SOCIETÀ
Stati Uniti, il ritorno in città
Casette indipendenti in vendita nello Stato del Wisconsin. Foto:Andy Manis /The New York Times/contrasto
I cambiamenti della geografia metropolitana costituiscono sempre una cartina al tornasole dei mutamenti sociali. Come scrive Bernardo Secchi, il territorio metropolitano “è stato di volta in volta macchina di integrazione o di esclusione sociale”.
Negli Stati Uniti è in corso un processo di riorganizzazione profondo degli spazi urbani. Un numero crescente di cittadini americani sta lasciando i “suburbs”, i sobborghi delle aree metropolitane che hanno caratterizzato il paesaggio urbano degli Usa nel ventesimo secolo. Per un lungo tratto, la middle class aveva abbracciato un modello caratterizzato dal progressivo abbandono dei centri urbani a favore delle città satellite delle periferie, costruite secondo uno schema che prevedeva villette unifamiliari sempre più estese, diffusione dell'urbanizzazione su un territorio vasto, ricorso all’automobile come unico mezzo di trasporto, grandi centri commerciali (malls). Era lo “sprawl”, l’espansione urbanistica che ha condotto a un profondo cambiamento negli stili di vita e nei modelli di consumo delle società occidentali.
I sobborghi hanno costituito il tratto dominante della crescita residenziale in America nel secolo passato: dei 132 milioni di case costruite negli Usa, il 51% sono collocate qui, e fra il 1960 e il 2010 la porzione di popolazione che vi risiede è passata dal 31% al 51%; con 158 milioni di abitanti. Tra il 1969 e il 2009 le miglia all'anno per residente sono aumentate del 60%, e molte periferie sono collocate così lontane dalle città che la parola stessa rischia di perdere il suo significato originario: Ridgecrest è a 112 miglia da Bakersfield, l’area metropolitana della California della quale fa ufficialmente parte.
Negli anni recenti questo modello è entrato in crisi, e si avvertono i segni di una radicale inversione di tendenza, come testimonia una approfondita inchiesta giornalistica curata da Leigh Gallagher, “The end of the suburbs: where American dream is moving” (Penguin, 2013). Tra il 2010 e il 2011 la popolazione dei suburbs è cresciuta solo dello 0,4%, molto meno del tasso registrato dalle aree metropolitane centrali: è la prima volta che accade da un secolo a questa parte. Mentre 20 anni fa solo il 7% dei permessi di costruzione di New York riguardava il centro urbano, e più del 70% invece la periferia metropolitana, nel 2008 le percentuali erano invertite: solo il 9% nelle periferie, e più del 70% nella città. La popolazione del Loop di Chicago – il distretto centrale – si è triplicata nel corso dell’ultimo decennio.
Lo sprawl residenziale era stato accompagnato anche da uno sprawl delle blue chip companies: Ibm si era spostata da New York a Armonk, General Electric a Faifiled (Connecticut), Motorola da Chicago a Schaumburg (Illinois). A fine anni Novanta, due terzi degli spazi di ufficio erano collocati fuori dalle aree centrali delle città. Ora assistiamo al fenomeno inverso: a Chicago, la United Airlines ha lasciato Elk Grove per tornare a downtown, così come Hillshire Brands si sta spostando da Downers Grove al centro della città; lo stesso a S. Francisco, che attira nelle sue aree centrali le aziende del comparto high tech, prima collocate nella Silicon Valley (Twitter, Dropbox, Pintister).
Gli stessi grandi centri commerciali che hanno caratterizzato il panorama dei suburbs stanno cambiando le proprie scelte insediative. Dal 2006 negli Stati Uniti si è aperto un solo nuovo grande mall, mentre in quelli esistenti i tassi di occupazione si stanno riducendo e le grandi catene progettano investimenti di tipo completamente diverso, come i Neighborhood Markets di Walmart, con una dimensione pari a un quarto dei tradizionali supercenters.
I sobborghi delle metropoli, già luogo di elezione della borghesia, si stanno trasformando anche nella composizione sociale: nel 2010 15,3 milioni di residenti dei suburbs vivevano sotto la linea della povertà, con una crescita pari all’11,5% rispetto all’anno precedente e al 53% rispetto al 2000. Con un tasso di impoverimento più che doppio rispetto a quello delle città, I suburbi Usa sembrano quindi destinati a diventare aree di insediamento per i nuovi poveri, mentre si affermano stili di vita che mettono in crisi il modello della società motorizzata di massa.
Gli 80 milioni di Millennians, vale a dire gli americani nati tra il 1977 ed il 1995, preferiscono vivere, per il 77%, nelle aree urbane, e mostrano modelli di consumo radicalmente diversi dal passato: nel 1980, il 66% dei diciassettenni aveva una patente di guida, contro il 47% del 2010. Si inverte una tendenza iniziata agli albori del ventesimo secolo, quando le automobili erano passate dalle 8.000 del 1905 ai 17 milioni del 1925.
Motorizzazione e crescita delle periferie urbane sono processi paralleli: tra il 1921 ed il 1936 gli Stati Uniti hanno costruito più di 420.000 miglia di autostrade, e più di 900.000 case all’anno tra il 1923 ed il 1927. L’83% degli spostamenti degli americani avviene oggi in automobile, il tasso più elevato del mondo, così come quello di consumo individuale di benzina, a fronte di una politica fiscale sugli idrocarburi che non incorpora, a differenza che in Europa, i costi delle esternalità. Se in Norvegia il costo della benzina per gallone è pari a 10 dollari, negli Stati Uniti è di 4, e la differenza la fa tutta il fisco. I residenti nei sobborghi percorrono in media tra le 15.000 e le 18.000 miglia all’anno e in molti casi fino a 25.000 miglia (più di 40.000 km) con oltre 3 ore al giorno di guida.
La crisi economica ha giocato un ruolo rilevante nel mutamento in corso. Nel 2008 gli abitanti dei suburbs hanno speso per la benzina il doppio rispetto al 2003: da 1.422 a quasi 3.000 dollari. Nella gran parte dei casi, la metà del reddito se ne va per casa e trasporti, una cifra che nelle famiglie tra i 20.000 e i 50.000 dollari annui sfiora il 60%. Secondo Arthur C. Nelson, direttore del centro di ricerca sulle aree metropolitane presso l’Università dello Utah, tendendo conto dei mutamenti demografici e dei cambiamenti nelle preferenze residenziali delle nuove generazioni, entro il 2025 si registrerà negli Stati Uniti un surplus di abitazioni pari a 40 milioni di case, e si porrà il tema della riorganizzazione degli spazi urbani periferici. Alcuni esperimenti sono già in corso: a Lakewood, un sobborgo di Denver, in Colorado, lo shopping mall "Villa Italia" è stato trasformato in Belmar, una comunità pedonalizzata che ha al suo interno appartamenti, condomini, uffici, studi per artisti, negozi ed una passeggiata che si estende per 22 blocchi urbanizzati.
Pietro Spirito