SOCIETÀ

Un italiano alla Costituente tunisina

Meno di 150 chilometri separano Italia e Tunisia, eppure tra le sponde del Mediterraneo la comunicazione non è sempre facile. Era il 14 gennaio 2011 quando il presidente Ben Alì, da quasi 25 anni l’uomo forte di Tunisi, fuggiva in seguito alla “rivoluzione dei gelsomini”. Oggi, a due anni dalle “primavere arabe”, lo scenario si sta ancora assestando: continuano i lavori per la nuova costituzione, che entro quest’anno dovrebbe finalmente consegnare la democrazia a questo paese di oltre 10 milioni di abitanti, molti dei quali emigrati all’estero (oltre 100.000 solo in Italia).

A 29 anni, di cui 17 vissuti in Italia, Osama Al Saghir è un giovane deputato di Ennahdha (“rinascita”), il primo partito in Tunisia con il 37%: si tratta di un movimento vicino ai Fratelli musulmani, e questo genera non poche paure e perplessità (su questo tema Guerra e pace dal Cairo a Timbuctù) sia in Occidente che nella parte laica e progressista della società tunisina. Per il giovane, laureato in Scienze politiche in Italia e giornalista (collabora con Al Jazeera come free-lance e documentarista), la politica è una passione di famiglia: suo padre infatti militava nello stesso movimento, prima di essere costretto a fuggire dal passato regime.

Onorevole Al Saghir, a che punto sono i lavori per la nuova costituzione?

In questo momento sono al lavoro sei commissioni, io in particolare faccio parte di quella che si occupa del sistema politico. Dopo anni di dittatura siamo orientati verso un sistema fortemente parlamentare piuttosto che presidenzialista. Il testo dovrebbe essere ultimato verso maggio-giugno di quest’anno, dopodiché dovrà essere approvato dai due terzi della costituente per due volte; in caso contrario sarà sottoposto a referendum popolare [un procedimento molto simile all’articolo 138 della Costituzione Italiana ndr]. Posso già comunque dire che il nuovo sistema costituzionale comprenderà un’alta commissione per i diritti umani. Durante la dittatura Ennahdha ha sofferto particolarmente della violazione diritti umani, con oltre 30.000 detenuti politici, molti torturati o uccisi.

Qual è la situazione oggi in Tunisia e in Nordafrica?

Le rivoluzioni non sono giochi da ragazzi, quando avvengono provocano di solito periodi di instabilità. All’inizio del 2011, in appena un mese, sono caduti due dittatori che resistevano da decenni, come Ben Alì e Mubarak; dopo sono venute le guerre civili in Libia e in Siria. Probabilmente in Italia non ci si rende bene conto dell’importanza delle “primavere arabe” del 2011, e invece non c’è paese arabo che non ne è o non ne sarà influenzato.

c’è il rischio di una deriva islamista, come in parte sembra accadere in Egitto e in Libia?

L’islam è una religione pacifica. In particolare in Tunisia ha vinto Ennahdha, non un partito salafita [un movimento sunnita ndr]. Negli anni passati è stata la dittatura a rafforzare il fondamentalismo: se si affermano partiti come il nostro crediamo che pian piano i focolai di estremismo non avranno più motivo di esistere, o per lo meno non avranno più nessuna scusa per attaccare la democrazia [nel giugno 2012 il capo di al Qaida Al Zawahiri in un appello audio, ha invitato i tunisini a “liberarsi di Ennahdha”, perchè il partito avrebbe accettato la possibilità di una costituzione non basata sulla sharia, ndr]. Le dirò di più: spero che i salafiti si presentino alle prossime elezioni, accettando di verificare il loro peso politico attraverso le regole democratiche.

Siete quindi dei musulmani moderati?

Non mi piace l’uso che si fa di questo termine in Italia: sembra quasi che per essere buoni democratici ci si debba necessariamente allontanare dalla propria fede. La forza del nostro movimento invece è proprio di dire che non c’è nessun contrasto tra le libertà e l’Islam: non rinuncia ai principi religiosi, ma li orienta verso la famiglia e la libertà [Rashid Ghannushi, leader e ideologo del partito, ha accostato Ennahdha ai partiti cristiani europei del dopoguerra, come la DC ndr]. Per anni siamo stati descritti come fondamentalisti, che volevano instaurare una sorta di califfato in Tunisia, e questo purtroppo è ancora quello che si studia nella maggior parte delle università italiane. Le primavere arabe possono essere l’occasione di conoscerci meglio: lo sa che nel nostro partito su 89 deputati 43 sono donne? Quale partito europeo può vantare una proporzione simile?

Quanto pesano i valori religiosi nel suo incarico pubblico?

In Italia andavo nelle scuole a parlare ai ragazzi dei primi articoli della Costituzione Italiana: ho sempre amato farlo e non ci vedo alcun tipo di contrasto con i miei principi. Trovo che il rapporto tra fede e sfera pubblica sia più problematico in occidente: nell’Islam ad esempio non c’è una gerarchia come nella Chiesa Cattolica.

C’è tra gli sciiti, come in Iran. E poi nell’Islam c’è il problema dell’interpretazione letterale di alcuni precetti...

Il Corano va interpretato secondo il paese e la realtà storica: così credono la maggior parte di quelli che ci hanno votato. Quando un musulmano ha dubbi sulla corretta interpretazione del Corano si rivolge a un Faqih, un sapiente, che deve rispondere tenendo presente il contesto della società in cui vive. Anche in Europa c’è un “Consiglio europeo per le fatwa”, che applica il diritto musulmano tenendo presenti le particolarità del contesto: prima fra tutti che l’Islam in Europa è una minoranza.

Cosa possono fare l’Europa e in particolare l’Italia per la Tunisia e per il Maghreb?

Comprendere che dalla rivoluzione araba, nonostante le colpe dei governi occidentali, non sta nascendo un movimento ostile all’Occidente. Appoggiare i dittatori è stato un errore, adesso però giriamo pagina. Il Mediterraneo è sempre stato il centro del mondo, i nostri paesi sono uniti dalla storia, dalla cultura e da interessi economici comuni. Dopo la primavera araba dobbiamo solo avere l’intelligenza di perdonarci reciprocamente e di allontanare gli estremismi presenti in entrambe le parti.

Quanto conta ancora per lei il rapporto con l'Italia?

Moltissimo, anche perché continuo a mantenere entrambe le cittadinanze: nel partito sono io ad occuparmi delle relazioni con l’Italia. Cerchiamo di costruire un rapporto con tutte forze politiche importanti; il messaggio che vogliamo lanciare è chiaro: la Tunisia non è più un dossier francese, vogliamo uscire dalla dipendenza economica e culturale da un solo paese. Anche l’Italia può avere le sue carte da giocare, anche perché in Tunisia c’è una comunità italiana molto grande e attiva. Purtroppo l’Italia sta vivendo di una fase di “transitorietà”, ma sarebbe un davvero peccato se perdesse questa occasione. La Germania ad esempio sta agendo molto bene, e anche la Cina dopo le rivoluzioni ha triplicato gli scambi con il mondo arabo. Noi però vorremmo rafforzare i rapporti anche con i paesi mediterranei, con cui condividiamo storia e cultura. Spero che questo messaggio verrà compreso, anche perché la Tunisia è un piccolo paese, ma oggi ha una grande influenza nell’area, a partire dalla Libia. Se l’Italia non se ne accorge non potremo rimanere con le mani in mano, di fronte a possibilità di migliorare la nostra economia.

Daniele Mont D’Arpizio

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012