

Questo significa che la laurea con la crisi ha perso valore sul mercato del lavoro? Al contrario: sempre secondo le elaborazioni Almalaurea, stavolta sulla base di dati Istat, per chi non ha un titolo universitario le cose vanno addirittura peggio. Se infatti tra il 2007 e il 2013 infatti il tasso di disoccupazione misurato nella fase di entrata nel mercato del lavoro è passato per i laureati all’incirca dal 10 al 16%, per i diplomati è cresciuto dal 13 al 28%, mentre per i titolari di licenza media addirittura dal 22 al 45%. Nel corso della vita lavorativa poi, rispetto ai non laureati si allarga il gap non solo per quanto riguarda occupazione e livelli di reddito, ma anche la stabilità e le condizioni contrattuali.

Un titolo accademico quindi al giorno d’oggi è sempre più percepito come una condizione necessaria, anche se non sufficiente, per entrare nel mercato del lavoro, con le lauree magistrali che manifestano un differenziale positivo, leggero ma crescente, rispetto a quelle triennali. Un quadro che viene confermato dalle ricerche Excelsior di Unioncamere, che danno informazioni su cosa le aziende cercano sul mercato del lavoro, con oltre 1,6 milioni di imprese e 11,4 milioni di lavoratori monitoriati. Emerge ad esempio come le imprese chiedano laureati più frequentemente di quanto non accadeva in passato: oggi infatti la laurea viene giudicata indispensabile per l’assunzione nel 60% dei casi, nel 51,2% anche se manca un’esperienza lavorativa precedente. Tra le lauree più richieste ci sono innanzitutto quelle di ambito economico, i vari indirizzi di ingegneria, quelle che attengono all’insegnamento e alla formazione e tutto il settore sanitario, con una forte crescita nell’ultimo periodo della statistica e delle hard sciences come fisica e matematica. Oggi infatti la domanda di laureati si concentra sempre più verso le professioni tecniche, richieste anche per ricoprire ruoli che prima richiedevano il semplice diploma di maturità, in particolare nei settori industriali “tradizionali”, nell’Information and Communication Technology e nei servizi finanziari. Un modo per le imprese per elevare il livello professionale del personale relativamente a buon mercato, data la contrazione dei salari.

Alla luce di un trend che comunque evidenzia una maggiore tenuta dei lavoratori laureati, ci sono però molte difficoltà intrinseche all’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Ad esempio, sempre secondo Excelsior, le imprese faticano a soddisfare la loro richiesta di manodopera nell11,9% dei casi, che nel Nord Italia arrivano addirittura a superare il 13%. Decine di migliaia di posti di lavoro che rischiano di restare scoperti, pur in presenza di una crisi senza precedenti. E con i laureati la difficoltà è addirittura doppia, arrivando addirittura al 21% delle offerte per titolari di laurea specialistica e al 22% per la triennale (anche se nel 2010 si superava il 30%). Le ragioni del perdurante Mismatch tra domanda e offerta di lavoro sono varie: nel 30% si tratta di un’oggettiva scarsezza di alcune figure professionali, nel 24% di un gap di aspettative da parte dei laureati (che non sono cioè interessanti alla professione offerta, oppure hanno aspettative superiori o diverse rispetto alle condizioni) e nel 41% a un gap di offerta, ovvero al fatto che le imprese non ritengono di trovare candidati all’altezza. Questo a sua volta può accadere per deficit di caratteristiche personali (7%), mancanza di esperienza (15%) o di un’adeguata formazione (19%). Un difetto percepito di preparazione che si concentra soprattutto nelle cosiddette competenze trasversali come la capacità di comunicare, lavorare in gruppo, risolvere problemi e operare in autonomia, giudicate dalle imprese importanti quanto se non più delle stesse competenze tecnico-professionali.

Competenze che, si obietta, vengono proprio dall’attività lavorativa piuttosto che dallo studio, ma che forse possono ricevere uno stimolo già durante gli anni dell’università. Ad esempio con i tirocini universitari e la partecipazione a programmi di scambi all’estero che, evidenzia Almalaurea, aumentano sensibilmente nel futuro laureato la possibilità di trovare un’occupazione.

Daniele Mont D’Arpizio

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