UNIVERSITÀ E SCUOLA

Matematica: il gap di genere emerge già in prima elementare

Uno studio condotto su quasi tre milioni di bambini e bambine in Francia mostra che il divario di genere nella matematica si manifesta fin dai primi mesi di scuola elementare. I risultati suggeriscono che il motivo per cui il rendimento delle ragazze in questa materia è mediamente più basso non sia legato né a fattori biologici, né un’esposizione particolarmente prolungata agli stereotipi di genere diffusi a livello sociale e culturale.
Il lavoro è stato pubblicato su Nature con la prima firma di Pauline Martinot, PhD alla Université Paris Cité, la quale lo ha codiretto insieme a Stanislas Dehaene, professore al Collège de France. Si tratta della più ampia ricerca realizzata finora per indagare l’origine di questo fenomeno.

Sono state considerate, in particolare, quattro coorti di studenti e studentesse che hanno iniziato la scuola primaria in Francia tra il 2018 e il 2021. Si tratta di un totale di quasi tre milioni (2.653.082) di giovani alunni e alunne tra i cinque, i sei e i sette anni, i quali sono stati sottoposti a una serie di test linguistici e matematici come previsto dal programma francese di valutazione EvalAide (évaluar pour mieux aider: valutare per aiutare meglio). I test sono stati effettuati, in particolare, all’inizio e a metà del primo anno di scuola elementare (che in Francia prende il nome di Cours Préparatoire o CP) e all’inizio del secondo anno di scuola elementare (chiamato Cours Élémentaire 1 o CE1).

Differenze precoci

In linea con i risultati di alcuni studi precedenti, Martinot e coautori non hanno rilevato differenze di genere nel rendimento scolastico tra i bambini e le bambine che avevano appena iniziato la primaria. Hanno invece scoperto che, dopo soli quattro mesi di scuola, i bambini iniziavano in media a ottenere risultati migliori in matematica rispetto alle loro compagne. Questo divario tendeva inoltre ad ampliarsi con il tempo.

“Diversi studi indicano che bambini e bambine in età prescolare non mostrano differenze per quanto riguarda il cosiddetto number sense (“senso del numero”), considerato un requisito di base, innato, per l’apprendimento matematico (e oggetto di studio, tra l’altro, anche di uno degli autori che ha coordinato la ricerca, il neuroscienziato cognitivo Stanislas Dehaene)”, commenta Maria Chiara Passolunghi, professoressa ordinaria di psicologia dello sviluppo e psicologia dell’educazione e docente del corso di apprendimento matematico: valutazione e intervento all’università di Trieste. “È quindi sorprendente scoprire che, dopo appena quattro mesi dall’inizio della scuola primaria, si iniziano già a osservare delle differenze di genere, le quali tendono ad amplificarsi durante il percorso scolastico. Colpisce anche il fatto che questo divario sia stato riscontrato in tutto il territorio francese, a prescindere dalla regione, dal tipo di scuola, dallo status socioeconomico della famiglia o dal livello di formazione scientifica dei genitori, anche se paradossalmente è più marcato quando entrambi i genitori hanno un’occupazione in ambito scientifico”.

Gli autori hanno riscontrato un trend opposto per quanto riguarda le competenze linguistiche, con un leggero vantaggio a favore delle bambine. Tuttavia, come sottolinea Passolunghi, in questo caso il divario è molto meno marcato (essendo circa dieci volte inferiore rispetto a quello nella matematica), si manifesta già prima del percorso scolastico e non tende a crescere con la stessa rapidità nel corso del tempo.

Martinot e coautori hanno inoltre osservato meno differenze tra i bambini della coorte del 2019, che a causa della pandemia hanno perso circa cinquanta giorni di scuola tra il secondo e il terzo test. In quel periodo, il divario in matematica (ma non quello linguistico) tra i due gruppi è aumentato molto meno rispetto a quanto accaduto tra gli studenti delle altre coorti, avvalorando l’ipotesi secondo la quale queste disuguaglianze non abbiano basi biologiche, ma derivino piuttosto dall’esperienza scolastica.

Tale ipotesi è supportata anche da un’altra osservazione: le differenze nel rendimento in matematica non compaiono a un’età specifica, ma sono legate piuttosto all’inizio della scolarizzazione.
In Francia, si inizia la prima elementare nell’anno solare in cui si compiono sei anni. Ciò significa, ad esempio, che sia i bambini nati a gennaio 2014, sia quelli nati a dicembre dello stesso anno, hanno iniziato la scuola primaria nel settembre 2020, pur avendo quasi un anno di differenza. Tutti loro, però, a prescindere dall’età, hanno iniziato a mostrare gli effetti del divario di genere nello stesso periodo.
Allo stesso modo, alunni nati a dicembre 2014 e a gennaio 2015 – a solo un mese di distanza – hanno cominciato la scuola sfalsati di un anno; ma nonostante l’età molto simile, le differenze di genere legate all’apprendimento della matematica non si sono manifestate per loro nello stesso momento, bensì solo quando ognuno di loro aveva accumulato alle spalle qualche mese di scuola.

Stereotipi impliciti ed espliciti

Per quanto lo scopo dello studio di Martinot e coautori fosse puramente descrittivo e non finalizzato quindi a indagare le cause del divario di genere nella matematica, gli studiosi hanno avanzato comunque alcune ipotesi a riguardo.

