CULTURA

Quando l’agente segreto è donna. E inglese

Le storie di spionaggio sono quanto di più inglese si possa immaginare. È il cinema, con i suoi effetti speciali così poco british, a darci l’illusione che, come tanto altro, anche quelle siano “made in USA”. Nei romanzi è tutt’altra cosa, lo stille e le atmosfere sono inconfondibili, da Ian Fleming a John Le Carrè a... Conan Doyle, a ben guardare, ma sulla pellicola tutto si diluisce. E non è l’unica ambiguità che fanno propria: dove inizia la letteratura e finisce la realtà è infatti spesso un confine labile e sfumato. Prova ne è la famosa operazione “Mincemeat” (letteralmente: carne macinata) che i servizi segreti britannici effettuarono durante la Seconda Guerra Mondiale: in quell’occasione fecero ritrovare il cadavere di un ufficiale dei Royal Marines sulla costa andalusa, al polso una catenina legata ad una valigia con al suo interno – guarda caso - i piani d’attacco degli Alleati.

Come gli Inglesi si aspettavano, la Spagna franchista, formalmente neutrale ma in realtà molto vicina all’Asse, fece arrivare i documenti a Berlino e l’alto comando tedesco modificò conseguentemente le sue strategie di difesa, facilitando così lo sbarco alleato in Sicilia perché alcune divisioni di Hitler presidiavano gli obiettivi sbagliati, Grecia e Sardegna. L’idea originaria proviene da un romanzo pubblicato nel 1937, “The Milliner’s Hat Mystery”, e il giovane ufficiale di marina inglese che scovò l’episodio un giorno sarebbe diventato a sua volta un grande romanziere. Era Ian Fleming, l’inventore dell’agente segreto inglese più famoso al mondo: 007. C’è di più: l’addetto della marina che in Spagna orchestrò il recupero dell’ufficiale annegato (e che in realtà era un vagabondo gallese) era scrittore anch’egli.

A ricordare questa vicenda e il suo trascolorare reciproco di scrittura e realtà è un altro romanziere, dei giorni nostri stavolta, Ian McEwan, in “Miele”, la sua ultima opera letteraria. Voce narrante è Serena Frome, studentessa di matematica assoldata dall’MI5, i servizi segreti inglesi per la sicurezza interna, il cui compito, nei primi anni Settanta, è quello di assicurare alla causa Occidentale il giovane e promettente scrittore Tom Haley, alter ego dello stesso McEwan da giovane e di cui Serena si innamora profondamente. Il romanzo, vuoi per la forte caratterizzazione storica, vuoi per l’inusuale presenza femminile nelle vesti di agente segreto e non ultimo per la componente romantica, richiama alla memoria “Inquietudine” di William Boyd, uscito per Neri Pozza solo sei anni fa.

La trama orchestrata da Boyd in questo libro alternava i capitoli ambientati negli anni Settanta e quelli sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale, periodo caro al McEwan di “Espiazione”. Nel 1976 a Ruth viene svelata la vera identità della madre attraverso un romanzo, consegnatole dalla donna poche pagine per volta: scopre così di esser figlia di una spia britannica di origini russe il cuo vero nome è Eva Delektorskaja, entrata nel British Security Coordination seguendo le orme del fratello, ucciso ancora quando entrambi vivevano in Russia. Come McEwan così Boyd è minuzioso nella ricostruzione storica: il BSC, spiega in una nota in calce al romanzo, è l’agenzia britannica con sede nel Rockefeller Centre di New York voluta da Churchill nel 1940 per la campagna “di persuasione” che avrebbe dovuto portare gli Stati Uniti in guerra al fianco degli Inglesi. Se Roosevelt infatti era favorevole, il Congresso era per la massima parte anti-interventista così come l’opinione pubblica: il BSC aveva quindi il compito di diffondere propaganda filo-britannica nei giornali statunitensi fornendo informazioni pilotate, manipolando notizie trasmesse alla radio, inventandole per la maggior parte delle volte. Nel romanzo l’episodio dell’operazione “Mincemeat” è evidentemente camuffato ma ha un ruolo determinante nella storia personale di Eva e nella storia d’amore (e non solo) che la lega al suo diretto superiore, un dirigente del BSC.

Il romanzo è diventato un film per la BBC proprio lo scorso Natale perché, proprio come Espiazione di McEwan, contiene gli ingredienti giusti – amore, passione, vendetta, crudeltà – sullo sfondo di un periodo storico tra i preferiti del grande pubblico.

Pur avendo “Miele” di McEwan e “Inquietudine” di Boyd molto in comune, dall’eroina assoldata dai servizi segreti che mescola ingenuamente lavoro e vita privata, alla trovata letteraria che trasforma entrambi i romanzi in “meta-romanzi”, il divario stilistico che contraddistingue i due narratori è, purtroppo per Boyd, incolmabile.

Da sempre lo scrittore e sceneggiatore di origini scozzesi (ma nato in Ghana, nel 1952, e vissuto a lungo in Africa) ha dovuto subire l’indifferenza della critica inglese, che gli ha preferito i contemporanei McEwan, Amis e Barnes, solo per citare i più famosi.

E forse non è un caso che in un’epoca in cui 007 sul grande schermo non è più un distinto e signorile, ancorché coraggioso e galante, Sean Connery, ma il macho seduttore Daniel Craig, che incontra i gusti dello spettatore (e della spettatrice) degli anni Duemila, sia stato chiesto dalla Fleming Foundation proprio a William Boyd di scrivere il prossimo romanzo di 007. La britishness, forse, abita meglio le parole che non la pellicola.

Valentina Berengo

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