UNIVERSITÀ E SCUOLA

I geni ci dicono davvero che voto prenderò a scuola?

Il titolo è accattivante: Predicting educational achievement from DNA (prevedere i risultati scolastici dall’analisi del DNA). L’idea è antica: l’intelligenza (anche scolastica) è scritta nei nostri geni ed è ereditabile. Anche se, nel corso della storia, questa idea è stata più volte screditata. Ma stavolta Saskia Selzam, dottoranda in Social Genetic and Developmental Psychiatry presso il King's College di Londra è convinta di aver colto nel segno, grazie ai risultati di una ricerca pubblicata nei giorni scorsi su Molecular Psychiatry. Siamo in grado di fare buone previsioni sul successo scolastico di un ragazzo, sostengono Saskia Selzam e un gruppo internazionale di alti ricercatori che hanno firmato l’articolo, analizzando il suo DNA.

Selzam e colleghi hanno analizzato il genoma di 5.825 ragazzi intorno ai 16 anni di età del Regno Unito, classificando per ciascuno 20.000 varianti genetiche che, nella letteratura scientifica, sono state in qualche modo associate al rendimento scolastico. Hanno così ottenuto un polygenetic score, un punteggio multigenico, per ciascun ragazzo.

Poi hanno analizzato i risultati conseguiti da ciascuno dei 5.825 ragazzi all’esame GCSE (General Certificate of Secondary Education), una prova prevista nel sistema educativo del Regno Unito. All’esame vengono assegnati quattro punteggi, in ordine decrescente: A, B, C e D. Ebbene, i ragazzi con il più alto “polygenetic score” (la fascia del 15% dei ragazzi col “polygenetic score più alto) hanno ottenuto A o B agli esami, mentre i ragazzi con il “polygenetic score” più basso (la fascia del 15% dei ragazzi con il “polygenetic score” più basso) hanno ottenuto C o D all’esame. Ma a Saskia Selzam e colleghi appare molto significativo il fatto che il 65% dei ragazzi con il “polygenetic score” più alto abbiano ottenuto A all’esame, mentre solo il 35% dei ragazzi con il “polygenetic score” più basso sia riuscito a fare altrettanto.

Questi dati non consentono affatto di parlare di “determinismo genetico”. Tutt’al più sembrano indicare che esiste una correlazione statistica tra un complesso e non rigido insieme di geni (in realtà, un paniere di 20.000 varianti genetiche) e il rendimento scolastico. Questa correlazione statistica potrebbe indicare che nei geni possiamo trovare non la chiave del successo assoluto, ma solo una certa propensione. Una propensione che non impedisce a più di un terzo di chi possiede le “varianti cattive” di raggiungere comunque il massimo dei risultati scolastici.

Già, ma quanto un risultato scolastico è determinato dai geni (da un pool cangiante di varianti genetiche) e quanto dall’ambiente (cognitivo, sociale, economico)? Saskia Selzam hanno fatto un po’ di conti e hanno stabilito, con una certa soddisfazione, che i “geni buoni” pesano per il 9% nel rendimento scolastico di un individuo. La soddisfazione deriva dal fatto che in studi analoghi condotti in precedenza il peso genetico sul rendimento scolastico non andava oltre il 2 o il 3%.

Se questi fossero i numeri “giusti”, ne dovremmo dedurre che il rendimento scolastico è dovuto, per almeno il 91%, all’ambiente (cognitivo, sociale, economico). Ma il 91% è quasi prossimo al 100%. Per cui dovremmo dire – se fosse fondata la separazione tra geni e ambiente – che il rendimento scolastico è quasi completamente determinato dall’ambiente. Più che di determinismo genetico, dovremmo parlare di determinismo ambientale.

In realtà, il rendimento scolastico è frutto di un così vasto insieme di variabili (incluso il “libero arbitrio” della persona, quasi mai preso in considerazione) che ogni ricerca intesa a individuare le cause deterministiche si espone alla possibilità di grossi errori. Per esempio, in una meta-analisi (un sunto di diversi studi) su coppie di gemelli pubblicata nel 2015 su Trends in Neuroscience and Education, tre ricercatori (Eveline L. de Zeeuwa, Eco J. C. de Geus e Dorret I. Boomsma) sostengono di poter affermare che c’è una componente ereditaria (quindi genetica) nel 73% della capacità di scrittura, nel 49% della comprensione della lettura, nel 57% delle performance matematiche, nel 44% dell’ortografia, nel 64% del linguaggio e, in generale, del 66% dei risultati scolastici. Ma poi aggiungono: “L’importanza degli effetti genetici cambia da paese a paese. È molto alta in Olanda ma non è sempre vera negli USA e nel Regno Unito”.

Viene da chiedersi: come mai i geni si impongono nelle scuole di Amsterdam e si ritirano dalle scuole di Londra o New York?

Le risposte possibili sono due. E non alternative. La prima è che, per quanto riguarda comportamenti complessi di una persona, come il rendimento a scuola, non c’è alcuna forma possibile di determinismo (né genetico né ambientale). Si può parlare più di geni e di ambienti che predispongono a un certo rendimento. Chi nasce in una famiglia povera e scarsamente istruita del Bronx ha minori probabilità di vincere un Nobel di chi nasce in una famiglia ricca e colta della City di Londra. Ciò non toglie che anche tra le famiglie disagiate del Bronx possa nascere un Nobel (ovvero una persona che realizza tutte le sue potenzialità cognitive). E compito della scuola dovrebbe essere, per l’appunto, quello di fare in modo che tutti coloro che hanno alte potenzialità cognitive, siano del Bronx o della City, le possano esprimere al meglio. Un discorso analogo vale per l’ereditarietà. Non tutti i geni hanno figli a loro volta geni; e non tutti i geni vengono da famiglie con i “geni buoni”, ammesso che esistano i “geni buoni”.

La seconda risposta è che non è possibile pesare i geni e l’ambiente nel determinare comportamenti complessi che sono, per loro natura multifattoriali. Per il semplice motivo che, come i biologi vanno comprendendo sempre meglio, non esistono “geni in una vasca”. Il genoma umano, come quello di ogni essere vivente, si esprime nell’ambiente. E, dunque, si dovrebbe parlare (e studiare) l’insieme inscindibile genoma/ambiente. Ogni scorciatoia – come hanno saggiamente ammonito biologi del calibro si Stephen Jay Gould e Richard Lewontin – espone a dei rischi: non solo scientifici, ma anche sociali.

Pietro Greco

 

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