Ulivi morti a causa della Xylella in Puglia. Foto: Christian Jungeblodt/laif
Giovedì 17 maggio la Commissione europea ha deferito l'Italia alla Corte di giustizia europea per non aver adeguatamente impedito l'ulteriore diffusione di Xylella fastidiosa in Puglia, il batterio responsabile della sindrome di disseccamento nota come “Co.Di.R.O.” (Complesso di Disseccamento Rapido dell'Olivo).
“Le autorità italiane non stanno adottando le misure necessarie all'eradicazione dell'organismo nocivo da quarantena” si legge nel comunicato stampa diffuso da Bruxelles e “di conseguenza, non hanno arrestato la sua diffusione”.
Xylella fastidiosa è un batterio aerobico gram-negativo che si moltiplica nei vasi xilematici delle piante ospiti, ovvero quei vasi attraverso cui i nutrienti, l'acqua e le sostanze minerali, vengono trasportati dalle radici all'apparato superiore. L'accumulo del batterio può portare all'occlusione dei vasi e ad alterazioni della pianta anche letali.
La Xylella si trasmette attraverso un insetto vettore, che nel caso dell'ulivo pugliese è la cosiddetta “mosca sputacchina” (Philaenus spumarius); quest'insetto si riproduce solitamente nell'erba alla base delle piante e si nutre della linfa contenuta nei vasi xilematici. Una volta entrato in contatto con una pianta infetta, trasmette il batterio a quelle sane.
Il batterio si caratterizza per un'elevata variabilità genetica e fenotipica, ciò significa che al mondo ne esistono diverse varietà, ciascuna delle quali è ospite-specifica, ovvero specializzata a infettare una determinata pianta.
“ L'azione del patogeno era già nota in California alla fine del 1800
A fine 1800 il patologo vegetale Newton B. Pierce aveva descritto l'azione patogena di questo batterio sulla vite californiana: la “malattia di Pierce” aveva causato già allora ingenti danni all'industria vinicola della California. Intorno agli anni '90 del '900 la Xylella aveva fatto la sua ricomparsa negli Stati Uniti e nello stesso periodo altri casi simili sono stati riscontrati su altre piante in giro per il mondo: in Brasile ad esempio, Xylella è stata identificata come causa della “clorosi variegata degli agrumi”. Oggi al mondo sono note almeno 5 sottospecie di Xylella fastidiosa (fastidiosa, multiplex, pauca, sandyi, tashke), ciascuna specializzata in una o più piante, come vite, mandorlo, oleandro, agrumi, olivo, susino, pesco, pero, caffè e altre ancora.
“ I tempi di incubazione sono estremamente lunghi
Il periodo di incubazione della malattia è di solito molto lungo, da qualche mese a un anno e talvolta anche di più. Ciò comporta che eventuali infezioni possono sfuggire a controlli ravvicinati alla contrazione dell'infezione ed è dunque necessario un monitoraggio continuo.
La prima notifica di focolaio di Xylella fastidiosa in Puglia è avvenuta nell'ottobre 2013 e in particolare nell'area olivicola di Gallipoli, in Salento.
È stato quindi disposto, come previsto dal protocollo per gli organismi patogeni da quarantena, un piano di contenimento che prevedeva l'eradicazione delle piante infette e l'istituzione di una zona cuscinetto (che inesorabilmente negli ultimi anni è slittata sempre più a nord).
Il provvedimento però è stato mal accolto dal cosiddetto “popolo degli ulivi”. Si sono rincorse per tutto il Salento, per la rete e per diversi organi di stampa (locali e nazionali), voci relative alla volontaria introduzione di un batterio costruito in laboratorio e agli interessi di una multinazionale che avrebbe puntato a sostituire i secolari ulivi pugliesi, simbolo identitario di una terra e di un popolo, con varietà geneticamente modificate; o ancora per conquistare il mercato con la vendita di fitofarmaci, pesticidi e diserbanti, rigorosamente chimici.
