SCIENZA E RICERCA

In fondo al mare il più grande museo del mondo

‘Il patrimonio culturale subacqueo è costituito da tutte le tracce di esistenza umana che abbiano carattere culturale, storico o archeologico, e che siano o siano state parzialmente o totalmente sommerse da almeno cento anni’: siti, strutture, edifici, resti umani, navi, aerei ed altri veicoli affondati con il loro carico, insieme al loro contesto archeologico e naturale e infine, oggetti di carattere preistorico. Ecco perché il patrimonio custodito dai fondali delle acque interne ed esterne, è considerato il più grande museo del mondo. 

A darne questa definizione è la Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo adottata a Parigi il 2 novembre 2001 dagli Stati membri dell'UNESCO (ratificata dall’Italia nel 2009) che prevede misure di prevenzione e tutela per questa tipologia di beni.

Da sempre crocevia delle rotte che collegavano l’oriente e l’occidente e i tanti continenti affacciati sul Mediterraneo, l’Italia ha custodito nei suoi fondali fin dai secoli più antichi un patrimonio archeologico sommerso tra i più ingenti al mondo. “Con oltre 7.000 km di coste e una posizione centrale nel bacino del Mar Mediterraneo, insieme a Grecia e Tunisia, il nostro Paese custodisce un patrimonio marittimo sommerso, sia in acque interne che esterne, molto complesso e a tutt’oggi ricchissimo di materiali ancora inediti” racconta Giovanna Bucci docente all’università di Padova e responsabile scientifico della Federazione Italiana n.7 della Confédération Mondiale des Activités Subaquatiques (CMAS Diving Center Italia). “Il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo ha provveduto ad un primo censimento di questo patrimonio relativo all’Italia meridionale ma resta ancora da studiare l’area di costa che percorre l’Italia dal centro al nord”. Il censimento effettuato dal MiBACT attraverso il progetto ‘Archeomar’ a partire dal 2004 ha permesso di localizzare, rilevare, documentare e catalogare lungo le coste di Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Lazio e Toscana oltre 1.500 siti sommersi.  “Ancora poco diffusa resta l’indagine delle acque interne – prosegue Bucci - quindi laghi (naturali e artificiali), fiumi, lagune, un mondo straordinario ancora in gran parte sconosciuto. Proprio sui laghi artificiali stiamo facendo una sperimentazione sul monitoraggio archeologico subacqueo grazie a una collaborazione tra Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Bologna e le province di Modena, Reggio Emilia e Ferrara e CMAS Diving Center Italia, ma molto resta da scoprire in tutto il mondo e soprattutto nel Mare nostrum, culla della cultura dalla Protostoria, al Rinascimento, ai giorni nostri”.

Negli ultimi anni il perfezionamento delle tecniche di immersione e di studio, delle attrezzature e degli equipaggiamenti, hanno permesso di raggiungere profondità maggiori e zone ancora inesplorate e questo, se da un lato ha reso più accessibile il patrimonio sommerso, dall’altro lo ha esposto a rischi maggiori. “Ad oggi una legislazione che definisca la figura professionale dell’archeologo subacqueo è ancora lacunosa– spiega Bucci – ma stiamo lavorando con una commissione, che vede la collaborazione dell’Università di Padova, di Udine, le Soprintendenze di Veneto, Friuli, Emilia Romagna, Toscana insieme alla Soprintendenza del Mare di Palermo, per il riconoscimento di questo ruolo, perché questa figura necessita di una formazione tecnico-scientifica specifica, fatta di studio ma anche di allenamento e preparazione metodologica.

Il mondo dell’università, in questo senso, è impegnato con progetti, ricerche, iniziative, percorsi di studio e a Padova è intenso l’impegno didattico che vede la collaborazione di numerose strutture, dal Las - Laboratorio di archeologia subacquea al CMAS, allo stesso dipartimento dei Beni culturali; ma la ricerca archeologica purtroppo è ancora poco sostenuta, soprattutto nel nostro Paese. “Sono attive diverse collaborazioni con Paesi esteri in ambito europeo ed extraeuropeo – spiega Bucci -, che mettono a disposizione fondi e finanziamenti ma spesso chi fa di più sono i piccoli comuni offrendo strutture, spazi, mezzi, materiali e risorse con grande generosità. E questo purtroppo, non può e non deve bastare”. 

Francesca Forzan

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