UNIVERSITÀ E SCUOLA

Quale futuro per i dottorati?

Sul numero di agosto di Internazionale, Claudio Giunta rilancia il tema della criticità dei dottorati soprattutto in materie umanistiche. Sono grata al collega che riapre un dibattito che in questi ultimi mesi non è stato sufficientemente vivace e che merita invece una profonda (e serena) riflessione, da parte sia degli addetti ai lavori sia degli attuali e futuri “utenti”, circa l’utilità di questo terzo grado della formazione universitaria, che è messo sotto accusa, in particolare proprio per il comparto umanistico.

La domanda, fortemente provocatoria (“ha senso che lo stato finanzi i dottorati in discipline umanistiche?”), che costituisce il nucleo centrale dell’intervento di Giunta, mi pare mal posta: se è dell’organizzazione e dell’utilità dei dottorati che vogliamo parlare, allora consideriamoli nella loro globalità, con riferimento a tutte le discipline e non solo a quelle umanistiche. Mi sembra infatti ingiusto e fortemente limitativo ghettizzare questi studi che, vantando in Italia una lunga e gloriosa tradizione, meritano invece grande rispetto e devono continuare a essere elemento connotante e distintivo della nostra formazione. La forza della preparazione che viene impartita nell’ambito dei dottorati umanistici consiste infatti nell’acquisizione non solo di conoscenze ma anche e soprattutto di un metodo, che può essere poi speso in ambiti non direttamente collegati con quelli delle discipline apprese durante il corso di studi.

Alla base della critica ai dottorati mi sembra ci sia un equivoco che riguarda la concezione del dottorato di ricerca come preludio a una carriera universitaria: così non è, né potrebbe esserlo, dal momento che il rapporto fra il numero di dottori di ricerca in formazione e le esigenze del mercato accademico è, all’evidenza, sperequato. Non è dunque pensando a una prospettiva accademica che deve essere affrontato questo triennio di formazione: i dottorandi, e i docenti che contribuiscono alla loro formazione, devono essere consapevoli che la frequenza dei corsi, delle lezioni, dei seminari, gli incontri con il tutor, le esperienze all’estero, gli stage ecc. non sono la prima tappa di un percorso universitario, ma una palestra per l’acquisizione di conoscenze e competenze che saranno poi spese in un mercato del lavoro non necessariamente limitato ai pochi canali che si danno per scontati.

In tale prospettiva vorrei provare a portare qualche esempio, desunto dalla mia diretta esperienza di coordinatore di un dottorato che ha per oggetto i beni culturali, intesi nell’accezione più ampia: dall’archeologia alla musica, dalla storia dell’arte alle scienze e tecnologie applicate. Il fine di questo dottorato, Storia, critica e conservazione dei beni culturali, è quello di formare operatori duttili, capaci di unire alle competenze specifiche maturate nel corso di una ricerca che, pur di nicchia, è però inserita nell’ambito dei progetti coordinati dai docenti di riferimento, esperienze concrete di collaborazione e confronto, imparando di conseguenza anche l’importante disciplina dell’operare all’interno di gruppi di lavoro.

Se dunque l’esito professionale del percorso formativo del dottorato di ricerca deve aprirsi alla società, è importante valutare i possibili sbocchi professionali: i dottori di ricerca in beni culturali possono trovare occupazione stabile presso enti pubblici (soprintendenze, musei, Cnr, Regione, Province e Comuni, conservatori, biblioteche, cineteche, fototeche) o privati (enti lirici, enti teatrali, fondazioni addette alle attività culturali, editoria specializzata, imprese edili) oppure creare cooperative di servizi che si dedichino ai vari ambiti in cui è richiesta maturità e competenza in questi campi, dall’archeologia preventiva all'organizzazione di eventi (mostre, convegni, seminari…), ai diversi aspetti della valorizzazione del nostro patrimonio (progettazione di parchi archeologici, realizzazione di siti web, elaborazione di progetti culturali…), senza contare la possibilità di svolgere anche attività di consulenza professionale nel campo di loro specializzazione. Certo, molte di queste attività sono precarie, ma non mi sembra, e lo dico con vero rammarico, che altri dottorati aprano oggi le porte a professioni più stabili e meglio remunerate.

A conclusione di questa breve nota, dopo aver cercato di sottolineare l’importanza di questo terzo livello della formazione, non posso esimermi dall’accennare ad alcune criticità: la prima fra tutte deriva dall’imposizione da parte del Ministero di un numero minimo di borse annuali per poter attivare il corso, imposizione che in talune situazioni ha comportato la creazione di contenitori troppo ampi, all’interno dei quali sono state assemblate discipline non sempre omogenee. In questi casi, ma talvolta anche dove i settori disciplinari sono congruenti, risulta difficile organizzare una didattica di base, ed è necessario puntare su una proposta formativa basata su incontri seminariali per piccoli gruppi in cui si affrontino in maniera organica problematiche di carattere sia metodologico sia tematico. Tale impostazione, per la quale è necessario prevedere una cospicua presenza di studiosi esterni al collegio docenti ed esperti negli argomenti trattati, ha costi molto elevati e non sostenibili con le normali dotazioni.

Una seconda criticità riguarda i posti senza borsa, che creano una sperequazione fra coloro che, essendo sostenuti finanziariamente, possono dedicarsi a tempo pieno alla ricerca e quanti devono invece impiegare parte del loro tempo per mantenersi, con la conseguenza che non sempre riescono a rispettare i tempi della ricerca e a fornire un prodotto di qualità, vanificando in parte i risultati attesi. Credo, e mi duole dirlo, che i posti senza borsa vadano limitati al massimo e debbano essere riservati a coloro che hanno già uno stipendio e godono del diritto al distaccamento dal posto di lavoro, nella prospettiva che la struttura di provenienza possa poi beneficiare dell’acquisizione delle nuove competenze ottenute con la frequenza al corso di dottorato.

Francesca Ghedini

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