CULTURA

Se il capitalismo perde la bussola

Una delle poche certezze di questa crisi è che nessuno ha ricette – più o meno magiche – per uscirne. Nella navigazione a vista qualche punto di riferimento può essere costituito da riflessioni come quelle che Guido Rossi pubblica ogni domenica sulla prima pagina del Sole 24 Ore, raccolte nel volumetto Capitalismi. Articoli non semplici a una lettura troppo veloce, ma che hanno il merito di offrire un punto di vista competente e diverso rispetto alla superficialità che troppo spesso caratterizza gran parte dell’informazione economica italiana.

Si comprende così che le teorie di Thomas Hobbes o di Bacone, piuttosto che le riflessioni prese dallo Zibaldone di Leopardi, non debbano necessariamente essere confinate ai discorsi astrusi di pochi specialisti, ma possano offrire chiavi di lettura preziose per la situazione attuale. Visto che sono pur sempre le idee, come diceva Keynes, a condizionare l’attività umana. La crisi attuale è data anzitutto da una inadeguatezza degli strumenti interpretativi consolidati, a partire dal capitalismo inteso come ideologia. E qui Rossi non ha dubbi: oggi concetti come quelli di deregulation e di liberalizzazione sono oggetto di una vera e propria idolatria (gli “idola fori” baconiani). Meri fantasmi a cui ormai sempre più ci si aggrappa per giustificare gli abusi e le inerzie della situazione attuale.  

Il grande problema è quello dei rapporti tra economia, democrazia e diritto. Chi viene prima? Qui Rossi è netto: è compito della democrazia “favorire i cittadini rispetto ai creditori”. Nello stato attuale invece, dominato dagli interessi di pochi rispetto alle esigenze di molti, lo squilibrio verso il mercato è talmente accentuato da minare le basi stesse dello stato democratico.  Quello che rischia di allargarsi è “lo spread tra debito e democrazia”, come recita il titolo di un editoriale del professore milanese. Un esempio è offerto dal vincolo al pareggio di bilancio, inserito quest’anno nella Costituzione a causa delle pressioni internazionali – precisamente tedesche – praticamente senza un dibattito pubblico degno di questo nome. Oppure si può citare il paradosso incredibile per il quale i contribuenti – anche e soprattutto i più poveri – stanno pagando per salvare le banche attraverso le tasse che i governi usano per tappare i buchi di bilancio creati dalla speculazione.

Quello è che emerge è la deriva di un capitalismo privato della sua base storica ed eziologica – che Max Weber identificava nella Riforma protestante, altri nelle rivoluzioni illuministiche – e ridotto alla cieca bramosia di denaro. Un’aurea sacra fames tanto più distruttiva quanto più è lasciata a se stessa, staccata dall’economia reale. In questa situazione il ricatto continuo e opprimente dei grossi speculatori internazionali rischia di trasformarsi in uno stato “Stato di eccezione” di sapore schmittiano, che in nome dell’economia – o meglio: della tutela dei guadagni di pochi – sospenda lo stato di diritto inteso come emanatore di leggi giuste, ispirate al bene comune. La risposta, a parere di Rossi, può essere solo nella direzione di una maggiore integrazione europea e soprattutto di una maggiore democrazia, con la creazione di una costituzione europea che opponga il diritto alla forza bruta dei mercati.

Daniele Mont D’Arpizio

Guido Rossi, Capitalismi. Il Sole 24 Ore, 2012

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