UNIVERSITÀ E SCUOLA

Cinquanta anni di laurea in psicologia attraverso i giornali

Con l’anno accademico 2021-2022 ricorreranno 50 anni dall’istituzione del corso di laurea in psicologia di Padova: il primo in Italia, insieme a quello inaugurato all’università di Roma “La Sapienza”, a provvedere una formazione accademica interamente dedicata alla disciplina.

Il corso affonda le proprie radici nel secondo dopoguerra, quando un rinnovato interesse nei confronti della materia portò all’introduzione di numerose cattedre presso molti atenei italiani, per lo più di psicologia sperimentale. In quel periodo gli insegnamenti erano formalizzati in “istituti” caratterizzati da una singola cattedra e afferenti a facoltà come Medicina, Lettere, Filosofia o Magistero. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’Istituto di Psicologia presso la Facoltà di Magistero dell’Università di Padova fu presieduto da Fabio Metelli, che non mancò di supportare attivamente la proposta di un corso di laurea interamente dedicato alla formazione psicologica, avanzando proposte e confrontandosi con i colleghi di altri atenei.

Il dibattito sulla necessità di una formazione psicologica strutturata interessò i convegni della Società Italiana di Psicologia e le discussioni fra gli accademici, giungendo sino al Consiglio superiore del Ministero della Pubblica Istruzione e all’incarico, affidato nel 1970 ai professori ordinari di psicologia di tutti gli atenei, di redigere lo statuto e la struttura del futuro corso di laurea. Nel 1971, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, furono ufficialmente istituiti i primi due corsi di laurea in Psicologia d’Italia presso le università di Padova e di Roma.

Il percorso accademico aveva una durata di quattro anni, divisi in un primo biennio di base e un secondo biennio specialistico a scelta fra tre indirizzi. La notizia dell’attivazione del corso fu accolta tiepidamente dalla stampa locale, che ne diede notizia avanzando qualche riserva circa la spendibilità del titolo sul mercato del lavoro e inaugurando lo stereotipo dello “psicologo per amore”, oggi controbilanciato da una crescente sensibilizzazione sull’applicabilità della psicologia a ogni contesto della vita civile.

Nata in seno alla Facoltà di Magistero, in poco tempo Psicologia diventa il corso di laurea con più iscritti: oltre 10.000. Ma gli spazi restano a lungo inadeguati

Come è noto, gli anni ’70 furono un periodo particolarmente teso per la storia sociopolitica della Repubblica Italiana: a Padova la Facoltà di Magistero, che includeva il corso di laurea in Psicologia, divenne un punto di riferimento per la politica studentesca con la costituzione di collettivi di vario orientamento ideologico, che promuovevano il dibattito su temi all’epoca molto sentiti come il diritto allo studio e al lavoro, la parità di genere, il costo della vita e la gestione delle carceri e degli ospedali psichiatrici.

Molto presente era in particolare la sinistra extraparlamentare, organizzata in gruppi come il Comitato di lotta di Psicologia e il Movimento di lotta femminile, che difendevano le proprie istanze sia con metodi pacifici, come la conduzione di dibattiti e la diffusione di volantini, che con altri più incisivi, come le proteste e le occupazioni. Fra il 1976 e il 1979 vi fu un progressivo inasprimento del conflitto fra la Facoltà di Magistero e i collettivi studenteschi, i quali denunciavano lo sbilanciamento fra il numero di iscritti (vicino alle 10.000 unità solo per Psicologia) e l’offerta di spazi e personale non proporzionati: in quel triennio, in una facoltà sovraffollata e impreparata ad accogliere e monitorare il sovrannumero di studenti, aumentarono le manifestazioni e le occupazioni violente, che a volte sfociarono in atti di danneggiamento delle strutture e in episodi di violenza verso i docenti.

In risposta a eventi particolarmente aggressivi e allo scopo di ridurre le tensioni, il Consiglio di facoltà rispondeva con la chiusura precauzionale delle sedi didattiche e amministrative, ma tale misura non fu sufficiente ad impedire l’occupazione forzosa delle aule da parte degli attivisti e fu oggetto di reazioni contrastanti anche fra gli stessi docenti.

