UNIVERSITÀ E SCUOLA
Università Usa: i docenti precari si mettono il casco (da operaio)
Foto: Reuters/Stringer
Si è svolta pochi giorni fa a Pittsburgh, negli Stati uniti, una conferenza sulla precarizzazione dell’insegnamento universitario, che nel mondo accademico Usa ha fatto in questi anni passi da gigante, e tra i relatori erano annoverati accademici, sindacalisti e politici. Il dato curioso è che l’evento è stato organizzato dalla United Steelworkers, storico sindacato dei siderurgici, nella città della Pennsylvania che fu già “capitale dell’acciaio”.
Travolta dalla recessione e dalla concorrenza asiatica, l’industria pesante della Pennsylvania è entrata in crisi fin dagli anni ’70. Mentre gli stabilimenti si svuotavano trasformandosi in desolata “rust belt”, la città ha saputo almeno in parte riconvertirsi grazie ai servizi e all’alta tecnologia.
È probabile perciò che la United Steelworkers, spariti nel corso degli anni gli operai delle acciaierie, guardi ora ai lavoratori dei servizi, e ai docenti a contratto delle università, le cui condizioni di lavoro sono ben lontane dall’essere soddisfacenti, come a possibili “nuovi siderurgici”, in una drammatica ridefinizione delle classi sociali dall’alto valore simbolico.
Le cose per i sindacati statunitensi non vanno infatti molto bene. Nel mondo lavorativo statunitense gli iscritti ai sindacati sono in calo – pur con alcuni momenti di inversione di tendenza - da 30 anni. Secondo l’ultimo rapporto annuale del Bureau of Labor Statistics, nel 2012 i membri di organizzazioni sindacali erano 14,4 milioni, cioè circa l’11,3% del totale. Un dato in calo dello 0,5% rispetto al 2011 e in tendenziale discesa dal 1983, quando i lavoratori sindacalizzati erano 17,7 milioni e rappresentavano circa il 20,1% del totale. Gli sforzi degli ultimi anni per organizzare la nuova forza lavoro hanno controbilanciato solo in parte questa tendenza.
C’è però un settore che è in controtendenza rispetto al dato generale ed è quello dell’istruzione, che tutt’ora registra il più alto tasso di sindacalizzazione del paese, pari al 35,4% di tutti gli impiegati di scuole, università e istituti di ricerca. L’adesione ai sindacati dei docenti universitari americani conobbe i suoi picchi negli anni ’60 e ’70, per poi iniziare a declinare dal 1980 in poi quando la controversa sentenza della Corte Suprema Nlrb v. Yeshiva University impedì ai docenti a tempo pieno delle università private di unirsi in associazioni sindacali, con la motivazione che essi ricoprivano ruoli manageriali all’interno degli atenei stessi.
A fronte di un graduale calo del numero di tenured and tenure-track professors (docenti a tempo indeterminato) iscritti ai sindacati, in linea con i dati generali, sono in forte aumento le iscrizioni degli adjunct faculty. Questi ultimi sono i precari dell’insegnamento accademico, docenti a contratto pagati per numero di crediti universitari insegnati e che spesso collaborano con più atenei. Sono i paria del settore, spesso con pochissime tutele, senza benefit e con scarso potere contrattuale, le cui iscrizioni sono in continuo aumento. Il saldo generale è quindi in crescita.
La precarizzazione in atto nelle università americane è tale che si stima che i docenti a contratto si facciano ormai carico di quasi la metà dei corsi universitari tenuti negli atenei statunitensi. Per cercare di far valere i propri diritti si stanno formando molte organizzazioni sindacali di adjunct faculty, sia all’interno delle università che interuniversitarie. Sebbene anche dopo la Nlrb v. Yeshiva i docenti a contratto potessero riunirsi in associazioni di categoria, il loro numero era esiguo e per molti l’essere adjunct faculty era percepito come un naturale periodo d’apprendistato nella breve attesa di ottenere una cattedra. Adesso invece i docenti a tempo indeterminato che vanno in pensione raramente vengono rimpiazzati da figure equivalenti e spesso vengono sostituiti con meno costosi docenti precari, le cui prospettive di avanzamento sono scarse.
Sebbene secondo il Chronicle of Higher Education solo poco più del 20% dei docenti a contratto sia sindacalizzato, il dato è in costante crescita. Ma far valere gli interessi dei precari dell’insegnamento comporta qualche rischio. Il principale è quello di creare scontri di interessi contrapposti fra docenti: da una parte i professori a tempo indeterminato (i “garantiti”), dall’altra quelli a contratto spesso privi di tutele. Sono infatti pochi gli atenei, tra i quali la University of Illinois di Chicago, dove sono nate organizzazioni sindacali unitarie. Lo scenario più frequente è quello di agguerrite associazioni di docenti precari che lottano contro i rappresentanti dei docenti garantiti ma che di fatto, anche a causa di queste divisioni, ottengono scarsi risultati in sede di consiglio d’amministrazione d’ateneo.
Eppure i docenti tenure-track e quelli non-tenure track, nelle rispettive dimensioni, hanno spesso le stesse esigenze: più fondi di ricerca, più spazi, miglior trattamento economico e pensionistico e una governance dell’università maggiormente condivisa. Le divisioni sindacali così come si stanno determinando facilitano soltanto il lavoro dei manager universitari che tengono soprattutto al bilancio e tendono spesso a gestire un ateneo come un’azienda privata, privilegiando quindi i conti rispetto alla qualità dell’insegnamento e alla dignità dei docenti.
Marco Morini