SOCIETÀ

Nella bottega degli ultimi maestri: i liutai

“Mi spiace, se ci ha messo una colla sbagliata non la posso più riparare”. Scuote la testa Roberto Lanaro, di fronte a una viola da gamba portatagli da un cliente. “Non mentire mai, se una cosa non si può o non la sai fare dillo subito – spiega dopo –. Me lo disse mio padre quando iniziai, ed è ancora oggi la regola che seguo”. Lanaro appartiene alla vecchia scuola. 57 anni, da più di quaranta lavora con strumenti e archi sulle orme del padre Luigi, 94 primavere e fino a pochissimo fa ancora attivissimo in bottega. Sul suo sito è riportata con orgoglio una ‘genealogia artigiana’, frutto di una sapienza tramandata con le parole e le mani, al bancone di lavoro, per generazioni, e che risale fino a Lorenzo Storioni, attivo a Cremona nella seconda metà del Settecento. “Anche Padova però vantava una ricca tradizione, essendo anticamente una delle capitali europee del liuto”. In bottega ha iniziato ad andare quando faceva appena le superiori: “Papà mi disse di provare tre mesi, per vedere come me la cavavo; capii di aver superato l’esame solo molto dopo, quando mi affidò la bottega per un viaggio di lavoro. 

Entriamo nel caos ordinato del suo laboratorio con un certo timore reverenziale: parti di chitarra o di strumenti ad arco, pezzi di legno, segatura, utensili e barattoli di colla: “Non ho mai creduto all’eccessiva specializzazione – dice – c'è chi fa i violini e non gli archetti: un vero artigiano deve essere completo”. Una scelta che evidentemente non nuoce affatto alla qualità, visto che negli anni gli è stato affidato il restauro e la ricostruzione di strumenti provenienti da botteghe del calibro di Guarneri, Stradivari, Testore e Villaume, appartenenti oggi a musicisti di fama internazionale. Lanaro non ne parla volentieri: “Non è elegante dilungarsi su strumenti che possono valere milioni di euro, i proprietari potrebbero infastidirsi. Io poi metto lo stesso impegno su tutti gli strumenti, il mio lavoro non ha bisogno di essere nobilitato da queste cose o dal nome di un committente illustre”.

Oltre al restauro, Lanaro ha anche una produzione propria, pezzi unici che arrivano a costare migliaia di euro. “È molto importante per un musicista trovare un liutaio di fiducia – racconta il chitarrista e scrittore Luca Francioso, di passaggio per una riparazione –; Roberto lavora senza stampi e forme, ogni chitarra ha le sue particolarità, le sue asimmetrie. Collaborando insieme abbiamo progettato strumenti calibrati sulla mia musica e sulla mia tecnica di suonare, il fingerstyle”. Francioso scorre la mano sulla tastiera di ebano, dove il suo nome è intarsiato in madreperla assieme al sigillo del produttore: strumenti come questi non hanno costi inaccessibili? “Non li consiglierei certo a un bambino o a un principiate. Attenzione però: non credo nemmeno alle ‘chitarre da studio’, comprate nei supermercati a pochi euro. Senza parlare del suono, spesso sono anche difficili da suonare, perché costruite male”. Anche per imparare ci vuole uno strumento adeguato, ancorché non necessariamente artigianale. 

Artigianato che, lamenta Lanaro, è sempre più strangolato dalla burocrazia e dal fisco. “Per calcolare il fatturato gli studi di settore prendono il costo della materia prima e lo moltiplicano per tre, più Iva. Solo che io non sono un parrucchiere, che con un solo flacone fa lo shampoo a dieci persone: se a una chitarra sostituisco le corde da 10 euro, non poi posso chiederne 40 al cliente”. In questo modo vengono spesso favorite le favorite le attività commerciali rispetto ai laboratori: “Oggi infatti tanti liutai lavorano solo per i negozi di strumenti. Alcuni fanno fare un corso a un commesso e poi dicono che è un liutaio”. Questo però non accade anche perché tanti artigiani dichiarano redditi troppo bassi? “Molti hanno sfruttato la situazione; è giusto però fare controlli, non colpire l’artigianato nel suo complesso”. Anche a causa della burocrazia e dei suoi costi, Lanaro oggi non cerca eredi: “Ogni settimana si presentano almeno un paio di ragazzi, alcuni addirittura laureati. Purtroppo sono sempre costretto a dire di no: se prendo un apprendista bisogna iniziare da zero e seguirlo per mesi, anni prima che inizi a poter fare qualcosa. Intanto devi pagarlo, cosa non facile oggi; e poi magari se ne va a lavorare da un altro”. 

Se da una parte una tradizione artigiana non trova successori, dall’altra c’è chi ha ancora la forza e il coraggio di iniziare, come Manuel Massarotto. Capelli lunghi e basettoni, aspetto decisamente rocker, ha iniziato suonando la chitarra elettrica: “Suonando sviluppi la tua sensibilità per il suono e il timbro, quindi ho iniziato a lavorare sugli strumenti per ottenere quello che volevo, infine a costruirli”. Manuel fa parte di una nuova generazione di artigiani che provano a trasformare una passione in mestiere: “È una sfida continua per osare, innovare, migliorarsi. Spesso vado in Val di Fiemme in cerca degli abeti con una trama più fitta, quindi più resistente, per tentare di fabbricare casse armoniche sempre più sottili e sonore”. Sono proprio i materiali infatti a fare la differenza, oltre ovviamente all’abilità del costruttore: durissimo ebano per la tastiera, palissandro indiano o brasiliano per la cassa, cedro o abete per la tavola armonica, avorio e madreperla per tasti e inserti. La fabbricazione di uno strumento può durare mesi, tra decorazioni e rifiniture, complicate architetture interne (in gergo incatenature) e la verniciatura, importantissima: “Per le mie chitarre non uso composti sintetici ma solo gomma lacca, derivata dalle secrezioni di particolari insetti. Questo significa che ogni strumento deve essere lucidato uniformemente per settimane, mesi”.

Anche Andrea Marcellan ha iniziato per passione otto anni fa, subito dopo aver finito il liceo: “Volevo una chitarra veramente bella, ma non avevo abbastanza soldi. Quindi a un certo punto mi sono detto che avrei potuto costruirmela da solo”. Inizia allora la sua ricerca verso la perfezione: “Cerco di dare ai miei strumenti soprattutto equilibrio, armonia tra i vari suoni; poi che siano facili da suonare, comodi, ottimi sia per la casa che per un concerto”. Un lavoro fatto anche di rischi e di innovazioni: “Il nostro ambiente è piuttosto conservatore, sia per i materiali che per le tecniche. Personalmente sto provando delle nuove incatenature per ottenere un suono sempre più pulito e armonioso, che spero incontreranno il favore degli interpreti e del pubblico”. Già: perché, alla fine, l’artigiano si deve staccare dalla sua creature. Non è difficile, dopo centinaia di ore di lavoro? “Assolutamente no, a volte anzi è una ‘liberazione’– scherza Marcellan – . Finché sono nel mio laboratorio continuo a ritoccarle e a lavorarci su, a volte anche per mesi. Io lo faccio con passione, ma spesso sono ulteriori ore di lavoro che vanno via”.

Daniele Mont D’Arpizio

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