CULTURA

Sogni in tempi di guerra di Ngugi wa Thiong'o

Un paio d'anni fa, alla vigilia dell'assegnazione del Nobel per la letteratura (era il 2010, il vincitore risultò poi essere Mario Vargas Llosa), cominciò a circolare insistente nelle redazioni culturali la voce che il premio sarebbe andato al kenyota Ngugi wa Thiong'o. Orrore! Ben pochi sapevano chi era e cosa aveva scritto quell'autore dal nome tanto ostico. I più avvertiti scoprirono, dopo un rapido controllo ai cataloghi, che alcuni testi narrativi di Ngugi erano, sì, stati tradotti in Italia alla fine degli anni Settanta per opera della benemerita Jaca Book, già dagli esordi attenta al panorama culturale africano, ma che erano poi spariti, con l'eccezione di un romanzo, Un chicco di grano, ristampato per l'ultima volta nel 1997. E notarono, fra le opere uscite dalla circolazione, una raccolta di saggi edita da Meltemi nel 2000 per le cure di Cristina Lombardi-Diop, che portava un titolo singolare e, in quella situazione, piuttosto calzante: Spostare il centro del mondo. Già, questo mondo così “globale”, così “interconnesso”, e tuttavia ancora (finora) per tanta parte così poco illuminato, così asimmetrico nei suoi rapporti di forze – anche culturali, anche editoriali. 

Contro queste asimmetrie, e in favore di nuove, multiple centralità, si batte da decenni Ngugi, intellettuale raffinato (è professore di letteratura comparata alla University of California), che ha fatto del proprio sapere il territorio di una battaglia che gli è costata anche la prigione: quasi più che per la sua opera letteraria, infatti, Ngugi è noto al pubblico internazionale per avere deliberatamente abbandonato l'inglese come lingua dei suoi scritti, in favore del nativo Gĩkũyũ, una scelta abbracciata nel carcere di massima sicurezza di Kamiti, dove l'allora vicepresidente del Kenya Daniel arap Moi lo aveva fatto rinchiudere per i contenuti politici della sua pièce, Ngaahika Ndeenda (“Mi sposerò quando voglio”), messa in scena nel 1977 con i contadini e gli operai di Limuru, la cittadina nei pressi della quale lo scrittore è nato nel 1938.

Eppure, ridurre la grandezza di Ngugi alla militanza e agli studi teorici (il più importante dei quali, Decolonising the Mind: The Politics of Language in African Literature, ancora aspetta di essere tradotto in italiano) sarebbe un errore grave. Lo dimostra l'uscita – ancora per Jaca Book – di un testo autobiografico, Sogni in tempi di guerra (traduzione di Guendalina Carbonelli), nel quale lo scrittore ripercorre la propria infanzia e la propria adolescenza fino alla partenza verso la Alliance High School dove, primo della sua famiglia, si avvierà agli studi superiori. Verranno poi i successi e gli scontri, le battaglie politiche e un esilio che dura tuttora. Qui, però, Ngugi riesce a riprodurre nitidamente la sua fiducia e la sua determinazione di ragazzo, mai soffocate dalla consapevolezza di dolori e di conflitti (i dissidi familiari, le feroci repressioni delle rivolte mau mau), che pure lo toccano da vicino. Nella consumata abilità con cui Ngugi intreccia le sue intricate vicende personali con la storia africana del ventesimo secolo, nelle descrizioni sintetiche ma efficacissime dei luoghi e dei personaggi (prima fra tutti la madre, che lo ha sempre sostenuto e incoraggiato nei suoi progressi), si riconosce la vasta cultura dell'autore e al tempo stesso l'eco delle lunghe serate di racconti intorno al fuoco nella capanna della moglie più anziana del padre. È questa una sintesi che accomuna Sogni in tempi di guerra ai capolavori della letteratura africana, primo tra tutti lo splendido (e da noi misconosciuto) Crollo di Chinua Achebe – testi, questi e altri, da consigliarsi a chi desideri spostare, sia pure di poco, il centro del mondo.

 

Maria Teresa Carbone

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