SOCIETÀ

Sondaggi, il blackout di Pulcinella

Mentre la campagna elettorale arriva all'ultimo miglio, si rincorrono voci e sussurri su sorprese o conferme degli ultimi sondaggi. Quelli “proibiti”, che si fanno, ma dei quali è vietata la diffusione sui mezzi di informazione. Già, ma cosa vuol dire “diffusione” nell'anno 2013? Di quali mezzi di informazione si parla, con quali tecnologie? La questione è esplosa qualche giorno fa con la vicenda di PoliticApp, l'applicazione per la consultazione dei sondaggi realizzata dalla Swg e bloccata dall'Autorità garante delle Comunicazioni (Agcom). Grazie all’app i sondaggi realizzati dall’istituto sarebbero stati disponibili fino al 26 febbraio, compresi quindi gli ultimi 15 giorni di campagna elettorale. L'Autorità in un primo momento aveva dato l’ok alla sua diffusione, tranne poi fare marcia indietro sottolineando gli "effetti di diffusione incontrollata dell'informazione", e rinvenendo "un'oggettiva violazione" del divieto di diffondere sondaggi nelle due settimane prima del voto. Ne parliamo con  Maurizio Pessato, vice presidente di Swg.

La vicenda di PoliticApp è un segnale forte che qualcosa è cambiato nella classica distinzione tra vecchi e nuovi media. Cosa ci insegna?

Sicuramente il cambiamento è più ampio di quanto il legislatore non abbia fin qui previsto. Nelle ultime elezioni politiche, quelle del 2008, ancora non era ancora ben chiara la portata pervasiva dei social network e quanto gran parte delle informazioni ruotino intorno a questi strumenti. Quest’anno stiamo affrontando le elezioni con un governo che, nelle modifiche alla legge sulla par condicio del dicembre 2012, ha sostanzialmente confermato il Regolamento sondaggi varato dall’Agcom nel 2010. Tale azione mostra tutti i suoi limiti nell’affrontare le nuove modalità di comunicazione e informazione, che poi di fatto si basano sulla trasparenza e sulla pubblicità delle informazioni.

Quanto incidono le opinioni e le informazioni condivise dagli utenti attraverso canali come Facebook e Twitter? Ha senso estendere le regole sulla diffusione dei dati e quelle della par condicio anche ai social network?

Nei social network l’informazione non è lineare e questo genera un cambiamento nelle previsioni. Prima avevamo degli universi conoscibili con probabilità di valutazione pressoché definite, come le copie vendute di un giornale, gli indici di ascolto dei programmi televisivi; ora queste probabilità sono molto più sfocate. Questo perché l’andamento della diffusione delle informazioni è molto articolato, la situazione che si genera non è valutabile empiricamente. Inoltre il fenomeno dell’internazionalizzazione influisce molto di più sulla diffusione dei dati che in passato: basta che un post venga pubblicato fuori dall’Italia che salta l’obbligo della par condicio. Oltre a ciò c’è anche da considerare la questione dell’influenza dei sondaggi sull’opinione pubblica. La letteratura non ci dice nulla di definitivo in proposito, non esiste una prevalenza di opinioni sul se e sul come la diffusione dei risultati di un sondaggio abbia effetti. Cosa significa oggi parlare di influenza dei sondaggi? Il modo in cui i telegiornali mettono in scaletta le notizie, o la diffusione nei social di un concetto in maniera pervasiva, sono due esempi più significativi di influenza delle opinioni rispetto al sondaggio. Detto questo, la logica della censura non funziona più, e la strada migliore sembra essere quella seguita da Gran Bretagna e Stati Uniti, dove si ragiona in termini di convenzione.

Per convenzione si fa finire la campagna elettorale il venerdì, e quindi anche la diffusione dei sondaggi secondo un principio di equità rispetto alle altre modalità di influenza delle opinioni o di diffusione delle informazioni. Sarebbe più equa una decisione di sospensione dei sondaggi attraverso lo strumento della convenzione piuttosto che con la censura, al fine di dare all’elettore la tranquillità in cui  maturare la propria scelta. Ma deve essere un agreement che deve valere per tutti.

