CULTURA

Le nuvole raccontate da un poeta di nome Fosco

Al National Hurricane Center di Miami in Florida c'è chi per lavoro ha  battezzato tutti i possibili uragani tropicali che imperverseranno per l’America in futuro; poi c’è anche chi, all’Organizzazione mondiale di meteorologia, aggiorna, rivede e corregge le liste di questi nomi originariamente individuati, da cui si attinge a rotazione, ogni sei anni, scorrendo le 21 proposte  di ogni elenco, per etichettare i cicloni; il tutto col rigore funereo e vintage con cui gli ateniesi ogni sette anni sceglievano le vittime per il Minotauro. C’è anche una sorta di damnatio memoriae per nomi già forieri di indimenticabile e tremenda distruzione: Katrina, ad esempio, che fece scempio del delta del Missisipi e fu particolarmente feroce con la bella New Orleans.

I nomi cambiano a seconda delle aree geografiche di provenienza degli uragani: una tempesta atlantica si può chiamare Dorian, Alberto viene dal Golfo del Messico, Zelda è dell’area orientale del Nord Pacifico, Kika rappresenta invece la zona centrale dello stesso Oceano e via discorrendo fino a Cina, India e Australia.

Il sito dedicato ai tropycal hurricane fornisce anche la pronuncia esatta dei nomi, casomai occorresse chiamarli dandogli del tu- i tornadi, come si fa col gatto, per tenerli buoni, ma soprattutto per identificarli velocemente nei messaggi di allerta alla popolazione.

Ad esempio, nel 2013, se il mondo non sarà finito, potrebbero provare  a devastarlo AN - dree- uh (Andrea), RAY-mund (Raymond), MAD-eh-lun, (Madeline) e persino loh-REN-zoh (Lorenzo) rispettando le  quote azzurre, ma anche rosa, dei fenomeni celesti, democraticamente assegnate dopo che per anni, fino al 1979 per l’esattezza, il disastro naturale, come il pericolo al volante, poteva essere solo donna.

Uragani, tempeste, tornadi e annesse trombe d’aria, da Dorothy (Gale non a caso) in poi, negli States sono male endemico che va previsto e possibilmente  liquidato con un certo rigore, anche onomastico.

Nell'Italia del che tempo che fa, dove l'ultima moda è la stazione meteo e la gente scrive indignata ai giornali se la previsione non scocca nell'ora annunciata (ma io avevo fissato il barbecue in terrazzo alle 21, non può fare bello già alle 19!), la nomenclatura dei pericoli che vengono dal cielo a rovinare su vacanze ed esistenze, segue a sua volta altre logiche, e non sempre originalissime.

Fedeli alla Magna Grecia, ai poeti e ai navigatori, il caldo infernale dei primi di luglio (che giustamente la Hack Margherita ha definito semplicemente "boia") lo abbiamo chiamato Caronte, Minosse e Lucifero, in un climax ascendente di bragia e lingue di fuoco. L'anticiclone buono come il ladrone alla destra del povero Cristo, si chiama Virgilio, come pure il nuovo autovelox dell'Anas (che però sfoggia la versione in peplum: Vergiulius), mentre alla più recente ondata di afa e umidità è toccato, chissà perché, il nome di Circe (per via del caldo porco? Perché unica vera dark lady in circolazione tra i miti classici?).

Eppure non siamo stati sempre così poveri di spirito. C'è stato un uomo nato esattamente 100 anni fa esperto di oriente e  di cime tibetane, oltre che di un sacco di altre cose, che ha classificato e nominato  le nuvole secondo una splendida nubignosia di sua creazione: è Fosco (nome altamente metereologico) Maraini.

Pur avendo vissuto spesso in bilico tra i cumulonembi, Maraini, alpinista fotografo ed etnologo, non era uomo d’aria ma piuttosto di terra e di mare (così sua figlia Dacia ne “Il Gioco dell’Universo – dialoghi immaginari tra un padre e una figlia”); nondimeno in Nuvolario, nel 1995, ha saputo raccontare le nuvole come forse solo Aristofane, inventandone una genealogia poetica, buffa e mai naif, nello stile divertito e dotto che è  anche dei versi metasemantici della sua strepitosa raccolta “Gnosi delle Fanfole”. Coautore del libro il fotografo Fulvio Roiter: sue le immagini dei vapori dell’atmosfera che Maraini divide in iperoni (quelli che si trovano comunemente al di sopra dell’osservatore, le comuni nuvole); i perionti, che avvolgono il medesimo osservatore (le nebbie, le caligini e le foschie) e gli iponti, che si distendono ai piedi di chi le guarda (vale a dire i mari di nuvole, o veli di nebbia ai fondi delle valli. Il velo di Venere ad Erice, per intendersi).

Ogni gruppo ha la sua schiera di tipi: Graffi e Ragnatele, Canizie di Petrarca, Piume di Fuoco, Figlie del Sole, Corredo di Bimba, Torri/Pinnacoli e Gloria, Incendi e Delitti, Tappeti degli Angioli, e per ognuno di loro Maraini è prodigo di lussureggianti didascalie (le Chiome, ad esempio, non vanno confuse coi Velami, per l’impressione curiosa e quasi magica di movimento fittizio che solo le prime sanno dare) che rimandano per dovizia di particolari e sfoggio di sapienza patafisica al Dialogo celeste delle citate Fanfole “io vissi ai tempi maccheroni degli azzeri bagiogi e gazzacagni ... d’inverno si zurlavano le precchie”.

Nomi non facilissimi, forse, da gracchiare alla bisogna dentro ricetrasmittenti di aerei. Ma vuoi mettere con Molly?

Silvia Veroli

Fosco Maraini in una foto di famiglia (autore: Oishi Kuranosuke)

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