UNIVERSITÀ E SCUOLA

Scuola, l’Erasmus alle superiori è il sogno proibito della riforma

L’appuntamento è per venerdì 29 agosto. Al consiglio dei Ministri verranno presentate le linee guida per la riforma della scuola, nella versione Renzi–Giannini. Seguiranno, a inizio settembre, i primi provvedimenti. In queste settimane si susseguono molte voci sulle priorità che verranno affrontate: dalla valutazione degli insegnanti alla ridefinizione degli organici, dall’ordinamento didattico alle attività pomeridiane, dal potenziamento dell’apprendistato agli incentivi per chi investe nella scuola. Uno dei fronti più interessanti (e più complicati da affrontare) è come favorire i periodi di studio all’estero per i ragazzi delle superiori. Un’esperienza in una scuola straniera nel corso del quinquennio è ritenuta un passaggio formativo fondamentale dal ministro Giannini, di cui già si conosce la forte inclinazione verso l’Erasmus per gli universitari (che sognerebbe fosse obbligatorio per tutti). La realtà è che attualmente il numero di allievi delle secondarie di secondo grado che compiono un periodo di studi all’estero prima della maturità è molto limitato.

In assenza di dati ministeriali è possibile riferirsi a una ricerca condotta lo scorso anno da Ipsos per Fondazione Intercultura: nel 2011 gli studenti italiani che hanno frequentato un periodo scolastico all’estero sono stati meno di 5.000. Meno di un terzo dei ragazzi (32%) sarebbe informato di questa possibilità; le aree scelte da chi è partito sono, in ordine decrescente, America del Nord, Sudamerica, Europa e Asia, con numeri marginali per Oceania e Africa. Circa la metà delle scuole (53%) offre almeno un’iniziativa di promozione di esperienze internazionali: le più diffuse sono mobilità di classe, stage di studio e mobilità del singolo studente. Il principale ostacolo segnalato dai presidi è la mancanza di finanziamenti, seguito dall’insufficiente disponibilità di insegnanti. Quanto all’atteggiamento del personale scolastico, il 48% dei presidi si dichiara “molto favorevole” ai progetti di mobilità internazionale, contro l’11% dei docenti; “abbastanza favorevole” è invece il 34% dei presidi contro il 54% degli insegnanti. Il quadro che è emerge è quello di un fenomeno ancora di nicchia quanto a effettiva adesione degli studenti, che evidentemente scontano la scarsezza di mezzi (e, forse, di entusiasmo da parte degli insegnanti) utili a favorire una maggiore apertura internazionale dei nostri istituti.

In attesa di svolte autunnali, vediamo quali sono, attualmente, gli strumenti offerti dalla normativa in vigore e le posizioni ufficiali del Miur. Scorrendo leggi e circolari anche recenti, si nota il contrasto tra il netto favore che le istituzioni accordano alle esperienze negli Stati stranieri, considerate di alto valore formativo e molto facilitate nel riconoscimento degli studi, e la dimensione marginale che questa esperienza riveste ancora oggi nella scuola italiana. Le norme infatti lasciano una forte autonomia ai consigli di classe nel valutare il ragazzo proveniente dal periodo all’estero (anche, se ritenuto opportuno, con prove da sostenere nelle singole materie); il decreto legislativo 297/1994 si limita a stabilire che gli studenti devono provare di possedere “adeguata preparazione sull’intero programma prescritto per l’idoneità alla classe cui aspirano”. Oltre alla valutazione sulle discipline oggetto del programma, la norma richiede anche che l’età dello studente non sia inferiore a quella prevista per i ragazzi iscritti regolarmente alle scuole statali per l’anno di corso di riammissione.

Ma è leggendo le circolari ministeriali più recenti che ci si rende conto di come l’orientamento del Miur sia sempre più favorevole alle esperienze all’estero, tanto da attenuare di molto la severità della valutazione nei confronti di chi ha studiato alcuni mesi in un’altra nazione. La nota 181/1997, ad esempio, chiarisce che le esperienze di studio all’estero degli allievi delle superiori “sono valide per la riammissione alla scuola di provenienza”; la delibera di riammissione spetta al consiglio di classe, che può stabilire “un’eventuale prova integrativa”. Il Miur precisa che il periodo all’estero non può durare più di un anno scolastico, e in ogni caso deve concludersi prima dell’inizio del nuovo anno scolastico: niente riammissione, quindi, a lezioni già iniziate. Con la circolare 2787/2011 il ministero si spinge oltre, invitando esplicitamente le scuole “a facilitare tale tipologia educativa”. L’ultimo intervento è con la nota 843 dello scorso anno, che ripercorre in dettaglio tutte le iniziative e i passaggi che gli istituti devono compiere per favorire il miglior esito del periodo all’estero per lo studente. Si ribadisce che le esperienze nelle scuole straniere “non vanno computate come periodi di assenza dalla frequenza scolastica” e si chiarisce che è opportuno “escludere” da questa possibilità gli alunni all’ultimo anno di corso, “in quanto preparatorio agli esami di Stato”.

Quanto al giudizio che il consiglio di classe deve pronunciare sulla riammissione, la nota dichiara inammissibile “sottoporre l’alunno ad esami di idoneità”; al contrario, la scuola è invitata a “valutare e a valorizzare gli apprendimenti non formali ed informali” acquisiti dagli studenti; dunque, l’insieme di conoscenze e competenze, non solo legate alle discipline impartite, che il ragazzo abbia acquisito nella scuola straniera. Ancora più leggera è la mano nel caso in cui lo studente sia all’estero per brevi periodi (“alcuni mesi”). In questo caso il giudizio sulla preparazione nelle materie insegnate all’estero seguirà un doppio criterio: per le discipline presenti anche nell’ordinamento italiano, il consiglio di classe si muoverà “sulla base di quanto certificato dalla scuola straniera”; per le materie non presenti nella scuola italiana, il voto verrà attribuito in base “alla verifica dell’apprendimento dei contenuti essenziali”. Dunque, fino a qui il Miur lascia amplissimi margini di riammissione ai ragazzi che vogliano studiare fino a un anno fuori dall’Italia. Aspettiamo la fine del mese per capire se, oltre al generico favore legislativo, il governo individuerà mezzi e modi per far sì che un anno di scuola negli Usa o in Cina diventi, da esperienza d’élite, un’opportunità concreta per tutti gli studenti.

Martino Periti

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