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Stage made in Usa. Sottopagati, ma non per sempre

Sempre più spesso anche i neolaureati americani sono alle prese con quelle durezze del mondo del lavoro contemporaneo che fino a poco tempo fa erano ritenute tipicamente europee. Specie per chi aspira a impervie carriere nei settori dell’arte, dell’istruzione o della comunicazione, della cultura, i primi anni di lavoro sono contrassegnati da orari massacranti e paghe poco soddisfacenti.

Se non fosse che in Italia è spesso già un successo conquistarsi uno stage non pagato, la situazione americana assomiglierebbe molto a quella di casa nostra. È nota la frase di un manager di una grande agenzia pubblicitaria americana riguardo le esigenze occupazionali della sua azienda: “Cerco nuovi assunti che siano dei 22-22-22”. Una sequenza che sta per: 22enni, disposti a lavorare 22 ore al giorno, per 22.000 dollari all’anno.

Si tratta di un’iperbole, certo. Ma fotografa la situazione di molti settori lavorativi, specie di quelli più ambiti e affascinanti per i giovani, come quelli citati in apertura, ai quali aggiungiamo giornalismo, pubblicità, moda e design. La domanda di lavoro è così alta – rispetto a un’offerta già storicamente non elevata – che le aziende hanno gioco facile a massimizzare i profitti offrendo paghe basse ai neoassunti e costringendoli a lavorare per molte ore al giorno. La situazione è resa poi più complicata dall’avvento di tablet e smartphone, spesso forniti ai dipendenti e sbandierati come benefit, ma che in realtà costringono  a essere sempre raggiungibili da email e comunicazioni di lavoro e di fatto a “non staccare mai”.

Le statistiche più recenti sono impietose e mostrano come negli ultimi venticinque anni la capacità di risparmio dei giovani americani sia crollata. Secondo un’indagine del Pew Research Center, nel 2009 il patrimonio medio di un americano con meno di 35 anni era di 3.662 dollari (al netto dei debiti, molto diffusi tra quei numerosi laureati che hanno contratto prestiti di lunga durata per pagarsi gli studi universitari), contro gli 11.521 dollari del 1984: un calo del 68%.

Ad attestare le ineguaglianze provvedono anche i dati riguardanti gli ultrasessantacinquenni: dal 1984 al 2009 il loro patrimonio è aumentato del 42%, attestandosi a una quota media di 170.494 dollari (questo soprattutto a causa della rivalutazione dei beni immobiliari). Inoltre nel 2011, secondo i dati del censimento decennale, il numero delle persone dai 25 ai 34 anni che viveva con i genitori – chiaro sintomo, in una società a bassa coesione intergenerazionale come quella americana, di insufficienza di mezzi propri - era aumentato di 1,2 milioni rispetto a quattro anni prima.

È tuttavia sbagliato equiparare il dinamico mondo lavorativo statunitense con la stagnante situazione italiana, che ogni settimana spinge molti giovani laureati a emigrare. È pur vero che anche negli Stati Uniti le offerte di lavoro per internships o fellowships sottopagate ricevono centinaia di domande da parte di aspiranti lavoratori, e che in questi annunci non è raro imbattersi in richieste di lavorare nei weekend, fuori orario o di garantire reperibilità 24 ore al giorno. Ed è corretto sottolineare come sia ormai prassi anche nel mondo anglosassone che il primo lavoro sia rappresentato da stage che, quando pagati, non garantiscono stipendi superiori ai 15.000 dollari all’anno e a volte costringono lo stagista a lavorare anche 60 ore a settimana.

Va detto però che, rispetto alla drammatica realtà italiana, queste posizioni sono quasi sempre una reale chiave d’accesso a una carriera nel settore desiderato e non, come purtroppo accade sempre più spesso nel nostro paese, una collaborazione a tempo determinato e niente più, terminata la quale si perde il posto e si viene sostituiti da un nuovo “assunto” in condizioni analoghe. Sebbene poco pagate e magari destinate a durare anche qualche anno, in molte aziende americane le internships garantiscono ancora un accesso a posizioni a tempo indeterminato all’interno dell’azienda stessa. Alla lunga, quindi, i sacrifici vengono quasi sempre ripagati. E, quel che più conta, un giovane può ancora riuscire a realizzare i propri desideri lavorativi.

Marco Morini

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