Come osserva anche Passolunghi, una di queste potrebbe riguardare lo stereotipo, ancora oggi molto diffuso, secondo cui la bravura in matematica sia una qualità più tipicamente maschile. La professoressa ha indagato in più di un’occasione gli stereotipi espliciti e impliciti legati alle competenze matematiche in un’ottica di genere. “In una di queste ricerche – racconta – abbiamo osservato che bambini e bambine della classe terza primaria, se interrogati direttamente con domande del tipo: sono più bravi i maschi o le femmine in matematica? tendono a mostrare il cosiddetto effetto in-group: i bambini affermano di essere loro i più bravi, e lo stesso dicono le bambine di loro stesse.
Col tempo, però, la credenza stereotipica scompare, e i bambini e le bambine iniziano a rispondere che la bravura in matematica non sia legata al genere.
Allo stesso tempo, però, emerge un’associazione più sottile e implicita. Attraverso metodi di valutazione volti ad analizzare comportamenti e atteggiamenti non dichiarati, si è osservato che sia i bambini che le bambine tendono a ricondurre maggiormente, e in maniera inconsapevole, le competenze matematiche al genere maschile. Quest’associazione è molto radicata e si rafforza con l’età.

È possibile che questi stereotipi influenzino anche il comportamento gli insegnanti, che potrebbero trattare involontariamente in modo diverso i bambini e le bambine; ad esempio, riconducendo il successo dei bambini al talento e quello delle bambine al duro lavoro, o reagendo all’errore commesso da un alunno con più sorpresa rispetto a uno commesso da un’alunna. Simili stereotipi, quando vengono interiorizzati, influenzano le credenze che abbiamo riguardo alle nostre stesse competenze; di conseguenza, modificano anche il nostro comportamento”.

Gli stessi stereotipi, ipotizzano Martinot e coautori, potrebbero essere perpetrati, altrettanto involontariamente, anche in famiglia, da parte dei genitori, che potrebbero stimolare maggiormente le capacità logiche nei bambini e quelle linguistiche nelle bambine attraverso i giochi e gli altri tipi di attività proposti durante il tempo libero.

Inoltre, come segnalano Martinot e coautori, le ragazze corrono un rischio maggiore, rispetto ai ragazzi, di sperimentare ansia per la matematica. “L’ansia per la matematica riduce le risorse cognitive, influisce sulla memoria e sulle capacità di risoluzione dei problemi, impattando negativamente sul rendimento in questa materia”, spiega Passolunghi. “Acuisce inoltre la paura di sbagliare.
Proprio come con le parole, anche con i numeri si può giocare ed esplorare, sviluppando così il pensiero logico. Quando però la paura di commettere un errore diventa un ostacolo insormontabile, questa dimensione ludica e creativa si perde.

È possibile che il motivo per cui le bambine mostrano in media livelli più alti di ansia per la matematica rispetto ai coetanei maschi sia legato proprio a questi stereotipi di genere interiorizzati, che minano il loro senso di autoefficacia, influenzando negativamente la loro fiducia in sé stesse. Una ricerca condotta della scienziata cognitiva Sian Beilock ha mostrato, addirittura, che le insegnanti donne possono trasmettere involontariamente la propria ansia per la matematica alle alunne (ma non agli alunni) contribuendo così a rafforzare questo circolo vizioso.

È importante, quindi, promuovere un’educazione che riduca la paura dell’errore in tutti gli studenti, ma soprattutto nelle bambine, che tendono a viverlo con maggiore ansia. Viene infatti da chiedersi come cambierebbero le prestazioni delle bambine se fossero libere da questo fardello emotivo.

Anche per questo motivo, come suggeriscono i ricercatori, sarebbe utile promuovere corsi di formazione per insegnanti orientati proprio alla conoscenza di questi stereotipi e dei comportamenti discriminatori anche involontari che questi possono veicolare”.

Verso un’istruzione equa e una scuola democratica

“Martinot e coautori hanno condotto una ricerca di grande valore: sono stati coinvolti milioni di bambini e bambine, un numero enorme per uno studio in psicologia sperimentale”, continua Passolunghi. “Proprio per questo, mi auspico che diventi un punto di partenza importante per l’esplorazione dei tanti fattori, spesso intrecciati, alla base del divario di genere nella matematica e la pianificazione di interventi più mirati e precoci per contrastare questo fenomeno.

Nonostante sia importante continuare a organizzare progetti che favoriscano la partecipazione delle ragazze nei campi STEM alle medie e alle superiori, spesso a quell’età gli stereotipi sono già radicati. Per ottenere un reale cambiamento, bisogna agire fin dalla prima infanzia: attraverso i giochi, le attività quotidiane e i messaggi che trasmettiamo. I bambini e le bambine interiorizzano ruoli e aspettative fin dalla più tenera età. Di conseguenza, anche l’equità deve cominciare allora. Solo portando alla luce quei pregiudizi che inconsapevolmente orientano il nostro comportamento possiamo iniziare a cambiarlo: ad esempio, incoraggiando le bambine a giocare e a sperimentare con la matematica tanto quanto i bambini, sia a scuola che in famiglia.

È giusto, naturalmente, che ogni studente e studentessa segua il percorso che preferisce; il nostro scopo non è certo quello di costringere le ragazze a intraprendere carriere scientifiche contro la loro volontà, bensì quello di garantire, attraverso la scuola, le stesse opportunità di apprendimento a ognuno, in modo tale che la scelta del percorso futuro sia libera e non condizionata dall’effetto degli stereotipi.

Garantire a tutti e a tutte una formazione matematica adeguata significa inoltre avere dei cittadini e delle cittadine consapevoli e meno manipolabili. Persone in grado, ad esempio, di leggere una statistica, comprendere i risultati di un’elezione, riconoscere un’inferenza logica sbagliata e decodificare correttamente le informazioni, anche quelle che contengono dati numerici. La matematica favorisce lo sviluppo delle competenze logiche e del pensiero critico, requisiti fondamentali per diventare cittadini e cittadine consapevoli. Perciò, impegnarci come società per colmare il divario di genere nella matematica non è importante solo dal punto di vista educativo, ma anche una questione di etica pubblica”.

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