SOCIETÀ

Se l’immigrazione diminuisce è un problema. Anzitutto per l’economia

Sorpresa: dopo anni di allarmi (e allarmismo), nel 2012, anno sesto della grande crisi economica, si è sostanzialmente interrotto l'afflusso di immigrati in Italia. È quanto rileva l'Ismu, la Fondazione Iniziative e studi sulla multietnicità di Milano, che nel suo XVIII rapporto sulle migrazioni nota che al primo gennaio 2012 c'erano in Italia appena 27.000 presenze in più rispetto al primo gennaio 2011. Un dato che porterebbe addirittura a un'inedita inversione di tendenza: per la prima volta da molti anni ci sarebbero più italiani che emigrano, ben 50.000 nel 2011, che stranieri che arrivano nel nostro Paese. Il che porta anche in Italia una serie di interrogativi con i quali già da un po' si confrontano altri paesi sviluppati: a cominciare dagli Stati Uniti, dove molti analisti iniziano a preoccuparsi del fatto che gli stranieri diminuiscono, e a fare i conti sull'impatto di tale “fuga” sul Pil.  

I timori americani

Per un paese che è nato e ha forgiato la sua identità sull’immigrazione, la questione non è di poco conto. Le ha dedicato un editoriale per la Cnn il noto opinionista Fareed Zakaria – anch’egli di origine straniera, essendo nato a Mumbay – dichiarando che se la tendenza  attuale continuasse, rischierebbe alla lunga di danneggiare l’economia e le prospettive strategiche americane. La ripresa infatti sta creando negli Usa circa 3,6 milioni di posti di lavoro, molti dei quali nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, e le imprese hanno sempre più fame di cervelli, anche stranieri. Secondo dati OCSE che si riferiscono al 2009, è nato all’estero il 12,7% della popolazione residente negli Stati Uniti: una cifra ormai simile a quella di Francia (11,6%) e Germania (12,9%), e comunque ben al di sotto di Australia (addirittura il 26,5%), Canada (19,6%) e persino di uno storico paese di emigrazione come l’Irlanda (17,2%). Infatti in parallelo alla riduzione dell'afflusso negli Usa è salita la capacità di attrattiva di manodopera straniera da parte di molti paesi europei. In particolare, preoccupa gli analisti Usa il cambiamento delle mete di emigrazione dei lavoratori con un titolo di studio elevato.

I numeri italiani

E in Italia? Secondo l’Istat nel 2011 erano residenti nel paese più di 4,5 milioni di stranieri, molti dei quali (circa un milione) aveva meno di 19 anni: tra loro tanti adolescenti nati in Italia ma che, secondo la normativa vigente, non posseggono ancora la cittadinanza. Rispetto all’anno precedente si registra un incremento di circa 340.000 presenze. Il dato va però letto con cautela: “Negli ultimi anni c’è stato un rallentamento degli ingressi – afferma Gianpiero Dalla Zuanna, docente di demografia presso il Dipartimento di Scienze statistiche dell’Università di Padova – ; l’ultimo censimento ha inoltre rilevato meno stranieri di quelli che ci si aspettava, perché tanti di quelli che vanno via non si cancellano dalle anagrafi. Non bisogna sottovalutare il fenomeno, ma comunque l’impressione è che l’Italia continui ad attirare immigrati, anche se forse in misura minore”. Secondo Dalla Zuanna è ancora presto per parlare di un “controesodo”: “nelle scuole ci sono tanti bambini di origine straniera: la presenza degli immigrati è ormai forte e stabilizzata nella società italiana”. 

Ma se i numeri dell'immigrazione, magari a distanza di qualche anno, sono conoscibili e tutto sommato evidenziano una certa linearità di comportamenti, più difficile è interpretare il nesso tra flussi e benessere, immigrati e Pil: Dalla Zuanna  avverte che  l'influenza dei  flussi migratori sulla crescita economica  “è una questione complessa e abbastanza  controversa: ci hanno insegnato che la produzione è il frutto dell’incontro tra capitale e lavoro, ma non è ancora possibile stabilire con esattezza la giusta dose”. L’immigrazione insomma è causa o conseguenza del successo di un’economia? “Sicuramente alcuni settori che sembravano decotti sono stati rivitalizzati dalla presenza di una manodopera straniera: l’agricoltura, grazie ai lavoratori stagionali, oppure ad esempio l'industria  dell’estrazione e della lavorazione del marmo a Verona”.

Caccia ai cervelli

Ma fin qui, si tratta di occupazione e qualifiche molto basse: un mondo in cui si conferma l'immagine nota per cui gli stranieri in Italia fanno i mestieri rifiutati dagli autoctoni, pur avendo molto spesso qualifiche adatte a lavori di livello superiore. Altra cosa è invece cercare di attirare manodopera di alto livello: “Le procedure e il modello di immigrazione sono stati pensati per lavoratori unskilled, senza una particolare formazione culturale e professionale – conferma Dalla Zuanna – quindi laureati e ricercatori oggi incontrano praticamente le stesse barriere di una badante”. Far venire in Italia a lavorare un ingegnere nucleare extracomunitario, o addirittura assumere un professore americano in pianta stabile è quasi impossibile. In Italia manca insomma totalmente una politica per attirare intelligenze e abilità, anche perché a volte sembra esserci la presunzione di fare da soli in casa: “Tutto invece dimostra che lo scambio fa bene, e il confronto con i migliori cervelli stranieri dovrebbe tirare su il livello di tutti”.

Ma non abbiamo abbastanza laureati e ricercatori a spasso per andare a caccia di quelli stranieri? “Chi viene non porta via il lavoro ai nostri” ribadisce Dalla Zuanna. “Più si fanno girare persone, più si allargano le opportunità di crescere per tutti, e mi fa piacere dirlo al giornale della nostra università. L’autarchia non va bene, in particolare nel mercato dei cervelli”.

Intanto negli Stati Uniti ferve il dibattito, e non è un caso che Michael Bloomberg, il sindaco di New York repubblicano ma con simpatie liberal (alle ultime elezioni ha sostenuto Obama), dichiari che le politiche per le immigrazione restrittive siano “il più grande problema per l’economia”, e che la normativa attuale sia un “suicidio nazionale”. In effetti, dopo anni in cui il problema è stato cavalcato soprattutto dall’ala più intransigente del Partito Repubblicano, negli ultimi tempi sembra delinearsi un accordo per riaprire anche negli Usa le maglie degli ingressi legali di lavoratori stranieri. Una situazione lontana ancora anni luce da quella italiana, dove il tema dell’immigrazione sembra tutt’ora ostaggio di ideologismi contrapposti.

Daniele Mont D’Arpizio

Roberta Carlini

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