SCIENZA E RICERCA
Fari puntati al cielo e soli artificiali: osservazioni a rischio
La Via Lattea in una fotografia più esposizioni. Nei nostri cieli ormai è praticamente impossibile riuscire a scorgerla a occhio nudo. Foto: REUTERS/NASA, ESA, Z. Levay and R. van der Marel (STScI), and A. Mellinger/Handout
È stato lanciato nello spazio da pochi giorni e ha già fatto storcere il naso a più d’uno nella comunità scientifica e non. Humanity Star, questo il nome del satellite, è un oggetto in fibra di carbonio che orbita intorno alla Terra e riflette i raggi solari attraverso i 65 elementi triangolari che compongono la struttura geodetica. È del tutto simile a una palla stroboscopica, è visibile da qualsiasi punto della Terra e nei prossimi mesi sarà uno degli oggetti più luminosi della volta celeste. Il progetto pare non avere particolari scopi scientifici, ma solleva piuttosto questioni legate a problemi di inquinamento luminoso cui contribuiscono oggetti di questo tipo. Senza contare che il satellite va a ingrossare le fila dei detriti spaziali che inquinano l’orbita terrestre.
Se la spazzatura spaziale non crea particolari problemi alle attività di ricerca scientifica degli astronomi da terra, quanto piuttosto agli altri satelliti in orbita (da quelli per le telecomunicazioni a quelli meteorologici), diversa è la situazione in presenza di inquinamento luminoso. “Questo fenomeno sostanzialmente aumenta la luminosità del cielo notturno – spiega Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio astronomico di Padova dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) -. E molte delle osservazioni astronomiche che si fanno oggi sono rivolte a soggetti estremamente deboli, si cerca di raccogliere pochi fotoni e di distinguerli dal fondo del cielo”. Diventa più difficile dunque il lavoro per gli scienziati. Per questo nei luoghi in cui esistono strutture molto più grandi rispetto a quelle esistenti ad Asiago, dove comunque si trovano i maggiori telescopi dell’Inaf gestiti dall’Osservatorio padovano, ci sono leggi molto più restrittive di quelle che esistono nella nostra regione. E per questo si tende a costruire i telescopi in posti remoti, in contesti come i deserti o le Ande cilene. Eppure fare in modo che la luce non provochi disturbo alle osservazioni astronomiche porta con sé effetti di non secondaria importanza anche per la comunità: una maggiore illuminazione dove la gente la desidera e un risparmio (anche in termini di spesa) di corrente elettrica. Ragazzoni fa un esempio. “La legge regionale in materia di inquinamento luminoso prevede che per illuminare l’ambiente urbano si utilizzino flussi luminosi diretti dall’alto verso il basso. Ebbene, l’impianto di illuminazione di un parcheggio che non sia progettato a norma e che emetta una frazione consistente di luce verso l’alto fa sprecare corrente elettrica a chi l’ha costruito, non illumina la zona dato che la luce è proiettata verso l’alto, non garantisce né la sicurezza delle auto né delle persone e disturba le osservazioni astronomiche”.
La Regione Veneto, nello specifico, si è dotata di specifiche leggi che regolamentano la materia. Con la Legge n. 22 del 1997, Norme per la prevenzione dell’inquinamento luminoso, e poi la Legge Regionale 7 agosto 2009, n. 17 , Nuove norme per il contenimento dell’inquinamento luminoso, il risparmio energetico nell’illuminazione per esterni e per la tutela dell’ambiente e dell’attività svolta dagli osservatori astronomici, la Regione si è posta come obiettivo la riduzione dell’inquinamento luminoso e dei consumi energetici che ne derivano. Di non secondaria importanza la volontà di proteggere dall’inquinamento luminoso l’attività di ricerca scientifica svolta dagli osservatori astronomici, l’ambiente naturale, i beni paesistici e la “visione del cielo stellato, nell’interesse della popolazione”. Già perché, commenta Giampaolo Piotto del dipartimento di Fisica e astronomia “Galileo Galilei” dell’università di Padova, il problema va anche al di là del lavoro degli astronomi, nella misura in cui ogni cittadino viene privato dello spettacolo della natura.
Proprio alla legge del 2009 si appellano molti di quanti in queste settimane protestano contro una recente iniziativa per le celebrazioni del centenario di Porto Marghera: l’accensione di un faro, Ramses II, che proietta verso l’alto un fascio di luce di 12.000 metri e della potenza di 72.000 watt, e che avrebbe lo scopo simbolico di ricordare come il futuro delle nuove generazioni sia legato a quest’area. In molti, tra cittadini ed esponenti della comunità scientifica, esprimono il loro disappunto e tra questi l’International Astronomical Union e l’Unione astrofili italiani. C’è poi chi avanza soluzioni alternative, come Roberto Ragazzoni che in una lettera al sindaco di Venezia suggerisce non tanto di spegnere ma di diminuire i tempi di attivazione del faro. La proposta è di intitolare un asteroide a Marghera e di accendere il fascio luminoso per pochi minuti tre volte al giorno, tutte in prima serata, attorno a ogni istante in cui tre pianeti extrasolari passano sulla verticale del faro. “Il consumo di energia elettrica indipendentemente da chi sia il soggetto a pagare la bolletta, scende praticamente a zero – scrive il direttore nella lettera pubblicata sul suo profilo Facebook –. Il faro continua ad avere ragione di essere per tutta la durata dell’evento e offre uno spettacolo più raro e atteso, e quindi più gratificante per chi vorrà coglierlo”. Senza contare che esistono industrie, anche sul territorio, che oggi ruotano intorno alla scoperta del cielo e all’esplorazione spaziale.
È evidente che il problema dell’inquinamento luminoso è particolarmente sentito dalla comunità scientifica, ma anche dai cittadini. La Via Lattea è stata cancellata dal nostro cielo e si vedono sempre meno fenomeni come le ‘stelle cadenti’ e le aurore che invece si potevano ammirare nei secoli scorsi. Spettacoli della natura a cui invece non si dovrebbe rinunciare.