SOCIETÀ

Quando l’educazione è peccato

I conflitti religiosi, soprattutto tra cristiani e musulmani, mietono vittime in molti paesi del mondo: dall’India alla Nigeria, dallo Sri Lanka all’Iraq, dal Sud Sudan all’Afghanistan, dall’Egitto al Pakistan. Un caso eclatante è quello della Nigeria, da qualche anno teatro di un fanatismo religioso islamico che colpisce villaggi e scuole cristiane. Gli attacchi sono opera del gruppo Boko Haram (letteralmente “L'educazione occidentale è un peccato”), un movimento fondamentalista islamico fondato nel 2002 a Maiduguri, nel Borno (nord-est della Nigeria). I massacri degli studenti per i quali Boko Haram è divenuto tristemente famoso fanno parte di una più ampia strategia terroristica iniziata dopo l’uccisione nel 2009 di Yusuf, il fondatore di questo gruppo, e l’elezione nel 2010 dell’attuale Presidente cristiano della Repubblica Federale della Nigeria (stato membro del Commonwealth), Goodluck Jonathan. 

In particolare in questi ultimi mesi si è intensificato l’accanimento sulle scuole e sulle Università che perseguono un’educazione laica e secolarizzata, non improntata alla legge islamica (shari’a). Gli eccidi si concentrano negli stati a nord est e Amnesty International ha denunciato gli attacchi contro le scuole in Nigeria in un rapporto pubblicato il 4 ottobre 2013: in quello stesso anno almeno 70 professori e molte decine di studenti sarebbero stati uccisi e feriti, 50 scuole bruciate e danneggiate e 60 costrette a chiudere. Secondo fonti giornalistiche, però, la lista di omicidi è molto più lunga. 

Già nel luglio 2011 era stata chiusa l’università di Maiduguri in seguito a ripetuti attacchi. Nell’ottobre 2012 un’irruzione nel campus del Politecnico di Mubi (nello stato di Adamawa) ha causato 25 morti fra gli studenti. Il 25 febbraio 2014 l’attacco a un ostello di studenti del Federal Government College nella città di Buni Yadi (stato di Yobe) ha causato l’uccisione di 45 studenti di età compresa fra i 13 e i 17 anni, secondo quanto riferito da fonti UNICEF. Gli attentati non sembrano in via di rarefazione: ancora il 9 aprile 2014 un attacco di Boko Haram ha causa 8 morti a Dikwa in una scuola di formazione per insegnanti, e Il 15 aprile 2014 nello stato di Borno lo stesso gruppo ha rapito 234 ragazze in una scuola secondaria.

Ad oggi, si contano 234 studenti sequestrati e 152 uccisi da Boko Haram, che complessivamente ha causato nel solo ultimo anno 1500 morti tra i civili. Il governo centrale nigeriano e i governatori federali sembrano incapaci di arginare la violenza e soprattutto di garantire la sicurezza delle scuole, anche a causa della pessima reputazione di cui godono polizia ed esercito nel paese. L’opinione pubblica internazionale è disattenta benché nel febbraio scorso il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-moon si sia dichiarato “profondamente preoccupato per la crescente frequenza e la brutalità degli attacchi contro le istituzioni educative nel nord del Paese”, e abbia ribadito che “nessun obiettivo può giustificare tali atti di violenza”. 

La grave situazione che si è determinata a livello umanitario e politico a causa dell’inefficacia dell'intervento governativo stride con il fatto che la Nigeria è ormai considerata il paese più ricco del continente africano. Dopo il rebasing del Pil effettuato nell’aprile di quest’anno, la Nigeria è stata colloca nel gruppo dei nuovi paesi emergenti (MINT: Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia). Una delle principali fonti di ricchezza è costituita dai giacimenti petroliferi sfruttati da multinazionali estere: Royal Dutch Shell (Paesi Bassi), Total (Francia), Eni (Italia), Exxon Mobil (Usa) e Chevron (Usa) che controllano il 95% dell'industria petrolifera della Nigeria. Una situazione che dimostra, ancora una volta, che ricchezza, crescita del Pil e scalata dei ranking economici internazionali non si traducono automaticamente in maggiore sviluppo sociale e tutela dei diritti umani. 

Il trattamento e l’attenzione riservati alle istituzioni educative – i luoghi dove si costruiscono le basi per il futuro –, la loro inviolabilità e la loro protezione da tutti i possibili rischi dovrebbero essere indicatori del grado di sviluppo sociale e culturale dei paesi in via di sviluppo come delle democrazie ormai mature. 

Maria Stella Righettini 

Giulia Bazzan

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