L’8 maggio 1978 il professor Guido Petter, ordinario di Psicologia dell’età evolutiva e iscritto al Partito Comunista Italiano (PCI), fu accolto nel suo studio da un gruppo di studenti militanti e colpito con calci e schiaffi. L’aggressione portò all’arresto di due giovani: Pietro Antonio Piccini, neolaureato in Psicologia che si difese parlando di uno “scherzo” mal riuscito, e Claudio Latino, studente di Psicologia. Nonostante l’introduzione di norme restrittive per la concessione di spazi per le assemblee e le affissioni di manifesti, le iniziative di intimidazione e aggressione contro i docenti si moltiplicarono. A marzo 1979 si raggiunse l’apice della violenza alla Facoltà di Magistero, con Psicologia in testa per numero di iscritti e fervore politico, e nell’arco di pochi giorni i professori Alberto Mazzocco, Giovanni Santinello e Arnaldo Cassini videro le proprie auto bruciare.

Il 14 marzo, di ritorno da una sessione di laurea, Guido Petter fu atteso sulla strada che lo portava alla sua abitazione di riviera Paleocapa da tre giovani col volto coperto che, armati di chiavi inglesi e martelli, lo colpirono alla nuca e alla schiena; riparatosi come poteva, il docente riuscì a rientrare a casa e fu poi trasportato in ospedale, dove ottenne la diagnosi di “trauma cranico con profonda ferita lacero-contusa al cuoio capelluto” e sette giorni di prognosi.

Durante il ricovero, Petter concedette alcune dichiarazioni alla stampa e ricevette le visite dei colleghi e i messaggi di solidarietà di accademici ed esponenti politici come Achille Occhetto. L’accaduto ebbe una notevole risonanza mediatica, fu oggetto di una interpellanza presentata dal PCI ai Ministeri dell’Interno e della Pubblica Istruzione ed ebbe come conseguenza la ripresa del dibattito sui problemi di sovraffollamento a Magistero.

Finalmente fra il 1979 e il 1980 vi fu un progressivo allentamento delle tensioni, e si iniziò a considerare la necessità di dare una sede adeguata agli studenti di Psicologia. Nel febbraio 1980 l’Ateneo si interessò all’acquisto di uno stabilimento da poco dismesso ad Abano Terme dall’industria farmaceutica Fidia, ma fu osteggiato dal comune e dalle associazioni di commercianti e albergatori del bacino termale, intimoriti dalle cronache universitarie degli ultimi anni. Dal 1982 si fece strada l’ipotesi di ristrutturare il corso di laurea e di regolamentare la professione dello psicologo, ma solo con la legge n. 56/1989 si sancì l’istituzione dell’Ordine Nazionale e degli ordini regionali, accessibili tramite superamento di un esame di Stato e iscrizione all’Albo professionale.

Negli anni ‘90 tornarono le mobilitazioni con la Pantera, un movimento studentesco diffusosi in tutta Italia per contestare la riforma Ruberti sull’autonomia statutaria delle università, che si distinse dai movimenti precedenti per la rinuncia alla violenza ma fu accolta in modo ambivalente dagli studenti, divisi fra favorevoli e contrari alla protesta. Fra il 1995 e il 2012 Psicologia, divenuta nel frattempo prima Facoltà e poi Scuola a sé stante, ottenne finalmente la costruzione e la messa in funzione di un vero e proprio Polo interamente dedicato ai suoi iscritti, decretando la fine del sovraffollamento e della mancanza di accentramento.

Oggi, a mezzo secolo dalla sua nascita, la Scuola di Psicologia accoglie con orgoglio l’elezione al rettorato della professoressa Daniela Mapelli, ordinaria e ricercatrice presso il dipartimento di Psicologia generale, prima donna a ricoprire la carica presso l’ateneo di Padova. Con questo lieto evento la Scuola saluta i suoi primi cinquant’anni e volge lo sguardo al futuro.

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