CULTURA
Dal Colosseo al Cenacolo: se in Rete la cultura italiana è uno spettro
Quiz: quale nazione, nell’anno del Signore 2016, può permettersi di mantenere due delle tre maggiori aree museali e archeologiche senza un sito web degno di questo nome? Quale Paese può consentire che luoghi altrettanto famosi siano privi di una propria pagina sul mezzo di comunicazione più diffuso sulla Terra (Facebook)? Non si tratta di Stati subsahariani che trascurano pitture rupestri: stiamo parlando del Colosseo e degli Uffizi. Il primo (sei milioni e mezzo di visitatori nel 2015) è rappresentato sul web da una paginetta del sito della Soprintendenza competente, che oltre a qualche riga di descrizione, orari e prezzo del biglietto, permette di scaricare un dépliant in bianco e nero in due facciate, la cui complessità ricorda una brochure da sagra paesana. Quanto agli Uffizi (due milioni di visitatori), qui un sito specifico c’è: e se gli esteti possono inorridire di fronte a un’accozzaglia di link rosso fuoco impilati uno sopra l’altro, o nello scorrere le poche pagine progettate da web designer aggiornati al 1995, tutto viene giustificato con una dicitura che campeggia sotto la testata: “sito temporaneo”. Che è temporaneo, si scopre, esattamente dall’1 gennaio scorso, quando uno dei link rosso sangue ne annunciava la pubblicazione “in attesa del sito ufficiale”. Dolorose coincidenze? Non tanto, se si verifica la situazione di un altro dei nostri capolavori, il Cenacolo vinciano (420mila visite annue), che su Facebook è un ectoplasma, e sul web dispone di una pagina del Polo museale regionale che, dopo quattro notizie in croce, rimanda “per maggiori informazioni” al sito web ufficiale di vendita dei biglietti, la cui descrizione dell’opera di Leonardo si esaurisce in sette (sette) righe.
Spunti come questi vengono dalla lettura del Rapporto sull’e-tourism di BEM Research, società che studia l’economia digitale. BEM ha analizzato quanto i beni culturali italiani siano attrezzati nella competizione internazionale per offerta di servizi e informazioni in Rete. Sono stati considerati venti siti culturali, selezionando per ciascuna regione italiana il museo o area archeologica più visitati (escludendo quelli gratuiti), e valutando quanto siano “digitalmente avanzati” secondo quattro diversi parametri: sito web, impatto su Facebook, impatto su Tripadvisor, applicazioni per tablet e smartphone. I siti italiani sono stati comparati, in base agli stessi criteri, a tre esempi internazionali: il Prado, la Tour Eiffel, la Tower of London. Ne emerge un quadro preoccupante, che vede i nostri musei di punta fortemente arretrati nel confronto con l’estero; ma si delinea anche il divario interno tra Nord, Centro e Sud, con il terzo a fare da Cenerentola in un quadro in sé già allarmante. Nella graduatoria generale delle “prestazioni digitali”, il risultato migliore è quello del Cenacolo milanese, il quale (nonostante tutto) totalizza un indice pari a 100: modesto, tuttavia, se lo si paragona al 139 della Tower of London, al 157 della Tour Eiffel e al 162 del Museo del Prado. Ma limitandosi ai più visitati siti italiani, la Valle dei Templi si ferma a 70, il Colosseo a 67, gli Uffizi a 57, mentre Pompei (che pure dispone di un sito web e una pagina Facebook dignitosi) è giù a 39. La media italiana è di 62, meno della metà delle eccellenze straniere.
Tra i maggiori punti critici, la scarsezza di versioni in lingua straniera dei prodotti multimediali (siti web, applicazioni, account sui social media). Un esempio per tutti: il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria (quello dei Bronzi di Riace), in attesa del sito ufficiale (ovviamente “in costruzione”) offre una smilza paginetta web della Soprintendenza senza una riga in lingue diverse dall’italiano. Desolante, si diceva, anche il quadro della presenza su Facebook: lo studio dichiara l’esistenza, su venti siti censiti, di appena otto pagine Facebook ufficiali, cui ad aprile si è aggiunta quella di Pompei. L’indice di gradimento su Facebook, che tiene conto dei “mi piace”, assegna 100 al Forte di Bard in Valle d’Aosta, contro un disastroso 2 per la Valle dei Templi.
Più articolato è l’impatto su Tripadvisor, il principale sito di recensioni online di attrazioni e strutture turistiche. Qui lo studio combina due indici. Da un lato si guarda alla frequenza di recensioni in proporzione ai visitatori: il Cenacolo ha un indice pari a 100, seguito dal Museo Egizio di Torino con 76 e dalla Valle dei Templi con 69. Dall’altro si analizza il numero di giudizi positivi rispetto alle recensioni totali: qui il massimo (100) è ottenuto dalla Galleria nazionale dell’Umbria, contro il 92 del Colosseo e il 78 dei Giardini del Castello Trauttmansdorff a Merano.
Imbarazzante, infine, è la situazione delle app per dispositivi mobili (la ricerca considera il solo sistema operativo Android, il più diffuso). Secondo BEM, su venti siti culturali considerati, solo tre dispongono di un’applicazione ufficiale: la Basilica di sant’Apollinare in Classe, il Forte di Bard e la Galleria di Palazzo Reale a Genova. E solo la prima, seppure lontanissima dai siti stranieri, ha delle prestazioni di discreto livello quanto a giudizio degli utenti, frequenza degli aggiornamenti, numero di download.
Il Rapporto sull’e-tourism, seppure limitato a un campione esiguo e forse non abbastanza rappresentativo, svela l’ennesimo fronte su cui la valorizzazione dei nostri beni culturali è a uno stadio poco più che primitivo. Ci attende un lavoro immane, che potrebbe partire da un piccolo, semplice progresso: eliminare dai (pochi) siti web esistenti paradossi e sciocchezze palesi. Come nel caso del sito per i biglietti della Domus Aurea, che Il Bo aveva già segnalato nell’ottobre 2015 e che dopo un anno rimane simbolicamente immutato: avvisa i turisti che è obbligatorio prenotare il tour, avvertendo che il sito potrebbe essere chiuso “anche il giorno stesso della visita”.
Martino Periti