SOCIETÀ

Quotidiani, una crisi che viene da lontano

Quasi sette milioni di copie giornaliere nel 1990. Per la precisione 6.808.501. Poi la caduta, prima lenta poi sempre più rapida. Comunque inesorabile. Stiamo parlando di quotidiani. “Si è dapprima scesi, in quattro, cinque anni, intorno ai sei milioni di copie; quindi, dopo un periodo 1995-2001 di relativa stabilità, l’indicatore è tornato in territorio negativo con un’unica eccezione, quella del 2006 che fece registrare un peraltro modesto incremento dello 0,9%”. 

Oggi in Italia si vendono 3.722.600 copie, poco più della metà di quelle che si vendevano nel 1990. “Ci sono voluti otto anni, dal 2001 al 2009, per scendere sotto i cinque milioni di copie giornaliere, ma ne sono bastati soltanto tre, tra il 2009 e il 2012, per scendere sotto i quattro milioni di copie”.  

Il rapporto 2014 sull’industria dei quotidiani italiani, realizzato da Asig per l’Osservatorio tecnico Carlo Lombardi per i quotidiani e le agenzie di informazione,parla chiaro: le cose non vanno bene, ma la verità è che il mercato è in continua trasformazione e i numeri di vent’anni fa non sono più immaginabili. “In un contesto dove la riduzione del reddito disponibile comprime fortemente la propensione a spendere – si legge nell’introduzione -, a maggior ragione languono i consumi di informazione, che gli italiani considerano non di prima necessità”.

Qualche numero relativo all’industria italiana dei quotidiani: oggi si contano 143 testate quotidiane, 105 società editrici, 72 stabilimenti di stampa, 80 concessionarie di pubblicità, 139 agenzie di informazione. In edicola, la mattina, non si vedono molte facce giovani. In pochi escono con un quotidiano sotto il braccio. Oggi si contano 20,6 milioni di lettori di quotidiani nel giorno medio, tre milioni e mezzo in meno rispetto all’inizio del 2010. Di questi tre milioni e mezzo mancanti, 2,6 milioni hanno un’età compresa tra i 14 e i 44 anni, mentre la fascia degli over 45 ha perso solo 900.000 lettori. Un quadro complessivo che trova sollievo e apre nuove prospettive se si guarda invece all’online, con un aumento dei lettori abituali passati da 2,3 a 3,7 milioni in tre anni. Il digitale rappresenta, oggi, una quota di mercato del 12%, contro l’80% delle vendite in edicola e l’8% degli abbonamenti. Il volume di copie digitali vendute (riproduzioni esatte e non riformattate delle edizioni cartacee) è più che raddoppiato e in brevissimo tempo: nel gennaio 2013 si parlava di 200.000, oggi sono poco meno di 500.000. 

Si leggono sempre meno quotidiani nelle grandi città, con cali significativi a Nordovest, soprattutto in Lombardia. Ma il dato più allarmante arriva dalla Basilicata, che in tre anni ha perso il 30% dei lettori. La fonte privilegiata per restare informati resta la televisione, la sceglie quasi l’80% degli italiani. Segue il quotidiano (43,7%), poi internet (40,5%), radio (17,8%) e periodici (10,4%).

Mentre le percentuali italiane scendono, a livello mondiale le cose sembrano andare diversamente: i dati del World press trends parlano di copie digitali in crescita (da 80 milioni a 1,753 miliardi tra 2009 e 2013) e, al tempo stesso, di un aumento della diffusione dei quotidiani, da 522 a 534 milioni di copie, con una crescita che però riguarda soltanto Asia, America Latina e Africa. Tra il 2009 e il 2013 in Nord America si è perso il 10% della diffusione, in Oceania il 20% e in Europa, addirittura, il 23%. In particolare, “in Gran Bretagna, in soli due anni, tra il 2012 e il 2014, la diffusione dei quotidiani nazionali ha perso quasi un milione e mezzo di copie – si legge nel rapporto - In Francia gli ultimi dati, relativi al 2013, sono meno pesanti, ma anche in questo caso tutte le testate più importanti fanno registrare perdite significative, anche superiori al 10%”.

Crolla anche il mercato pubblicitario. “Il 2013 è il terzo anno consecutivo nel quale il mercato pubblicitario italiano fa registrare un arretramento. Rispetto al 2010, quando si sfiorarono gli 8,3 miliardi di euro, il 2013 si è chiuso con un fatturato pubblicitario inferiore di 2,4 miliardi, corrispondente a un calo percentuale del 28% che sale al 33% se si tiene conto dell’inflazione del periodo; in tre anni il mercato pubblicitario ha perso un terzo del suo fatturato”.

F.Boc.

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