La vicenda di PoliticApp ha avuto molta eco nelle ultime settimane. Come funziona, o avrebbe funzionato l’applicazione? Quale grado di pervasività delle informazioni si prevedeva?

L’applicazione PoliticApp è un servizio che abbiamo realizzato in assoluto rispetto delle regole. L’attuale normativa definisce bene quali strumenti sono da considerarsi mezzi di comunicazione di massa, e stabilisce che non si possono diffondere le informazioni in maniera indeterminata e indefinita. Con l’app il rapporto instaurato con il fruitore è definito e a pagamento. Secondo le nostre previsioni più ottimistiche avremmo raggiunto circa 50.000 persone: una quantità non elevata a fronte di un numero di elettori pari a 50 milioni. È un po’ più rilevante la notizia di un telegiornale, che tocca una quantità maggiore di persone. Inoltre nel contratto di acquisto del servizio era specificato il fatto che i risultati non potevano essere diffusi. Dopo il dietrofront del Garante abbiamo continuato a rispettare le regole e ora abbiamo una versione gratuita dell’app in cui veicoliamo informazioni ma non intenzioni di voto. Una questione che si dovrebbe affrontare però riguarda chi invece sta continuando a elargire questo servizio sul web.

Secondo lei, smartphone e tablet possono essere considerati mezzi di comunicazione di massa?

Lo sono nella misura in cui assolvono i requisiti della diffusione nella popolazione, e nella possibilità di diffusione dei contenuti che hanno e che è notevole, non tanto quanto la tv ma quasi. Non solo nella contingenza ma nel tempo. Detto questo sono mezzi di una persona, e se questa persona li usa per i fini privati non sono mass media. Ad esempio, se una persona twitta un’informazione ricevuta sta facendo diffusione, ma se non lo fa l’informazione resta privata. L’esempio è la telefonata, può rimanere tra due interlocutori oppure essere diffusa, mentre se rilascio un’intervista in un tg è diffusione di massa di per sé. Il risultato è che la normativa italiana va aggiornata, e da questi episodi si capisce bene. È come per le macchine: se le uso come mezzo pubblico devo avere un tipo di patente diverso da quella per l’uso privato. Il punto è l’arretratezza culturale sul tema: mentre sulla macchina tutti hanno capito la differenza, sulle idee e sulle informazioni è ancora presente una reazione di controllo da parte dell’establishment. L’Italia deve digerire la rivoluzione del web.

Per concludere, secondo lei, essendo l’Italia seconda in Europa per fruizione di contenuti mobile, l’uso di PoliticApp avrebbe avuto effetti sulle intenzioni di voto?

Il numero delle persone raggiunte non sarebbe stato tale da influenzare le intenzioni di voto. Non siamo più ai tempi della Doxa con il sondaggio monarchia o repubblica. Ora esistono 10 società che danno dati diversi tra di loro, così come ci sono diversi giornali che danno notizie non tutte uguali. Sono premesse culturali che danno risultati differenti. L’influenza è data più dalla lettura di un giornale, dall’agenda setting che dai sondaggi in sé. E poi, cosa influenza di più, un sondaggio o il passaparola? L’informazione televisiva? Facebook? Il sondaggio ha la sua neutralità, la campagna elettorale no.

Gli attori influenzanti nella società sono talmente tanti che il sondaggio di per sé non fa molto. Negli Stati uniti si diffondono sondaggi fino alla fine della campagna elettorale. Se bisogna lasciar in pace l’elettore, bisogna farlo anche toccando talk show, programmi televisivi, tg. La ragione del blackout dovrebbe essere quella del lasciare l’elettore libero di decidere con tranquillità da tutti gli agenti influenzanti. Su questo si può accettare una convenzione, come quando si fanno cessare musica e rumori alle 23 in un condominio.

Roberta Carlini

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