SOCIETÀ

Giovani, individualisti e privi di fede

Se gli adolescenti italiani vanno sempre meno spesso in chiesa, nonostante la popolarità di Papa Francesco tra i millennial, ad abbandonare la pratica religiosa a grande velocità sono anche i giovanissimi degli Stati Uniti, un paese che storicamente ha una tradizione religiosa più variegata della nostra ma forse ancor più diffusa e radicata. Oltre a suonare l’allarme per le Chiese con la "c" maiuscola, analizzati in dettaglio, recenti dati fanno riflettere più complessivamente sulle preferenze delle nuove generazioni. E non solo in fatto di religione, ma in generale di partecipazione alla società e al mondo.

Di recente, una squadra di ricercatori di San Diego State University in California, Case Western Reserve University in Ohio e University of Georgia capeggiata da Jean Twenge, professore di psicologia a San Diego State, ha riscontrato che, nel 2013, quasi il 28% delle matricole universitarie americane (e circa il 21% di quelli all’ultimo anno di scuola superiore) dichiarava di non andare mai a messa, più del doppio di quanto registrato a fine anni Settanta. Lo studio ha messo a confronto quattro rilevamenti statistici effettuati tra il 1966 e il 2014 su americani dai 13 ai 18 anni, rivelando percentuali più che raddoppiate di diplomandi e matricole universitarie che dicono di non aver alcuna affiliazione religiosa. Ma ha anche registrato un aumento del 75% (sempre dagli anni Settanta a oggi) dei diciottenni che affermano che la religione non ha alcuna importanza nella loro vita.

Queste tendenze non sono omogenee in tutta la popolazione. Sono infatti decisamente più pronunciate tra i bianchi, tra gli individui con un profilo socio-economico più basso, tra le donne, tra gli americani provenienti dalle regioni nord-orientali del paese e tra i liberal. Sono invece molto meno pronunciate tra gli adolescenti neri e sono pressoché inesistenti (se non addirittura di segno opposto) tra i giovani conservatori. 

Accostando queste informazioni ad altri dati sui diversi livelli di autostima, materialismo e desiderio di espressione personale, evidenziati nei sondaggi dalle varie generazioni di giovani, i ricercatori diretti da Twenge hanno identificato una correlazione tra l’accresciuto individualismo della società contemporanea e la diminuzione della religiosità. “Queste variazioni fanno parte di un più ampio contesto culturale, che spesso manca nei sondaggi sulla religione”, afferma Twenge in un’intervista apparsa su RawStory. “Osserviamo - continua lo studioso - un aumento dell’individualismo, che mette il sé davanti ad ogni cosa, e non va necessariamente d’accordo con l’impegno verso l’istituzione e le altre persone previsto dalla pratica religiosa. Diventa allora comprensibile che un minor numero di americani si dedichi alla religione con l’avanzare dell’individualismo”.

Attenzione però a trarre conclusioni affrettate sull’essenza dell’identità millenial - dice Richard Flory, direttore per la ricerca al Center for Religion and Civic Culture della University of Southern California. Con la collega Melinda Denton di University of Texas San Antonio, Flory sta lavorando a un libro sulla vita religiosa dei giovani americani basato sui dati raccolti dal National Study of Youth and Religion, un progetto di ricerca di University of Notre Dame in Indiana. “Se è vero che l’individualismo è aumentato, ciò non avviene necessariamente a discapito di tutto il resto – dice Flory – Quello che osserviamo è che i giovani sono in cerca di alternative. E desiderano trovare nuove modalità per mettersi al servizio di altri”. 

Il lavoro di Flory si basa su uno studio strutturato diversamente dall’analisi di Twenge. Anziché prendere in considerazione le opinioni di gruppi diversi di giovani della stessa età, distribuiti su quattro generazioni, il National Study of Youth and Religion segue l’evolversi nel tempo delle attitudini di un solo gruppo di ragazzi americani e dei loro genitori, intervistati più volte (la ricerca è già al quarto round di rilevamenti e ha un approccio sia quantitativo sia qualitativo) a partire dal 2002.  “Il numero di giovani adulti che si dichiarano ‘non religiosi’ è senz’altro aumentato. Se poi vi si aggiungono coloro che dicono di avere un’identità religiosa, ma che non praticano, si arriva ormai a oltre la metà del totale – dice Flory – Siamo di fronte a un numero enorme, che in realtà non rappresenta necessariamente una transizione al secolarismo puro e semplice”. Le interviste rivelano che, a fronte di una percentuale di atei o agnostici in crescita, essi rimangono una minoranza. Il segmento più grosso di questa popolazione di giovani è composto da chi non ha un’idea negativa della religione ma che non ha identificato un luogo adatto a praticarla. “Non c’è dubbio che gli Stati Uniti stanno attraversando una fase di grande cambiamento rispetto all’identità religiosa e spirituale e alle forme che essa può prendere”, afferma Flory.  

Questo ragionamento si applica senz’altro anche ad altri aspetti della vita dei giovani di oggi. Si pensi ad esempio all’impegno civile e politico. Numerose analisi sulle preferenze dei millennial, dimostrano che non sono così egoisti come li si tende a descrivere. Questi ragazzi desiderano impegnarsi, ma faticano a riconoscere nelle strutture tradizionali, siano le chiese o i partiti, i giusti sbocchi per raggiungere tale obiettivo. “A livello di pratica religiosa essi preferiscono un modello più attivo e partecipatorio piuttosto che quello statico tradizionale in cui si va a messa e poi si torna a casa”, spiega Flory. “Visto il mondo sempre connesso in cui vivono, fatto di Internet e social media, essi sono inoltre coscienti delle tante opportunità che esistono e quindi aspirano a fare cose diverse a seconda dei momenti”.  

Un desiderio che si traduce innanzitutto in una maggiore propensione da parte dei millennial al volontariato, che può essere condiviso sia dai giovani che praticano una fede che dagli atei. Una tendenza che prende spesso la forma non di un impegno unico di lungo periodo ma piuttosto di una varietà di attività brevi e talvolta svolte simultaneamente. “I ragazzi oggi vogliono fare la differenza e vogliono costruire, per se stessi e per gli altri, un senso di comunità – dice Flory – Così li si vede lavorare assieme - i devoti e i laici - allo stesso progetto che li motiva e li fa convergere, senza evocare questioni più astratte legate alla fede”. Insomma, i millennial sono forse una generazione più difficile da etichettare, ma non per questo più apatica di quelle precedenti. Tutt’altro.

Valentina Pasquali

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