UNIVERSITÀ E SCUOLA

Elezione del rettore, ecco come funziona

Entro il prossimo 19 giugno sapremo chi sarà il nuovo rettore dell’università di Padova. Un appuntamento, quello dell’elezione del massimo rappresentante dell’ateneo, che la riforma Gelmini ha reso meno frequente di un tempo, uniformando la durata del mandato (sei anni non rinnovabili) per tutte le sedi accademiche del Paese. Chi viene eletto, perciò, ha la responsabilità di guidare l’università per un lungo periodo, anche se scaduto il termine non c’è possibilità di riconferma. Per potersi candidare a rettore, bisogna essere un professore ordinario in servizio presso una qualunque università italiana: è necessario avere optato per il regime di tempo pieno, o farlo appena eletti. La legge di riforma non entra nel dettaglio dei meccanismi dell’elezione, lasciando ad ogni istituzione il compito di stabilire in autonomia le norme per individuare il nuovo vertice: nel caso di Padova le “regole del gioco” sono stabilite dallo statuto e dal regolamento generale. 

Come si articola concretamente il sistema che porterà il Bo a scegliere il nuovo rettore? Tutto parte dal decreto con cui il decano (il professore ordinario con maggiore anzianità nel ruolo) indice l’elezione, stabilendone le date. Il sistema elettorale del Bo prevede un voto “a tappe”, che inizia con una prima votazione (quest’anno è fissata per il 15 giugno). Se nessuno dei candidati raggiungerà il quorum per l’elezione, seguirà un secondo turno (il 17) e, se anche questo non bastasse, un terzo (il 19 giugno). Ogni elettore può esprimere una sola preferenza. Ma per comprendere davvero come funziona il sistema bisogna fare un passo indietro, e chiarire il concetto di “voti ponderati”.

Nell’elezione del rettore di Padova sono cinque le categorie che hanno diritto di voto: a) i docenti di ruolo (professori e ricercatori a tempo indeterminato); b) i componenti del Consiglio degli studenti (sono i rappresentanti eletti dagli studenti negli organi dell’università, nei Consigli di dipartimento – uno per Consiglio – e un rappresentante degli studenti con disabilità; c) il personale tecnico-amministrativo; d) i ricercatori a tempo determinato; e) i dottorandi e gli assegnisti di ricerca. Ma i voti “pesano” diversamente a seconda della categoria di appartenenza. Mentre per le prime due (docenti di ruolo e studenti del Consiglio) ogni componente esprime un voto “intero” (un elettore = un voto), per le altre tre categorie ogni voto è conteggiato come una frazione rispetto all’”intero”, secondo proporzioni predefinite: 8% per il personale tecnico-amministrativo, 5% per i ricercatori a tempo determinato, 2% per dottorandi e assegnisti. Attenzione, però: ognuna di queste percentuali illustra il rapporto di “peso elettorale” che intercorre tra le singole categorie considerate complessivamente, e non tra i singoli componenti di ogni categoria. Vediamo di fare un esempio, prendendo i dati riferiti allo scorso 31 dicembre e che quindi sono puramente indicativi: tra gli elettori, alla fine dello scorso anno c’erano 2.016 docenti di ruolo e 2.227 tecnici-amministrativi. I primi possono esprimere un numero di voti massimo (nell’ipotesi che tutti si rechino al voto) uguale al loro numero effettivo: 2.016. I tecnici-amministrativi, invece, presi nella loro totalità possono esprimere al massimo (sempre nell’ipotesi che tutti votino) un numero di voti pari all’8% dell’insieme dei docenti. L’8% di 2.016 è 161,28: ciò significa che i 2.227 tecnici-amministrativi hanno un “peso elettorale” pari al massimo a 161,28 voti (nel conteggio dei voti “pesati” valgono anche i primi due decimali), contro i 2.016 dei docenti. A questo punto, per verificare il “peso” del voto del singolo tecnico-amministrativo bisogna dividere 161,28 (numero massimo di voti esprimibili dalla categoria) per 2.227 (totale dei componenti della categoria): il risultato è 0,07 (in questo esempio usiamo solo i primi due decimali). Questo significa, per fare un altro esempio, che se su 2.227 tecnici-amministrativi si recassero alle urne in 1.000, il loro “peso” sarebbe pari a 1.000 X 0,07 = 70 voti. Supponendo poi che 600 di loro votassero il candidato A e 400 il candidato B, il numero di voti da loro espressi per A sarebbe pari a 600 X 0,07 = 42, mentre a B andrebbero 400 X 0,07 = 28 voti.

