SCIENZA E RICERCA
Le università europee offrono asilo scientifico ai ricercatori esuli dagli Usa

L’ultimo attacco alla ricerca sferrato dall’amministrazione Trump è stato rivolto all’università di Harvard, accusata tra le altre cose di antisemitismo, per via delle manifestazioni contro la guerra nella striscia di Gaza che si sono tenute nel campus dopo il 7 ottobre 2023. Il governo ha chiesto al college del Massachusetts di avviare una serie di riforme interne per limitare il potere degli studenti, del personale non strutturato e di impedire a quello strutturato di fare “più attivismo che ricerca”.
Harvard ha però risposto con una dura lettera, lo scorso 14 aprile, dichiarandosi indisponibile ad accogliere le richieste dell’esecutivo, troppo lesive della libertà accademica: “l’università non rinuncerà alla propria indipendenza e ai propri diritti costituzionali. Né Harvard né altre università private possono permettersi di cedere la propria autonomia al governo federale”.
L’amministrazione Trump ha reagito istantaneamente bloccando 2,2 miliardi di dollari di finanziamenti pubblici ad Harvard, che vanta un budget di oltre 50 miliardi di dollari, uno dei più alti al mondo per una singola istituzione di ricerca, e quindi può permettersi di assorbire il colpo della ritorsione trumpiana. Tuttavia, quest’ultima potrebbe arrivare a colpire anche lo status di esenzione fiscale del college dell’Ivy League ameiricana. La mossa costituirebbe un’escalation nella guerra a università e ricerca e andrebbe ancora di più a minare la fiducia dei ricercatori nella tenuta del sistema accademico statunitense.
Un sondaggio pubblicato da Nature ha rivelato che il 75% (circa 1.200) dei circa 1.600 ricercatori e ricercatrici intervistati hanno espresso la volontà di lasciare gli Stati Uniti per cercare di proseguire la propria carriera accademica in altri Paesi, come il Canada o l’Europa. Si tratterebbe di un’inversione storica.
Proprio il Vecchio Continente, già a partire dagli anni ’30 del secolo scorso, ha visto materializzarsi il fenomeno del brain drain, ovvero della fuga di cervelli che lasciavano i propri Paesi d’origine per sottrarsi ai regimi nazi-fascisti, trovando asilo soprattutto proprio negli Stati Uniti. Da allora il fenomeno non si è arrestato, anzi, in alcuni Paesi come l’Italia, negli ultimi anni si è decisamente aggravato.
Oltre ad aver portato in guerra l’Europa, il nazismo e il fascismo hanno anche sancito la fine del primato scientifico del continente dove era nato l’Illuminismo e ancor prima la scienza moderna. Dalla seconda guerra mondiale in avanti invece gli Stati Uniti hanno costruito il proprio successo economico, incentrato sulla costante innovazione, anche grazie all’attrattività di un ambiente scientifico su cui ha fatto massicci investimenti, pubblici prima e privati poi.
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Ora un’altra leadership autoritaria, quella di Trump, sta prendendo a picconate quel primato scientifico che gli Usa hanno saputo costruire. Per l’Europa si tratta di un’occasione senza precedenti per tentare di colmare il terreno ceduto negli ultimi decenni.
A inizio aprile a Bruxelles si è tenuto il summit dello European Innovation Council (EIC), l’ente europeo che finanzia la ricerca applicata, il trasferimento tecnologico, che supporta la creazione di start-up e che assieme allo European Research Council (ERC, che finanzia invece la ricerca di base) è chiamato a supportare quell’ecosistema dell’innovazione che l’Europa intende ravvivare per rilanciare la competitività economica, vera bussola del nuovo mandato di Ursula von der Leyen.
Dall’intervento della commissaria a innovazione, ricerca e start-up, Ekatarina Zaharieva, che ha anche rilasciato un’intervista a Nature, è emerso chiaramente quanto il rilancio dell’Europa dipenda dalla sua capacità di rendersi attrattiva per ricercatori e ricercatrici, le cui idee e progetti costituiscono la base della piramide dell’innovazione.
L’intento è quello di aumentare i budget di EIC e ERC per il prossimo programma quadro di finanziamenti europei (FP10). Nel frattempo le principali iniziative che offrono nuovi posti da ricercatore, soprattutto a coloro che sono esuli dagli Stati Uniti, non sono partite nemmeno dai ministeri dei singoli Paesi membri, ma piuttosto sono state lasciate ai singoli atenei.
L’università francese Aix-Marseille (AMU) è stata tra le prime in Europa ad attivare Safe place for science, un programma di reclutamento rivolto a ricercatori statunitensi la cui “libertà accademica è messa in questione”. Con 15 milioni di euro puntava ad offrire progetti di tre anni a una quindicina di scienziati. Eric Berton, presidente dell’AMU, ha dichiarato a Politico che a inizio aprile avevano ricevuto più di 150 domande, molte delle quali provenienti sia da ricercatori di università del calibro di Yale e Stanford, sia provenienti da agenzie federali minacciate dai tagli di Trump, quali la NASA (settore spaziale), la NOAA (che opera nel settore ambientale e climatico) e l’NIH (ambito biomedico).
Nella città di Bruxelles è stato attivato un programma di reclutamento dedicato a ricercatori e ricercatrici all’inizio della carriera accademica, che sono anche quelli più esposti ai tagli di Trump. L’università in lingua fiamminga VUB (Vrije Universiteit Brussel) ha attivato 12 posizioni di post-dottorato internazionali, supportate da fondi dell’Unione Europea.
In seguito agli attentati di marzo 2016 nella capitale belga, Trump (al suo primo mandato presidenziale) aveva parlato di Bruxelles come di un “buco infernale”. Sul sito della VUB si legge che l’iniziativa per accogliere post-doc statunitensi adesso “è simbolicamente ancora più significativa”. Il Belgio dedicherà anche parte del programma Brain for Brussels ad accogliere cervelli in fuga dagli Stati Uniti.
In Olanda, il ministro della ricerca Eppo Bruins ha annunciato di voler istituire a breve un fondo per attirare scienziati affermati nei loro campi. In Spagna il Catalonia Talent Bridge ha invece già offerto 30 milioni di euro a più di 70 ricercatori “privi di libertà accademica negli Stati Uniti” per permetter loro di contribuire al sistema della produzione di innovazione nella penisola iberica.
In Francia non solo università, ma anche fondazioni si sono mosse per offrire asilo a ricercatori provenienti dagli Stati Uniti: la Fondazione per la ricerca sul cancro ad esempio ha già messo a disposizione 3,5 milioni di euro a tal fine.
Il ministro per la ricerca francese, Philippe Baptiste, che ha anche diretto il centro nazionale per gli studi spaziali, ha avviato un tentativo di coordinamento nazionale delle università e dei centri di ricerca francesi ed è tra i 12 ministri della ricerca europei firmatari di una lettera rivolta alla commissaria Zaharieva per fare altrettanto a livello continentale. Tra i Paesi sostenitori dell’iniziativa non figura l’Italia.
Anche nel nostro Paese però si muove qualcosa. Dal Festival di scienza e filosofia di Foligno e Fabriano il fisico Roberto Battiston dell’università di Trento insieme al filosofo dell’università di Sassari Silvano Tagliagambe, hanno presentato il manifesto ReBrain, un appello per rafforzare la capacità scientifica europea accogliendo anche ricercatori internazionali in fuga dagli Stati Uniti.