SCIENZA E RICERCA

Lo sciamano delle molecole

Qualche giorno fa, a Palazzo Bo, Jean Marie Lehn parlava di fantasia, creatività, infinite possibilità e mondi sconosciuti. Ne parlava con la passione di chi oltrepassa traguardi già raggiunti e continua a inseguire obiettivi lontani, passo dopo passo, con tenacia e fiducia incrollabile nella scienza e amore per la ricerca. Per questa sua passione Jean Marie Lehn nel 1987 vinse il premio Nobel. In chimica.

Sentir discutere di chimica come di poesia non capita spesso. “La chimica è un’arte. La sua essenza non è solo quella di scoprire, ma anche di creare nuove espressioni di materia complessa. Ha potere creativo, e dà origine a infinite possibilità”. Una di queste possibilità Lehn l’ha colta nell’ideazione dei criptandi, composti ottenuti attraverso la sintesi mediante alta diluizione e in grado di circondare sfericamente uno ione, come in una cripta. La sua scoperta, che gli valse il Nobel, aprì la strada alla chimica supramolecolare, “la chimica oltre le molecole” chiarisce lo studioso (ma ai profani il concetto resta oscuro). Continua: “È la chimica del legame fra le molecole. Prende in esame le strutture e le funzioni di nuove entità che si formano in seguito all’associazione tra le molecole stesse”. Una disciplina che studia le singole molecole e le loro interazioni, la loro organizzazione nello spazio, la fragilità o la stabilità, la tendenza degli individui ad associarsi o a isolarsi, le affinità, la dinamica, le azioni reciproche e le influenze che determinano il loro cambiamento. Il tutto, con l’obiettivo di ottenerne il controllo. A sentire lui, la questione suona elementare: “Una singola molecola d’acqua non può bollire o ghiacciare, ma un bicchiere d’acqua può farlo, nonostante sia composto essenzialmente da molecole, e null’altro. Questo accade perché le molecole interagiscono, si riconoscono e si associano”. E attraverso la sintesi chimica lo studioso crea nuove molecole, e nuovi modi di associarle, dando vita a scenari nuovi; apre strade verso nuove sostanze, materiali, azioni e reazioni, a risultati che un tempo appartenevano solo al mondo dell’alchimia.

Grazie a ricerche incessanti, nel corso dell’Ottocento la trasmutazione alchemica passò dal regno del magico a quello del reale: la sintesi chimica, realizzata per la prima volta nel 1828 da Friedrich Wolher, permise di creare artificialmente molecole di urea. A partire da quell’inizio, la scienza della manipolazione molecolare si sviluppò enormemente, e con risultati strabilianti, come nel suo caso più rappresentativo, la sintesi della vitamina B12, realizzata negli anni Settanta da Woodward e Hoffmann. La chimica, però, “non si limita solo ad agire in sistemi simili a quelli rintracciabili nella biologia, ma è in grado di inventare processi completamente nuovi”. La chimica supramolecolare, poi, fa un passo ancora più avanti, ponendosi all’intersezione fra la chimica stessa, la biologia e la fisica. Diventa una “scienza supramolecolare” che apre orizzonti sconfinati, stimolo per l’immaginazione creativa del chimico. La chimica, e ancor più quella supramolecolare, diventa lo strumento utilizzabile in campi che spaziano dalla fisica alla medicina, all’ingegneria. Nel campo delle applicazioni, ad esempio, gioca un ruolo fondamentale nella sintesi farmaceutica, nella diagnostica medica, nella biotecnologia, nelle nanotecnologie.

Nel 1990 il gruppo di ricerca di Lehn pubblicò una ricerca su quelli che chiamò “polimeri supramolecolari”, ossia polimeri che si formano attraverso la condensazione di molecole che vengono connesse in modo supramolecolare. Negli anni successivi molti furono i lavori su questo argomento. Ricorda il chimico: “Nell’ottobre del 2013 ricevetti un’email dal capo di una compagnia di un piccolo paese svizzero: diceva che i polimeri supramolecolari erano diventati la base del nuovo approccio agli impianti cardiovascolari, soprattutto nei casi in cui doveva essere riparata una malformazione congenita. Questo tipo di materiali, quindi, oggi viene usato nell’operare bambini, ma nel 1990 era assolutamente impossibile predire che sarebbero stati usati per gli impianti cardiaci. La ricerca porta spesso a risultati imprevedibili e sorprendenti”.

Sembra non esistere la parola impossibile per lo studioso: “È solo questione di tempo prima che la scienza raggiunga risultati oggi nemmeno immaginabili” afferma sicuro, nell’incrollabile convinzione che la conoscenza sia un imperativo dal quale non possiamo recedere. Fa sua la massima di David Hilbert, che sulla propria tomba fece incidere Wir müssen wissen. Wir werden wissen. (Noi dobbiamo conoscere. Noi conosceremo). Dalla coscienza del dover sapere alla luce della scienza.

Chiara Mezzalira

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