Video documentario informativo realizzato dagli studenti del liceo "Quinto Ennio" di Gallipoli in collaborazione con l'Università di Bari
Il “caso Xylella” è definitivamente scoppiato il 18 dicembre 2015 quando la procura di Lecce si è interposta alla realizzazione del piano di contenimento, noto come piano Silletti, dal nome del commissario straordinario per l'emergenza Xylella. La procura ha sequestrato gli ulivi oggetto dell'abbattimento, in quanto non riteneva vi fosse un nesso causale tra i fenomeni di disseccamento e l'infezione da Xylella fastidiosa; ha aperto un'indagine contro dieci persone tra cui ricercatori universitari e funzionari della regione Puglia, nonché contro lo stesso commissario straordinario Silletti, rei della diffusione colposa del batterio killer, secondo la grave tesi accusatoria.
La procura di Lecce sosteneva questa tesi facendo leva su perizie (coperte da segreto istruttorio e dunque non rese note nel momento in cui l'indagine è partita) che scavalcavano le ricerche condotte da scienziati che lavorano nel campo della fitopatologia e che andavano a sostegno dell'attuazione del piano Silletti per il contenimento dell'infezione.
La gravità di quest'azione legale sta nel fatto che la procura di Lecce si è voluta sostituire alla comunità scientifica per muovere le sue accuse, si è fatta forte di un'autorità scientifica che non le compete. Le perizie impugnate dalla procura ipotizzavano che il batterio fosse presente in Puglia da molto tempo e che dunque parlare di emergenza fosse ingiustificato; inoltre veniva ipotizzata la presenza di nove ceppi del batterio, propendendo dunque per una maggiore cautela prima dell'attuazione del piano di contenimento. Queste perizie erano state compiute da consulenti del tribunale e non da ricercatori che pubblicano i loro lavori su riviste scientifiche internazionali e nei rapporti dell'Efsa (European food safety authority). Persino sulle pagine di Nature la comunità scientifica ha espresso scetticismo riguardo alla liceità dell'azione della procura di Lecce.
Nel luglio 2016 la Procura ha dissequestrato i 2.223 alberi di olivo interessati dall'ordine di abbattimento. La tesi accusatoria è crollata quando la presenza dei nove ceppi distinti è stata smentita. Le analisi genetiche hanno individuato un'unica sottospecie associata a Co.Di.R.O.: Xylella fastidiosa, sottospecie pauca, ceppo codiro. Poiché si pensa che la frequenza di mutazione impieghi circa 15 anni a generare una nuova varietà, l'ipotesi oggi più accreditata è che il batterio sia arrivato in Puglia non più di 15 anni fa tramite il commercio di piante ornamentali. Le stesse caratteristiche genetiche della varietà del batterio pugliese infatti sono state trovate, nel 2015, in alcune piante di oleandro in Costarica e in piante di caffè intercettate in Francia e in Olanda, provenienti dal Costarica.
Nel 2016 l'Italia era già stata messa in mora dall'Unione europea per la mancata soluzione dell'emergenza xylella. Il commissario europeo alla salute, Vytenis Andriukaitis, aveva annunciato all'allora ministro Martina la procedura di infrazione che aveva scatenato la reazione degli olivicoltori e del governatore pugliese Emiliano, contrari agli abbattimenti.
Esattamente due anni dopo l'azione della procura, il 18 dicembre 2017, viene pubblicato il lavoro su Scientific Reports, a firma proprio di alcuni dei ricercatori indagati (Maria Saponari, Donato Boscia e Vito Nicola Savino) che dimostra come Xylella fastidiosa sia la causa della sindrome di disseccamento rapido degli olivi.
