UNIVERSITÀ E SCUOLA

Docenti in ritiro nel monastero per formare studenti più attivi

Cosa può spingere trenta professori universitari a chiudersi per tre giorni in un convento sui Colli Euganei, alternando discussioni e refettorio, proiezioni e passeggiate notturne nel chiostro, gruppi di lavoro e improvvisate performance chitarristiche? L’immaginario nazionale, per cui ogni professione è legata ai luoghi e simboli attraverso i quali per tradizione si esplica, è sospettoso delle élite, intellettuali e non, riunite nell’eremo: letteratura e cinema amano descrivere questi ritrovi con una venatura di giallo, di intrigo in cui si incrociano potere e minaccia. Leonardo Sciascia, ed Elio Petri che ne trasse un film sfortunato, raccontarono in Todo Modo una surreale (e metaforica) riunione in un convento-hotel di politici e uomini d’affari che, dietro l’apparente nobiltà dell’intento, nascondevano un disegno di reciproca, e spietata, sopraffazione. Fantasie di commistioni sacro-profano con qualche (raro) sconfinamento nella realtà: come quando papa Benedetto XVI sbaraccò, qualche anno fa, un’intera comunità di monaci dall’abbazia romana in cui l’ordine risiedeva da secoli, perché divenuta, a quanto pare, più attiva come centro mondano e festaiolo per vip che come luogo di ritiro e meditazione.  

Ma l’America, si sa, ci ha abituato a uscire da schemi precotti: e, un po’ per volta, anche i nostri modelli pedagogici hanno assorbito l’importanza dell’apprendimento grazie a esperienze di gruppo, in isolamento totale o almeno in luoghi che favoriscano concentrazione, scambio, solidarietà, team building (e gli estremi cui si arriva in certe business school Usa, che richiedono esercizi acrobatici nei boschi con i compagni che ti acchiappano al volo, potranno anche farci sorridere, ma sono parte della stessa logica). Così non deve stupire che pochi giorni fa la Scuola di ingegneria dell’Università di Padova, prima in Italia, abbia pensato di proporre ai docenti dei sei dipartimenti di riferimento un’esperienza formativa del tutto nuova. Tre giorni ai piedi dei Colli per trenta professori che, rispondendo a un bando aperto a tutti i colleghi, hanno lavorato gomito a gomito nella quiete del monastero, per costruire una prima comunità di docenti accomunati da uno scopo: apprendere, e trasmettere ad altri, le tecniche per rendere più efficace e coinvolgente la relazione didattica con i propri studenti. “Il seminario” spiega Massimiliano Barolo, presidente della scuola di Ingegneria “era aperto a docenti di tutte le discipline del nostro ambito. L’obiettivo infatti era stimolare un approccio didattico innovativo, valido per ogni insegnamento, che renda gli studenti più attivi e partecipi durante le lezioni”.

A illustrare i princípi dell’Active Learning quattro relatori: l’esperta in metodologia della formazione Monica Fedeli, anche lei docente al Bo, e tre docenti americani di Adult Education, Joellen Coryell (Texas State University), Edward Taylor ed Elizabeth Tisdell (Penn State University – Harrisburg). Al centro di ogni riflessione, gli studenti e l’obiettivo di renderli parte attiva e protagonista, rivedendo profondamente la concezione di lezione frontale. Un risultato che passa, secondo Barolo, attraverso il continuo confronto tra i docenti e le loro esperienze: “Un esempio? Secondo tecniche di microlearning abbiamo realizzato dei brevi video, ‘assaggi’ delle nostre lezioni in cinque minuti: in aula ciascun partecipante li commentava e offriva i propri suggerimenti”. La costruzione della piccola comunità di docenti, iniziata durante il seminario, deve proseguire anche all’esterno del convento: il gruppo, che rimane in contatto virtuale (grazie alla tecnologia) e reale (con incontri successivi) ha il compito di rafforzare le competenze dei singoli e diffonderle ad altri colleghi, in modo da creare interesse per i nuovi metodi e incoraggiarne l’adozione. In futuro ci saranno nuovi gruppi pronti per l’esperienza? “Dipenderà”, spiega Barolo, “dalla curiosità e dalle richieste che questa prima iniziativa sarà in grado di far nascere. Noi saremmo ben lieti di replicare”. Migliorare la didattica, in fondo, val bene una messa. Purché in convento.

Martino Periti

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