SCIENZA E RICERCA
Ricercatori in Italia: pochi ma buoni
Milano, parco scientifico biomedico San Raffaele - Molmed, società specializzata nella ricerca e produzione di medicinali per la cura dei tumori. Foto: Roberto Caccuri/contrasto
Certo, fa un bell’effetto vederlo certificato su Nature, la più diffusa e nota rivista scientifica al mondo. Ma da tempo sappiamo che i ricercatori italiani sono “pochi ma buoni”.
Il settimanale inglese registra due fatti. Primo: negli ultimi dieci anni la qualità media degli articoli scientifici redatti da ricercatori italiani, misurata attraverso il numero di citazioni, è costantemente aumentata. Nel 2002, infatti, l’articolo di un italiano riceveva il 20% in più di citazioni rispetto alla media mondiale. Nel 2012 l’articolo di un italiano ha ricevuto oltre il 50% in più di citazioni rispetto alla media mondiale. Una straordinaria performance, che ha reso possibile – questa è la seconda notizia – il sorpasso sugli Stati Uniti. Il numero medio di citazioni di un articolo di un ricercatore italiano è, ormai, superiore a quello di un ricercatore statunitense. La qualità media delle pubblicazioni italiane è inferiore, ormai, solo a quella dei ricercatori svizzeri e dei ricercatori inglesi.
La statistica comparativa riguarda un indicatore piuttosto sofisticato: il numero di citazioni normalizzato per disciplina. Ed è stata elaborata dagli esperti della Elsevier per l’International comparative performance of the UK research base – 2013, un rapporto redatto su richiesta del Department of Business, innovation and skills (Bis) del governo di Sua Maestà britannica. Ma è del tutto congruente con i dati bibliometrici pubblicati di recente dall’Ocse, dall’Unione europea, dalla National science foundation e da tutte le più autorevoli società internazionali di valutazione.
Ma la qualità non è disgiunta dalla quantità. I ricercatori italiani sono non solo bravi, ma anche dei gran lavoratori. Sono ancora i tecnici dell’Elsevier a ricordarcelo. La popolazione italiana è pari allo 0,9% della popolazione mondiale. La ricchezza prodotta dall’Italia nel 2012 è stata di 1.863 miliardi di dollari, pari al 2,2% del prodotto interno lordo del mondo intero. Gli investimenti italiani in ricerca e sviluppo (R&S), 23 miliardi di dollari, sono stati appena l’1,5% della spesa totale mondiale (che, secondo la rivista R&D Magazine nel 2012 ha superato i 1.500 miliardi di dollari). I ricercatori italiani, circa 80.000, sono appena l’1,1% della comunità scientifica mondiale (che conta, ormai, secondo l’Unesco, più di 7,3 milioni di ricercatori a tempo pieno).
Ebbene questo 1,1% di ricercatori che ha potuto contare sull’1,5% delle risorse nel 2012 ha prodotto il 3,8% degli articoli scientifici del mondo. Unico, tra i grandi paesi occidentali, a migliorare la propria performance malgrado l’irruzione sulla scienza di cinesi e indiani.
Non solo, gli articoli dei ricercatori italiani hanno ottenuto il 6% delle citazioni del mondo intero. Superando in termini assoluti i ricercatori canadesi e quelli giapponesi. Per investimenti assoluti l’Italia è il quattordicesimo paese al mondo. Ma per numero di citazioni è il sesto: solo Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Cina e Francia hanno ottenuto di più.
I numeri parlano chiaro: i ricercatori italiani sono tra i più produttivi al mondo, insieme agli olandesi. Solo gli svizzeri producono, in media, più articoli. Ma la Svizzera e l’Olanda destinano alla ricerca più del doppio delle risorse dell’Italia. Dunque, nessuno al mondo riesce a fare così tanto con così poco.
Un risultato tanto più significativo, perché accompagnato dalla qualità. Nel 2012 i ricercatori italiani hanno superato, per numero medio di citazioni, sia i colleghi americani che quelli tedeschi. Non era mai accaduto prima. Non in tempi recenti, almeno.
Tutti questi numeri si offrono ad almeno tre considerazioni.
Primo: sfatiamo il luogo comune secondo cui le università e gli enti pubblici di ricerca italiano sono un ricettacolo di fannulloni. Al contrario, sono tra i pochi luoghi in Italia dove si lavora tanto e si compete quotidianamente al meglio a livello globale.
Secondo: chiediamoci cosa la ricerca italiana potrebbe fare se potesse disporre di più risorse, umane e finanziarie. Quanto possiamo competere alla pari con gli altri, spesso i risultati sono eclatanti. Proprio nel 2012, sei esperimenti internazionali lavoravano in contemporanea presso l’Lhc di Ginevra alla caccia del bosone di Higgs e di altre esotiche particelle. Ebbene, cinque su sei erano diretti da fisici italiani. E tutti erano stati liberamente eletti dai loro colleghi, non certo in base ad alchimie geopolitiche.
Ultimo, ma non ultimo: chiediamoci cosa potrebbe fare il Paese se facesse come tutti gli altri e si dotasse di un modello economico fondato sulla ricerca scientifica, potendo contare su una comunità scientifica così qualificata.
Pietro Greco