Il ritardo nell'azione di contenimento non è certamente rimasto senza conseguenze e l'industria olivicola italiana oggi potrebbe essere seriamente a rischio. I focolai di infezione si sono estesi dalla provincia di Lecce a quella di Brindisi, a quella di Taranto e ora bussano alle porte della provincia di Bari: il 23 maggio il comitato europeo per la salute delle piante ha approvato la proposta della Commissione europea di estendere l'attuale area di quarantena per Xylella in Puglia di circa 20 km verso il nord della regione, arrivando fino a Monopoli, a 43 chilometri dal capoluogo barese.
A conclusione del monitoraggio 2017/2018 si è registrato un incremento altissimo di piante infette, rispetto al monitoraggio della stessa area nell’anno precedente (2016/2017). Gli individui campionati e risultati positivi nelle zone cuscinetto e contenimento sono nell'ordine dei 3000, contro le 893 piante del precedente monitoraggio.
Oggi il governatore Emiliano si dice pronto a collaborare con l'Europa e il ministero dell'Agricoltura, e secondo il presidente del Cno (Consorzio nazionale degli olivicoltori) Gennaro Sicolo: “La Commissione europea, oltre a decretare ancora una volta il fallimento di chi era chiamato a controllare l’avanzata del batterio della Xylella, certifica il pericolo di morte per altri trenta milioni di ulivi e 70.000 aziende che vivono di olivicoltura. È fondamentale – conclude Sicolo in una nota (riportata qui) – dar seguito agli ultimi buoni propositi manifestati sbloccando i fondi per il ristoro delle aziende colpite, sostenendo la ricerca seria per provare ad arginare il batterio, e iniziando concretamente il reimpianto delle varietà di ulivi resistenti (come la varietà Leccino, resistente ma non immune, ndr) nella zona infetta, per non perdere quella tradizione millenaria che ha contraddistinto la Puglia, punta di diamante dell’olio extravergine d’oliva di qualità a livello nazionale ed internazionale”.
Se da un lato gli olivicoltori sono propensi a collaborare con le istituzioni per provare ad arginare l'avanzata dell'epidemia, attuando le misure di manutenzione prescritte, alcuni esponenti del popolo degli ulivi sono ancora convinti che dietro la questione Xylella ci siano interessi non dichiarati, come ha dimostrato la manifestazione di Bari del 25 maggio scorso.
Lo stesso giorno Gennaro Sicolo ha fatto un esposto, depositato alla Procura di Bari, contro chi divulga notizie false e infondate e contro chi, con il proprio comportamento, anche colposo e omissivo, è responsabile della diffusione di malattie contro le piante di ulivo: “Non si può più scherzare sulla pelle di centinaia di migliaia di famiglie che vivono grazie a questo straordinario patrimonio olivicolo” ha sottolineato Sicolo. “Non chiediamo una caccia all’uomo della Magistratura, ma pretendiamo giustizia, perché i responsabili di queste crociate, nate senza alcuna valenza scientifica e basate su credenze e complotti immaginari, che purtroppo hanno fatto presa su tanti, devono smetterla una volta per tutte di fomentare timori e creare false speranze”.
Come sostiene la filosofa Gloria Origgi, in un saggio pubblicato su l'almanacco di democrazia 2017 di MicroMega (Post-verità e post-politica, MicroMega 2/2017, pp. 121-129), la discussione pubblica di argomenti che regge l'impalcatura democratica permette di neutralizzare “opinioni personali che non hanno avuto il vaglio di nessun processo di digestione collettiva”. La ricerca scientifica è uno dei processi di digestione collettiva e di discussione di argomenti più raffinati che oggi abbiamo a disposizione. E aggiunge: “si può vivere in democrazia anche se le teorie scientifiche di un'epoca si rivelano sbagliate nell'epoca successiva. Non si può vivere in democrazia però laddove le teorie scientifiche vere non hanno uno statuto epistemologico riconosciuto collettivamente, o laddove le credenze soggettive, personali, mai discusse insieme agli altri diventano le opinioni che formano il giudizio politico e di conseguenza fondano l'azione collettiva”.