Ricordiamo che la nostra simulazione del “peso” del personale tecnico-amministrativo si basa su dati rilevati al 31 dicembre scorso, che quindi al momento del voto verranno aggiornati: solo allora sapremo veramente quanto valgono elettoralmente le diverse categorie, perché conosceremo il numero esatto di docenti di ruolo (che è il parametro base per definire il “peso” collettivo delle altre categorie) e il totale dei componenti di ogni categoria (che è il parametro che occorre per definire, all’interno di ogni categoria, il “peso” del singolo componente). Fa eccezione il Consiglio degli studenti: poiché è l’unica categoria, oltre ai docenti di ruolo, che esprime un voto “intero”, e il numero dei componenti del Consiglio è fisso, è il solo gruppo omogeneo di elettori del quale si conosce fin dall’inizio l’incidenza in termini elettorali: 44 voti, pari al numero dei componenti.

Il complesso meccanismo descritto per il personale tecnico-amministrativo si applica, per determinarne la forza elettorale, anche alle due categorie residue di aventi diritto al voto: per una di queste, l’insieme di assegnisti più dottorandi, la proporzione del “peso” collettivo è il 2%; per i ricercatori a tempo determinato, invece, la proporzione sale al 5%, ma con un importante correttivo: se il “peso elettorale” risultante di ciascun ricercatore a tempo determinato fosse superiore a metà di quello dei singoli docenti di ruolo, il primo andrà “corretto” riportandolo a metà. Chiariamo: supponendo che i ricercatori a tempo determinato siano 42 (dato del 31 dicembre scorso), il loro “peso” collettivo teorico sarebbe pari al 5% di 2.016, ossia 100,80 voti. Siccome al momento i ricercatori di questo tipo sono in numero limitato (è una categoria istituita pochi anni fa dalla legge Gelmini), il loro “peso elettorale” individuale, se applicato senza correttivi, sarebbe altissimo. 100,80 diviso 42 fa infatti 2,4: in questo modo, ogni voto di un ricercatore a tempo determinato varrebbe 2,4 contro 1 di un docente di ruolo. Per compensare questa anomalia, dunque, si applica il correttivo, e si stabilisce che il voto di un singolo ricercatore a tempo determinato possa valere, al massimo, 0,5: perciò, nell’ipotesi che tutti questi ricercatori (42) andassero a votare, potranno esprimere al massimo 42 X 0,5 = 21 voti ponderati.

Quanto alle schede bianche e nulle, anche queste vengono “pesate”, esattamente come i voti, a seconda della categoria che le esprime: e quindi ogni “non voto” ha un’incidenza numerica diversa: conta 1 per docenti di ruolo e studenti, mentre per le altre categorie vale frazioni differenti di 1, secondo i criteri spiegati prima.

Chiarito il meccanismo del “voto ponderato”, bisogna precisare che anche il quorum per la validità di ogni votazione si calcola sui voti “pesati”. Il “tetto” perché sia valida una votazione è pari alla metà del numero massimo dei voti ponderati esprimibili, arrotondato per eccesso alla prima unità intera. Cosa vuol dire? Spieghiamo: fatto il conteggio di tutti i voti potenzialmente esprimibili da tutte le categorie, ciascuna secondo il suo “peso” (seguendo l’esempio di prima, 2.016 voti per i docenti più 161,28 per i tecnici-amministrativi più 21 voti per i ricercatori a tempo determinato, eccetera), si prende il totale e lo si arrotonda per eccesso alla prima unità intera (esempio: totale voti esprimibili “pesati” = 2.596,81; arrotondamento = 2.597). La metà del numero arrotondato risultante è il quorum (nel nostro caso: 2.597 diviso 2 = 1.298,50). Ossia: affinché, nel nostro esempio, una votazione sia valida, dovrà recarsi alle urne una somma di elettori il cui “peso” totale, misurato secondo le categorie di appartenenza, sia pari ad almeno 1.298,50 voti ponderati.

Passiamo al quorum necessario per essere eletti. Nelle prime due votazioni, diventa rettore chi ottiene la maggioranza assoluta dei voti ponderati esprimibili. Dal momento che la somma dei voti ponderati comprende anche i primi due decimali, nell’esempio precedente sarebbe diventato rettore chi avesse ottenuto almeno 1.298,51 voti, ossia anche solo un centesimo di voto in più della metà. Se nessuno consegue la maggioranza assoluta nelle prime due votazioni, si va al ballottaggio: a questo partecipano solo i due candidati che abbiano ottenuto il maggior numero di voti nella seconda tornata, e prevale (senza necessità di raggiungere alcun quorum) il candidato che, tra i due, ottiene più voti. In caso di parità, vince chi ha maggiore anzianità nel ruolo di ordinario; in caso di ulteriore parità, si afferma il più giovane.

Il candidato vincitore è proclamato rettore in via provvisoria dal decano; scaduto il termine per eventuali ricorsi, seguono la proclamazione definitiva e la nomina da parte del ministro dell’Istruzione. Il neorettore entra in carica all’inizio dell’anno accademico successivo a quello della votazione: nel caso di Padova, il principio del mandato cade quindi il primo ottobre.

Martino Periti

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