CULTURA

Noia, il motore della Storia

Considerata di questi tempi il nemico pubblico numero 1, da sgominare a colpi di divertimenti coatti e compulsivi (si veda su treni, metropolitane e bus l'uso dei cellulari ormai divenuti  ininterrotti dispensatori di giochi e giochini vari), la noia ha in passato avuto grandi estimatori. Grande più di tutti, come sempre o quasi, è stato Leopardi, che non ha avuto paura di definirla “il più sublime dei sentimenti umani” (“il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l'ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi, e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell'animo proprio; immaginarsi il numero dei mondi infinito, e l'universo infinito, e sentire che l'animo e il desiderio nostro sarebbe ancora più grande che sì fatto universo; e sempre accusare le cose d'insufficienza e di nullità, e patire mancamento e voto, e però noia, pare a me il maggior segno di grandezza e di nobiltà, che si vegga della natura umana”).

Più vicino a noi, se non altro dal punto di vista temporale, Moravia ha scritto che “non il progresso, né l'evoluzione biologica, né il fatto economico, né alcun altro dei motivi che di solito si adducono da parte degli storici delle varie scuole, era la molla della storia, bensì la noia”. E anche un autore di enorme successo e di navigata intelligenza come Andrea Camilleri ha pagato un tributo alla noia, individuando nelle lunghe giornate estive della sua infanzia, vuote di svaghi, il germe segreto della sua successiva scrittura.

Scrittori e artisti, si sa, hanno sempre ragione, e dicono prima (e spesso meglio) quello che gli scienziati scoprono poi. Ed ecco dunque che, a proposito della noia, negli Stati Uniti e in Inghilterra è da poco uscita l'edizione paperback di un libro, Boredom. A Lively History, che – sulla base di una quantità di dati attinti a discipline diverse, dalle neuroscienze alla letteratura, dal cinema alla storia – è un vero e proprio inno alla forza propulsiva dello sbadiglio. In realtà l'autore, Peter Toohey, non è uno scienziato, ma un antichista australiano trapiantato all'università di Calgary, in Canada. Sono stati però proprio gli studi di letteratura greca e latina a condurlo sulle piste della noia (non a caso il suo libro precedente si intitolava Melancholy, Love, and Time: Boundaries of the Self in Ancient Literature). I suoi studi – e anche il fatto, come ammette lui stesso nell'introduzione, di essere abitualmente soggetto a portentosi attacchi di noia, per esempio nel corso degli sterminati pranzi natalizi. Perché, attenzione, la noia di cui Toohey parla non è (solo) la nausée sartriana, il taedium vitae, quella insomma che viene spesso definita noia esistenziale. Sul tavolo anatomico qui c'è, si può dire, la noia allo stato puro, quella che provano le vittime dei verbosi conferenzieri o i bambini all'ora del sonnellino post-prandiale (esisterà ancora?).

In sostanza Toohey sostiene che, a differenza di quanto ha scritto tra gli altri Patricia Meyer Spacks nel suo Boredom: The Literary History of a State of Mind, il concetto di noia non è nato nel Settecento, con l'affermazione dell'individualismo, ma accompagna dalle origini, o per lo meno da molti secoli, la storia umana, prova ne sia il graffito su un muro di Pompei, citato dal dotto classicista: “O muro! C'è da meravigliarsi che tu non sia ancora caduto sotto il peso di tutte queste scritte noiosissime”. E per fortuna, verrebbe da aggiungere, visto che – se Toohey ha ragione – la noia potrebbe essere considerata una sorta di salvavita naturale: così come il disgusto (che rappresenterebbe il gradino superiore di avversione nei confronti di un determinato oggetto) ci mette in guardia contro cibi nocivi o situazioni pericolose, così la noia costituirebbe una importante “emozione adattativa” visto che ci stimola a avviare attività inventive o a instaurare rapporti sociali coinvolgenti. Si potrebbe controbattere (qualche recensore meno benevolo lo ha fatto) che anche i videogames in metropolitana o i club vacanze hanno successo come più o meno efficaci antidoti alla noia e non è certo che portino a un miglioramento della nostra specie. Ma in fondo anche le opere d'arte o i testi letterari possono essere visti come esiti particolarmente riusciti di un attacco di accidia. 

 

Maria Teresa Carbone

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