CULTURA

Lincoln, o l’eguaglianza

"Four score and seven years ago our fathers brought forth on this continent a new nation, conceived in liberty and dedicated to the proposition that all men are created equal."

Un Abraham Lincoln acuto, riflessivo e vicino al suo popolo. Così appare il XVI presidente degli Stati Uniti d'America, impersonato da Daniel Day-Lewis, nel ritratto che ne fa Steven Spielberg nel suo ultimo film, elogiato dalla critica in modo pressocché unanime e candidato a sette Golden Globe e dodici premi Oscar. Sulla base del libro Team of Rivals: The Political Genius of Abraham Lincoln, della scrittrice Doris Kearns Goodwin, il regista affronta il tema dell'abolizione della schiavitù negli Stati Uniti nei suoi due momenti cardine: la guerra di secessione americana, durata dal 1861 al 1865, e l’approvazione, del  XIII emendamento - la legge che ne sanciva definitivamente il divieto e che, sostenuta dal presidente Lincoln, passò infine alla Camera dei Rappresentanti pochi mesi prima della vittoria dell’Unione.

Il film, girato tra Virginia e Illinois e costato 50 milioni di dollari, ha visto la collaborazione delle più importanti case di produzione cinematografiche. Colossi come la 20th Century Fox, Imagine Entertainment e DreamWorks. Tra i collaboratori ingaggiati da Spielberg figurano alcuni nomi che hanno segnato I maggiori successi del regista: Janusz Kaminski, a cui è stata affidata la direzione della fotografia, già vincitore di due premi Oscar per Schindler's List nel 1994 e Salvate il soldato Ryan nel 1996, e John Williams, compositore e direttore d'orchestra statunitense a cui si devono le colonne sonore de Lo squalo, Guerre stellari e E.T. L'extraterrestre. Una conferma dell’importanza che Spielberg attribuiva a questo progetto e della tensione messa nel realizzarlo, ribadita dall’eccelente cast scelto – fra tutti, un Daniel Day-Lewis lontanissimo dal ruolo tutto azione che lo ha reso famoso e capace di una prova di grande spessore.

Il film predilige i toni cupi, ricreando sullo schermo una realtà che risulta intimista anche nei momenti di massima tensione emotiva. Lincoln si presenta qui come lo stratega perfetto, capace di un’autentica visione d'insieme e di una paziente capacità persuasiva, portando comunque dentro di sè il peso delle innumerevoli vittime della guerra, l'afflizione per una moglie, Mary Todd, distrutta dal dolore per la prematura scomparsa del terzogenito William, e la tensione fra la condizione di uomo e padre comune, sensibile e confuso, e il ruolo di guida autorevole richiestogli dalla nazione nel pieno del conflitto.

"Presidente, sono passati solo quattro anni dall'inizio della guerra e voi sembrate invecchiato di dieci." "Già."

Come già, in modi differenti, in Minority Report o in Save Private Ryan anche qui Spielberg mette in scena eventi lontani nel tempo per coinvolgere I suoi spettatori, ma anche per dare corpo a un messaggio. Se in quei casi a parlare attraverso la pellicola erano la necessità di non temere di combattere per ciò che è giusto e poi il pericolo di perdere la libertà credendo di difenderla, qui il nucleo ideale del film sta nell’uomo rappresentato, e attraverso l’uomo nelle idee e nel loro effetto sulla società attorno a noi.

Lincoln è un uomo libero dai pregiudizi che limitano la crescita di quell'America che, rinnovandosi, potrebbe diventare il modello di democrazia da cui il mondo intero riuscirebbe a trarre esempio; vede nella parità di diritti la base per creare un'epoca nuova.

"I dogmi di un passato tranquillo sono inadeguati al presente tempestoso. La situazione è irta di difficoltà, e noi dobbiamo essere all'altezza della situazione. Poiché il nostro caso è nuovo, dobbiamo pensare in modo nuovo e agire in modo nuovo."

Più forte dei suoi oppositori e dei suoi assassini, le sue idee hanno attraversato secoli di storia fissandovisi all'interno. E se oggi guardiamo con tanto rispetto alla politica degli Stati Uniti, se vi vediamo l’autorevolezza di principi e istituzioni, e non solo l’espressione di un potere militare ed economico, ci ricorda Spielberg, in buona parte lo dobbiamo proprio a lui.

Gioia Baggio

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