UNIVERSITÀ E SCUOLA

Padova, Shakespeare e il suo tesoro seminascosto

“Per il grande desiderio che avevo di vedere la bella Padova, culla delle arti, sono arrivato...”. Molti sanno che William Shakespeare ambienta nella città veneta La bisbetica domata (i cui versi oggi si possono leggere in una lapide in piazza Capitaniato); meno invece sono a conoscenza del fatto che proprio qui c’è anche un tesoro shakespeariano seminascosto. Si tratta di un First Folio, esemplare della rarissima prima edizione completa dei lavori del drammaturgo inglese, stampata dai suoi più stretti collaboratori nel 1623, a sette anni dalla sua morte. Attualmente sono censiti circa 230 esemplari superstiti in tutto il mondo, di cui appena tre nell’Europa continentale: gli altri due sono a Parigi e a Berlino. Si tratta di alcuni dei volumi a stampa più preziosi al mondo, con prezzi all’asta che qualche anno fa si aggiravano intorno ai quattro milioni di euro.

Anche di questo si è parlato durante la presentazione del Padua Shakespeare Festival, che si terrà fino al 5 luglio con una ricca rassegna di spettacoli e di conferenze. L’incontro è stato anche l’occasione per presentare la digitalizzazione del volume padovano, che sarà presto resa disponibile al pubblico via web. Il First Folio della Biblioteca Universitaria ha diverse particolarità. Le condizioni sono ottime, anche se purtroppo mancano il frontespizio, sostituito oggi da un fac simile, e la rilegatura originale. “Una caratteristica interessante è la presenza di annotazioni – racconta Francesco Aliano, ex direttore della Biblioteca – e questo particolare suggerisce che si tratti di un raro prompt book, utilizzato come copione per delle vere e proprie messe in scena”.

Utilizzato da chi? Il libro è documentato per la prima volta solamente il 6 luglio 1895, in una corrispondenza pubblicata dal quotidiano Scotsman di un viaggiatore inglese di passaggio in Veneto. Subito la Bernard Quaritch Ltd, una delle librerie antiquarie più importanti del Regno Unito, manifesta il suo interesse a comprarlo, ma l’allora direttore della biblioteca Mario Girardi, autore del ritrovamento, risponde che la cosa è impensabile. Il volume è stato trovato insieme ad altri in una cassa, abbandonata in un angolo da chissà quanti anni, e non risultano la provenienza né la data di acquisizione: fatto già di per sé molto strano. Da dove viene? Qui le certezze lasciano spazio alle ipotesi più svariate. Francesco Giacobelli, docente emerito di letteratura inglese presso l’ateneo padovano, in un articolo pubblicato nel 1988 sulla rivista Padova e il suo territorio,  suggerisce che il libro possa essere giunto in possesso della biblioteca durante in epoca napoleonica. Effettivamente in quel periodo c’era stata un’ondata di soppressioni di ordini monastici, cui seguì l’acquisizione da parte dello stato dei rispettivi patrimoni, compresi quelli librari. Molti di quei libri andarono ad arricchire le biblioteche statali, tra cui erano competenti per il Veneto la Biblioteca Marciana e, per l’appunto, quella Universitaria di Padova.

Un’altra ipotesi invece si concentra sui movimenti degli studenti stranieri all’università di Padova. “Il testo potrebbe essere arrivato a Padova nella bisaccia di un allievo inglese” spiega Virginio Racci, ex docente di lingua e letteratura inglese alla scuola superiore e autore di un saggio in uscita sull’argomento. “Costui dopo la laurea lo avrebbe poi lasciato alla Natio Anglica o all’università in segno di riconoscenza, come si usava all’epoca. Presso la biblioteca del Seminario di Padova ho trovato un elenco con le firme di questi studenti inglesi, e penso di riuscire presto a proporre un’ipotesi sull’identità del misterioso donatore”. Una ricostruzione che però non convince Aliano: “I First Folio erano preziosi e rari già pochi anni dopo la pubblicazione. È davvero improbabile che uno studente potesse permetterseli, e ancora più incredibile che lo lasciasse all’università o a un’associazione di studenti. Tanto più che non si trattava di un testo di studio”.

Ma c’è un’altra ricostruzione, se possibile ancora più affascinante, avanzata sempre da Giacobelli nell’articolo citato. Il manoscritto, secondo lo studioso, avrebbe potuto appartenere addirittura a Mary Wortley, Lady Montagu, scrittrice e memorialista tra le più brillanti del diciottesimo secolo, prima amica e poi acerrima avversaria del poeta Alexander Pope. La Montagu visse in Italia tra il 1740 e il 1761, principalmente a Lovere sul Lago d’Iseo e a Venezia, non disdegnando però di frequentare anche Padova, dove provò a tradurre Shakespeare in italiano. All’inizio del suo soggiorno italiano chiede con una lettera al marito, da cui si era ormai divisa, di mandarle nella nuova residenza alcuni libri, tra cui le opere complete di Shakespeare. E quale edizione poteva avere nella sua biblioteca una delle nobildonne più ricche e colte dell’epoca, se non un prestigioso First Folio? Un volume tanto amato da volerlo con sé nel nuovo soggiorno. L’arrivo della cassa viene registrato alla dogana, mentre al ritorno della donna in Inghilterra non c’è traccia dell’uscita dei libri dai territorio delle Serenissima. Ma c’è un passaggio in più, forse ancora più azzardato. Il libro che la Montagu si fa mandare potrebbe essere proprio un prezioso First Folio ricevuto da Alexander Pope qualche anno prima, ai tempi della loro amicizia. In seguito i due avevano rotto, forse a causa di una dichiarazione d’amore del poeta, e non si sa della restituzione del libro.

Il volume di Padova potrebbe essere quindi appartenuto all’autore del poema The Rape of the lock: uno dei maggiori letterati inglesi, famoso tanto per l’inarrivabile arguzia delle opere e dell’eloquio che per l’aspetto deforme, dovuto a una tubercolosi infantile. A convincere Lady Montagu a lasciare in Italia il prezioso volume – o a sottrarglielo – potrebbe essere infine stato l’abate padovano Antonio Conti, fisico e matematico tra i più illustri del tempo, di cui la nobildonna inglese era amica e corrispondente. Qui però siamo nel campo delle suggestioni più che delle ipotesi. Una bella favola padovana di inizio estate, di quelle che forse sarebbero piaciute al Bardo. 

Daniele Mont D’Arpizio

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