SOCIETÀ

Lezioni dall’India

C’è una scuola a Varanasi, in India, nata da una sperimentazione italiana e riconosciuta dal sistema ufficiale indiano, in cui le lezioni iniziano alle sette con 20 minuti di assemblea generale durante la quale gli studenti siedono a gambe incrociate sulle stuoie per meditare e concentrarsi. Il ginnasio prevede ogni giorno sei ore di lezione in cui vengono insegnate le materie ufficiali del sistema educativo indiano, hindi, sanscrito (corrispondente al nostro latino), matematica, scienze (che comprende fisica, chimica e biologia), inglese e scienze sociali. Al termine di ogni ora, di 50 minuti, dieci sono dedicati alla meditazione. La stessa articolazione, con materie diverse, è prevista per i gradi di istruzione inferiore presenti nella struttura. Si tratta di un paradigma educativo che affonda le radici negli anni Ottanta, oggi conosciuto col nome di Alice Project, che unisce ai programmi ufficiali antiche discipline come yoga e meditazione, oltre a materie come filosofia, etica, ecologia e danza.

Il sistema scolastico ufficiale indiano prevede dieci anni di studio con programmi comuni a tutti gli istituti, cinque di scuola primaria (I-V anno), tre di medie (VI-VIII anno) e due di superiori (IX e X anno). Al termine, chi intende proseguire con gli studi universitari dovrà frequentare anche l’XI e il XII anno in cui è possibile scegliere tra indirizzo umanistico, scientifico o economico.

 “Il Progetto Alice – scrive dall’India alla nostra redazione Ruggero Da Ros – integra l’insegnamento della letteratura, della matematica e delle scienze con una più vasta consapevolezza della propria mente. Attraverso la pratica della meditazione, di tecniche di visualizzazione e il recupero di una vasta tradizione di racconti a sfondo etico, la scuola di Alice conduce gli studenti a riscoprire il proprio mondo interiore e le qualità della saggezza e dell’equanimità. La pedagogia di Alice converge con i risultati più all’avanguardia nel campo delle neuroscienze e della psicologia transpersonale”. Ruggero da Ros, già studente padovano, è docente di matematica e fisica in un liceo di Sacile e per anni si è occupato di problematiche legate al bullismo e al supporto psicologico degli studenti. Si trova ora a Varanasi, a titolo volontario, dove partecipa in compresenza alle  lezioni delle materie scientifiche, confrontando il metodo italiano con quello indiano.

Il progetto nasce su iniziativa di due insegnanti trevigiani, Valentino Giacomin e Luigina De Biasi. Ne parla Emilia Rossi in una tesi di laurea. Il punto di partenza è il tentativo di trovare una soluzione al progressivo peggioramento del profitto e della disciplina a cui gli insegnanti assistono agli inizi degli anni Ottanta. Il primo approccio si ispira al behaviorismo che riconduce le cause dei problemi all’ambiente, deresponsabilizzando la persona. L’approccio non ha successo e i docenti prendono una direzione opposta, chiedendosi se il comportamento esterno non possa essere il segno di una rottura dell’equilibrio interiore. Un “difetto di comunicazione” tra corpo e mente, interno ed esterno, io e tu. Gli studi e la sperimentazione proseguono in questo senso e si focalizzano sul concetto di Unità che sta alla base di tutto il progetto educativo, che va oltre le distinzioni di nazionalità, religione e cultura, per una visione comprensiva e globale del mondo. Unità che può essere raggiunta solo trascendendo se stessi e il mondo circostante attraverso il silenzio. Principi ispiratori l’“umanesimo integrale” di Maritain, la psicologia transpersonale e le scuole non-dualistiche della filosofia indiana. La sperimentazione, che unisce alle materie curriculari un lavoro sulla “consapevolezza di sé”, viene avviata nel 1986 in due scuole primarie del trevigiano e si conclude nel 1991. I risultati immediatamente percepibili sono un significativo miglioramento delle capacità di attenzione e concentrazione degli studenti, di autoanalisi e di autocontrollo. A quel punto Giacomin e De Biasi vogliono approfondire ulteriormente la ricerca, calandola in altri contesti culturali e nella scuola media e superiore. Nel 1994 giungono in un villaggio agricolo nella zona di Sarnath dell’Uttar Pradesh, Varanasi appunto, lo stesso villaggio da cui ci scrive Ruggero da Ros. L’esperimento indiano comincia con 70 ragazzi, oggi la scuola ne conta quasi un migliaio, dalle elementari alle superiori, che provengono in larga parte dagli strati sociali più svantaggiati. Va da sé che la scuola consente anche un riscatto sociale dei ceti più poveri, altrimenti al margine del sistema educativo. Oltre alla sede di Varanasi, sono state aperte altre due strutture una a Bodhgaya, nello stato del Bihar, e una nello stato dell’Arunachal. Scuole che, pur consentendo di ottenere lo stesso diploma delle scuole pubbliche, non ricevono finanziamenti dallo Stato ma sopravvivono attraverso donazioni, sponsor e adozioni a distanza dei bambini.

“Ritengo che il modello proposto dal Progetto Alice – sottolinea Da Ros – possa essere riproposto anche in contesti diversi dall’India. Le idee di base, cioè dare importanza all’uguaglianza sociale, di fede e di razza, comprendere le emozioni e saperle analizzare, imparare a concentrarsi e a utilizzare maggiormente le capacità della nostra mente, sono pratiche comuni a tutte le scuole del mondo, ma spesso trascurate. La metodologia del Progetto Alice è stata adottata con successo anche in alcune scuole tibetane in Ladakh e ha progetti pilota in Italia, Taiwan, America, Colombia e Francia”.

Il programma educativo proposto da Giacomin è sicuramente un modello alternativo di insegnamento, distante dalla prassi occidentale. Su cui, tuttavia, vale la pena riflettere.

Monica Panetto

Due momenti del progetto Alice: lezione in classe e meditazione nell'assemblea generale (Foto di Ruggero Da Ros)

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